Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35340 del 20/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35340 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RACHYQ AHMED N. IL 28/02/1988
avverso la sentenza n. 4371/2013 TRIBUNALE di GENOVA, del
29/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 20/06/2014

Con sentenza emessa il 29/1#2013 ex art.444 cod. proc. pen. il Tribunale di Genova ha
applicato al Sig. Ahmed RACHID in relazione al reato ex artt.81 cod. pen. e 73, comma 5, del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (commesso il 15 ottobre 2013 a seguito di detenzione e cessione
di modica quantità di hashish) la pena di otto mesi e dieci giorni di reclusione e 2.200,00 euro
di multa.

La Corte osserva preliminarmente che nel caso in esame non risulta violata la legalità della
pena alla stregua dei nuovi parametri normativi introdotti con il decreto legge n.146 del 2013
e successiva legge di conversione e con il successivo decreto legge 20 marzo 2014, n.36
convertito in legge 16 maggio 2014, n.79, nonché con la definizione del quadro normativo
conseguente alla sentenza n.32 del 12 febbraio 2014 emessa dalla Corte costituzionale. In
effetti, la pena base è stata fissata nella misura di un anno di reclusione e 3.000,00 euro di
multa, prossima dunque agli attuali minimi edittali, leggermente aumentata per la
continuazione fra i capi A e B, e quindi ridotta ex art.444 cod. proc. pen.
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.
Infatti, i limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod.
proc. pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far data dalla decisione
delle Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv 202270), secondo cui la
motiva-zione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio dal cui esame il
giudice ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129
cod. proc. pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori
approfondimenti (Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998,
Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) e che il ricorrente adempia all’onere di
fornire puntuale indicazione dell’errore compiuto dal giudicante. Posto che nel caso di specie la
motivazione non appare meritevole di censure, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si
dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Avverso tale decisione è stato presentato ricorso lamentando difetto di motivazione in ordine
alla insussistenza delle condizioni che imporrebbero l’applicazione dell’art.129 cod. proc. pen.

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