Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35351 del 20/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35351 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIORENZA FRANCESCO N. IL 27/03/1973
avverso la sentenza n. 1128/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 24/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in per_sopa del Dott. 1444 ritd cté
che ha concluso per
o 4( ii;44,3,0

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto con

sentenza del 24 ottobre 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Taranto del 30 giugno 2010 ha concesso la sospensione condizionale della pena
inflitta a Fiorenza Francesco per il delitto di violenza privata continuata tentata e

di una scuola d’infanzia, che costringeva a sottoscrivere la richiesta di
candidatura in una lista elettorale nonché tentava di far sottoscrivere una lettera
tendente ad usufruire di un periodo di congedo.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentando quale unico sostanziale motivo una
violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’affermazione della
penale responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. In primo luogo perché il ricorrente non si discosta affatto da quanto già
ha formato oggetto dei motivi di appello, che sono stati disattesi dalla Corte
territoriale con motivazione del tutto logica.
3. In secondo luogo, come ribadito costantemente da questa Corte (v. a
partire da Sez. VI 15 marzo 2006 n. 10951 fino di recente a Sez. V 6 ottobre
2009 n. 44914), pur dopo la nuova formulazione dell’articolo 606 cod.proc.pen.,
lettera e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del
Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
c)

non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;

1

consumata in danno di Montanari Alba, il primo direttore e la seconda insegnante

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a

ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
Più in particolare, con riferimento al caso di specie, può osservarsi come
la Corte territoriale abbia fondato la propria decisione soprattutto, ma non
esclusivamente, sulle dichiarazioni della parte offesa per cui ha seguito il pacifico
insegnamento di questa Corte avendo, vieppiù, riscontrato con altre dichiarazioni
testimoniali tali accertamenti in fatto che questa Corte di legittimità non può
rimettere in discussione per quanto dianzi espresso.
La mera lettura della pagina 5 dell’impugnata decisione permette di
acclarare come i Giudici dell’appello abbiano sottoposto al necessario vaglio di
attendibilità le dichiarazioni della parte lesa, riscontrandole con dichiarazioni di
altri soggetti che, seppur de relato, hanno riferito circostanze di fatto che hanno
superato l’effettuato riscontro nonché le doglianze della difesa in merito ad
eventuali contrasti tra le dichiarazioni stesse.
Invero, questa Suprema Corte nella sua massima espressione, in tema di
valutazione della deposizione della persona offesa, ha affermato che le
dichiarazioni della parte offesa possono essere assunte, anche da sole, come
prova della responsabilità dell’imputato, purché sottoposte a vaglio positivo circa
la loro attendibilità, senza la necessità di riscontri esterni (v. Cass. Sez. Un. 17
luglio 2012 n. 41461).
Sebbene, inoltre, in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella
dell’articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla Legge n. 46
del 2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha
2

fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di

quando nella motivazione si faccia uso di un’informazione rilevante che non
esiste nel processo o quando si ometta la valutazione di una prova decisiva, esso
può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato
quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il
limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
Giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia

Sez. IV 3 febbraio 2009 n. 19710).
Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al Giudice di primo grado e, dopo avere
preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione di
penale responsabilità.
4.

Con riferimento al corretto o meno inquadramento dei fatti nella

accertata fattispecie della violenza privata (articolo 610 cod.pen.) si afferma
nella giurisprudenza di questa Corte come integri gli estremi del delitto di
violenza privata la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in un
qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a
suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere che,
mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o
ad omettere qualcosa (v. Cass. Sez. V 26 gennaio 2006 n. 7214 e Sez. H 18
gennaio 2011 n. 3609).
Anche in questo caso la Corte territoriale, con motivazione del tutto logica
ed ispirata ai suddetti principi, ha sulle affermate circostanze di fatto,
incensurabili in questa sede, dato conto della mancanza di libera determinazione
della volontà della parte offesa.
5. Il rigetto del ricorso determina, infine, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.T.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20/6/2013.

richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (v. Cass.

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