Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35343 del 20/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35343 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BRUNO GIANMARIO N. IL 11/04/1956
avverso la sentenza n. 4259/2012 TRIBUNALE di GENOVA, del
13/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 20/06/2014

1) Con sentenza in data 13.3.2013 il Tribunale di Genova, in composizione monocratica,
applicava a Bruno Gianmario, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e con la diminuente per il rito, la pena concordata ex art.444 c.p.p. di mesi
2 di reclusione (sostituita con la libertà controllata per mesi 4) per il reato di cui
all’art.544 bis c.p.
Ricorre per cessazione imputato, denunciando la mancanza di motivazione in ordine
alla determinazione della pena.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze,
sulla comparazione delle stesse, sull’entità della pena, su eventuali benefici. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non
emerga in modo evidente una della cause di non punibilità previste dall’art.129 c.p.p.
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art.444
cpp, l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della
fattispecie perché essi sono coperti dal patteggiamento.
2.2) Secondo la giurisprudenza di questa Corte, poi, “In mancanza di elementi
macroscopicamente rivelatori di incongruità, per eccesso o per difetto, il giudizio in
ordine alla ritenuta congruità della pena patteggiata nei limiti di cui all’art.27 comma
terzo Costituzione può dirsi adeguatamente motivato, quando il giudice si limiti ad
esplicitare la propria valutazione in tal senso, allorchè risulti dal contesto dell’intera
decisione che, nella valutazione complessiva, egli ha tenuto presenti quegli elementi
che possono assumere rilevanza determinante, come le circostanze del reato e la
condizione personale dell’imputato” (cfr.Cass.sez.6, ord. n.549 dell’11.2.1994).
2.2.1) Il Tribunale ha effettuato il controllo richiesto ed ha ritenuto congrua la pena
concordata tra le parti “valutati tutti gli elementi di cui all’art.133 c.p.
2.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento
della somma che pare congruo determinare in euro 1.500,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.500,00.
Così deciso in Roma il 20.6.2014
DEPOSITATO

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