Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35350 del 20/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35350 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TORO GIOVANNI N. IL 21/12/1967
RANDAZZO VINCENZO N. IL 12/06/1947
RANDAZZO ALESSANDRO N. IL 15/01/1986
avverso la sentenza n. 17706/2013 GIP TRIBUNALE di TORINO, del
10/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 20/06/2014

1) Con sentenza in data 10.10.2013 il GUP del Tribunale di Torino, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con la diminuente per il rito,
applicava la pena concordata ex art.444 c.p.p., di anni 3, mesi 2 di reclusione ed euro
14.000,00 di multa a Toro Giovanni, di anni 2, mesi 10 di reclusione ed euro 12.000,00
di multa ciascuno a Randazzo Vincenzo e Randazzo Alessandro, per i reati
rispettivamente ascritti.
2) Ricorre per cassazione Toro Giovanni, denunciando l’erronea applicazione della
legge penale e la mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei
fatti, soprattutto con riferimento al reato di cui all’art.629 c.p., ascritto al capo a).
Ricorre, a sua volta, per cassazione il difensore di Randazzo Vincenzo e Randazzo
Alessandro, denunciando, con separati ricorsi, la violazione degli artt.129 c.p.p. e 73
co.5 DPR 309/90.
3) I ricorsi sono manifestamente infondati.
3.1) Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze,
sulla comparazione delle stesse, sull’entità della pena, su eventuali benefici. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non
emerga in modo evidente una della cause di non punibilità previste dall’art.129 c.p.p.
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art.444
c.p.p., l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della
fattispecie perché essi sono coperti dal patte,ggiamento.
3.1.1) Quanto alla motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art.129 c.p.p.
questa Corte ha costantemente affermato che occorre una specifica indicazione
“soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti
elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece
ritenersi sufficiente in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione
anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non
ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art.129 c.p.p.” (ex multis
sez.un.27.3.1992- Di Benedetto; sez.un.27.9.1995 n.18-Serafino).
Sicchè il richiamo all’art.129 c.p.p. è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia
verificato ed escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriori
e più analitiche disamine al riguardo (Cass. pen. Sez. 2 n.6455 di 17.11.2011).
3.1.2) Secondo la giurisprudenza di questa Corte, poi, “In tema di patteggiamento , la
possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto
contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in
cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati,
mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti

OSSERVA

margini di opinabilità “(ex plurimis Cass.pen. sez.4 n.10692 de1111.3.2010; sez.6
n.45688 del 20.11.2008; sez.3 n.44278 del 23.10.2007).
3.2) Il GUP ha effettuato la necessaria verifica, evidenziando che non ricorrevano le
condizioni per un proscioglimento ex art.129 c.p.p., tenuto di quanto emergeva dagli
atti, e che risultava corretta la qualificazione giuridica (pag.6 sent.).
4) I ricorsi debbono, quindi, essere dichiarati inammissibili, con condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento
della somma che pare congruo determinare in euro 1.500,00 ciascuno, ai sensi
dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.500,00 ciascuno.
Così deciso in Roma il 20.6.2014

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