Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35341 del 20/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35341 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GAMMELLA CONCETTA N. IL 03/12/1980
avverso la sentenza n. 1343/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di CASSINO, del 04/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 20/06/2014

i

Con sentenza emessa il 4/7/2013 ex art.444 cod. proc. pen. il Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Cassino ha applicato alla Sig.ra Concetta GAMMELLA in relazione al reato ex
artt.110, 81 cod. pen. e 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, commesso dal dicembre 2008 al
14/2/2009 la pena di tre anni di reclusione e 16.000,00 euro di multa.
Avverso tale decisione è stato presentato ricorso con cui si lamenta: a) errata applicazione di
legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. in relazione alla mancata autorizzazione all’estrazione
di copia delle conversazioni telefoniche intercettate; b) omessa motivazione in ordine alla
qualificazione giuridica del fatto.

Quanto al primo profilo, non vi è dubbio che il diritto della parte a disporre in modo esaustivo
del materiale probatorio costituisca parte necessaria dell’esercizio difensivo, ma neppure vi è
dubbio che tale profilo vada valutato alla luce dell’espletamento di accertamento peritale e
della possibilità per la difesa dell’indagato di parteciparvi nella pienezza delle prerogative.
Deve, così, rilevarsi che successivamente alle vicenda processuali esposte in ricorso la sig.ra
Gammela ha ritenuto opportuno prospettare un accordo per l’applicazione della pena che ha
sottoposto al parere del Pubblico ministero e alla valutazione del giudice; con tale scelta ha
rinunciato all’accertamento dei fatti mediante il giudizio, sede in cui avrebbe potuto far valere
ogni questione concernente il materiale probatorio, e ha optato per un rito che da
quell’accertamento prescinde. Il che le impedisce di far valere in questa sede temi legati alla
validità di una parte soltanto del materiale acquisito al fascicolo del Pubblico ministero e che
non toccano la validità del restante materiale probatorio.
Quanto al secondo motivo, i limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli
artt.129 e 444 cod. proc. pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far
data dalla decisione delle Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv
202270), secondo cui la motiva-zione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale
probatorio dal cui esame il giudice ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di
non procedibilità ex art.129 cod. proc. pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non
sono necessari ulteriori approfondimenti (Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25
Novembre 1998, Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) e che il ricorrente adempia all’onere di
fornire puntuale indicazione dell’errore compiuto dal giudicante.
Posto che nel caso di specie la motivazione non appare meritevole di censure, il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art.616
c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere
che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.

il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali,
Dichiara inammissibile
nonché al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20/6/2014

L’Et n so re

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