Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35349 del 20/06/2013
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35349 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHILLE’ GIUSEPPE N. IL 19/08/1933
MAGAZZU’ GIUSEPPA N. IL 21/05/1959
avverso la sentenza n. 15002/2012 TRIB.SEZ.DIST. di MILAZZO, del
25/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Nitù FitAij`
che ha concluso per
it,:e2fto dttl fe.< Udito, per la parte civile, l'Avv
UditoildifensoreAvv. ;00puzt Llvtie Data Udienza: 20/06/2013 RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, Sezione Distaccata di Milazzo
con sentenza del 25 maggio 2012, ha parzialmente riformato la sentenza del
Giudice di pace di Milazzo del 10 ottobre 2011 che aveva condannato Magazzù lesioni personali) ed ingiurie in danno di Currò Carmelo ed assolto Chillè
Giuseppe e Currò Carmelo dal delitto di lesioni ai sensi dell'articolo 530, comma
2 cod.proc.pen. e dichiarato non doversi procedere nei confronti del Chillè in
ordine alla contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza (articolo 726
cod.pen.) per intervenuta prescrizione.
Il Tribunale, di converso, ha ritenuto la responsabilità del Chillè in ordine
al reato di lesioni personali e lo ha condannato in solido con la Magazzù al
risarcimento del danno in favore della parte civile Currò Carmelo da liquidarsi in
separata sede nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il
primo e secondo grado di giudizio; nel resto è stata confermata l'impugnata
sentenza.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Chillè
Giuseppe e Magazzù Giuseppa, personalmente, i quali lamentano:
a) la mancanza e illogicità della motivazione in relazione all'affermazione
della penale responsabilità;
b) la mancata ammissione di una prova decisiva;
c) la inosservanza di una norma processuale penale con riferimento
all'avvenuta modifica in peius del giudizio di prime cure in quanto il delitto di
percosse era stato riqualificato in quello di lesioni personali.
3. Risulta pervenuta memoria nell'interesse della parte civile Currò che
insiste per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso con la liquidazione delle
spese del grado di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati. 2. Quanto al primo motivo, i ricorrenti ripropongono la diversa ricostruzione del fatto ma, come è evidente, in tal modo già finiscono per
postulare un sindacato della decisione impugnata nel merito, non consentita in
questa sede di legittimità.
1 Giuseppa per i delitti di percosse (così modificata l'originaria imputazione di Nè, come è noto (v. Cass. Sez. I 19 marzo 1998 n.1685), la mera
prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, che
costituisce concretamente il substrato del motivo di gravame esaminato, può
integrare il rilevante vizio di legittimità della decisione, a tale conclusione
dovendosi pervenire anche in ordine alle pretese carenze motivazionali
sull'esclusione di situazione rilevante. Giudice del merito copre ogni altra prospettazione ricostruttiva dei fatti, che
tenda ad avvalorare una diversa ricostruzione dei fatti.
3. Quanto al secondo motivo, la motivazione della sentenza di merito
deve trattare solo le prove controverse e decisive, sicché è decisiva la prova che,
non assunta o non valutata, vizia la sentenza perché ne intacca la sua struttura
portante (v. Cass. Sez. III 15 giugno 2010 n. 27581).
Pertanto, il riferimento a specifici atti del processo nel motivo di ricorso
assume rilevanza solo se dimostri che il Giudice abbia trascurato di esaminare
fatti decisivi ai fini del giudizio, nel senso che se fossero stati convenientemente
valutati avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata.
Nella specie, l'esistenza di certificazioni sanitarie provenienti da pubbliche
strutture redatte subito dopo i fatti, secondo quanto esposto nell'impugnata
sentenza, vale senza dubbio a ritenere non decisive le richieste di prove
testimoniali dei medici curanti della parte lesa in merito alle sue condizioni di
salute prime o successivamente ai fatti di causa.
4. Quanto al terzo ed ultimo motivo, il divieto di cui all'articolo 597
cod.proc.pen. concerne esclusivamente le disposizioni a natura penale, ma non si
estende alle statuizioni civili della sentenza (v. Cass. Sez. VI 23 settembre 2009
n. 38976 e Sez. I 2 febbraio 2011 n. 17240).
Invero, il principio del divieto di reformatio in pejus, nel caso di appello
della sentenza da parte del solo imputato, trova la propria fonte normativa, con
riferimento al processo penale, nel precetto dell'articolo 597 cod.proc.pen.,
comma 3, che lo modula con riferimento alla pena, a eventuali misure di
sicurezza o alla causa di proscioglimento, ossia alle statuizioni che concernono
l'esito della azione penale e senza che il limite devolutivo della domanda, di cui
all'articolo 112 cod.proc.pen., possa considerarsi regola automaticamente
applicabile nel processo penale: ciò che si desume anche dagli approdi
giurisprudenziali che hanno ammesso il dovere del Giudice di pronunciarsi sugli
effetti civili quando riformi la sentenza assolutoria di primo grado su appello del 2 E' ben evidente che proprio il richiamato ragionamento motivazionale del PM e non anche della stessa parte civile (v. Cass. Sez. V 18 ottobre 2012 n.
8339).
Il principio del divieto di reformatio in peius non ha lo scopo di attribuire
all'imputato un trattamento sotto ogni profilo più favorevole rispetto a quello
derivante dal precedente grado, ma persegue unicamente la finalità di non
esporlo ad un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello riservatogli Il legislatore si è invero preoccupato di consentire, in presenza di un
errore del primo Giudice in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, al Giudice
di appello di porvi rimedio, al fine di garantire una corretta applicazione della
legge penale; ed è evidente che, da una diversa e più grave qualificazione
giuridica del fatto, ben possono derivare effetti negativi per l'imputato in termini
di impossibilità di applicare cause estintive o benefici; ma trattasi di conseguenze
necessarie ed inevitabili, collegate alla facoltà concessa al Giudice di appello di
qualificare diversamente il fatto, avendo il legislatore ritenuto preminente
l'interesse a che le pronunce emanate dai Giudici siano quanto più possibile
conformi alla legge (v. Cass. Sez. II 16 giugno 2011 n. 36217 e Sez. I 17
dicembre 2012 n. 474).
Orbene, nella specie, il Giudice dell'impugnazione ha provveduto alla
corretta qualificazione del fatto ed è pertanto rimasto nei limiti dianzi indicati
senza incorrere nella pretesa violazione del divieto di reformatio in peius.
5. In definitiva, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al
pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla
parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.T.M.
La Corte, rigetta i ricorsi, condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché, in solido, alla rifusione delle spese della parte civile,
liquidate in euro 900,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 20/6/2013. dal primo Giudice.