Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35327 del 18/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 35327 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: IPPOLITO FRANCESCO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
ARENA FABRIZIO nato a Crotone il 3/08/1980
ARENA SALVATORE nato a Isola di Capo Rizzuto il 20/09/1959
GENTILE FIORE nato a Isola di Capo Rizzuto il 7/02/1961
MAGNOLIA DOMENICO nato a Crotone il 15/04/1978
contro la sentenza della Corte di appello di Catanzaro emessa il 22/06/2012
– udita la relazione in camera di consiglio del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale C. Stabile che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
– uditi gli avv.ti. S. Staiano difensore di Arena Fabrizio e Gentile Fiore, P. Pítari
difensore di Gentile Fiore, G. Aricò difensore di Arena Salvatore, G. Viscomi difensore
di Arena Fabrizio, G. Barbuto e M. Prato difensori di Magnolia Domenico, che insistono
per l’accoglimento di tutti i motivi di ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del Tribunale di Crotone datata 5 aprile 2011, confermata dalla
Corte d’appello di Catanzaro il 22 giugno 2012, Fabrizio Arena, Salvatore Arena e
Fiore Gentile sono stati condannati rispettivamente alla pena di anni 15, 9 e 10
anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., mentre Domenico Magnolia
è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per il reato previsto
dall’art. 378, comma secondo, c.p.

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Data Udienza: 18/07/2013

2. Ai primi tre imputati è stato addebitato di avere preso parte – in concorso con il
defunto Carmine Arena e altri soggetti rimasti ignoti – ad un’associazione per
delinquere di tipo mafioso, denominata “cosca Arena”, con epicentro il comune di
Isola di Capo Rizzuto e influenza nelle province di Crotone e Catanzaro, esistente sin
dalla metà degli anni ’70 (per come acclarato in due processi, conclusisi con sentenze
divenute definitive emesse dal Tribunale di Crotone il 3 maggio e il 7 luglio 1996)
costituita al fine di commettere una serie indeterminata di delitti, soprattutto

intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di
assoggettamento e di omertà che ne deriva – acquisire in modo diretto o indiretto,
la gestione o comunque il controllo di attività economiche, nonché realizzare profitti
e vantaggi ingiusti per sé o per altri, con l’eliminazione fisica degli appartenenti alle
organizzazioni criminali contrapposte e l’appoggio di consorterie alleate; con
l’aggravante dell’essere l’associazione armata.
Ai tre sodali è stato addebitato di essere stati affiliati con compiti esecutivi,
relativi al controllo del territorio e al compimento di specifiche azioni criminose, anche
di natura omicidiaria, nonché per essere stati partecipi delle decisioni assunte
nell’interesse della cosca, per avere accompagnato i vertici della consorteria negli
incontri con esponenti di altri sodalizi, funzionali alla pianificazione di affari e strategie
criminali comuni; per avere, durante lo stato di latitanza prima e di carcerazione poi,
di Giuseppe Arena e Francesco Gentile, ricevuto dagli stessi – talvolta personalmente,
talaltra per il tramite di altri affiliati – direttive per la gestione degli affari
associativi, assumendo, soprattutto dopo l’inizio della detenzione carceraria dei
predetti, anche autonomamente delle decisioni (nelle province di Crotone e Catanzaro
ed altre aree del territorio nazionale dal marzo 2003 all’aprile 2009).

3. A Domenico Magnolia (in concorso con Luigi Borsci, separatamente giudicato) è
stato addebitato il delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 378, comma secondo, c.p.,
per avere, in concorso tra loro, con diverse azioni, esecutive di un medesimo disegno
criminoso, aiutato Paolo Lentini e Antonio Morelli a eludere le investigazioni
dell’Autorità ed a sottrarsi alle ricerche di questa, rendendo noto agli stessi la
circostanza dell’avvenuta emissione, a loro carico, dell’ordinanza custodiale del
giudice per le indagini preliminari di Catanzaro emessa il 16 aprile 2009 circostanza nota al Borsci, in quanto carabiniere in servizio presso la stazione di
Isola Capo Rizzuto, coinvolto nell’organizzazione prodromica agli arresti, con lo
specifico compito di individuare i luoghi di dimora del Morelli e di partecipare, poi,
all’esecuzione del suddetto titolo custodiale avvenuta nella notte tra il 20 ed il 21
aprile 2009; la notizia veniva rivelata dal Borsci al Magnolia che, a sua volta, la
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contro il patrimonio, contro la vita e in materia di armi, e – avvalendosi della forza di

portava a conoscenza dei suddetti Lentini e Morelli, consentendo agli stessi di
sottrarsi all’esecuzione della misura ed alle successive ricerche dell’Autorità.

4. Ricorrono per cassazione i quattro imputati, a mezzo dei rispettivi
difensori di fiducia.
4.1. Nell’interesse di Fabrizio Arena, gli avvocati Staiano e Viscomi

192 c.p.p. e 416-bis c.p., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni
rese dai collaboratori di giustizia Cortese, Marino, Bumbaca e Bonaventura,
alla ritenuta sussistenza del delitto di associazione di tipo mafioso e
partecipazione ad essa dell’imputato, al mancato chiarimento circa le discrasie
e contraddittorietà evidenziate nei motivi d’appello; b) ex art. 606 lett.

b, c

ed e c.p.p. violazione degli artt. 62-bis, 133 c.p. e d.lgs. n. 92 del 2008,
nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
4.2. Salvatore Arena, tramite i difensori Aricò e Rotundo, denuncia, ex art.
606 lett. b ed e c.p.p., manifesta illogicità della motivazione e violazione di
legge in relazione agli artt. 192.3 c.p.p. e 416-bis c.p. e agli 62-bis, 133 c.p.,
sottolineando particolarmente la carenza di motivazione con riferimento agli
elementi probatori che connotano la partecipazione dell’imputato al sodalizio
criminoso, in relazione alla contestazione di cui egli era chiamato a rispondere.
4.3. Nell’interesse di Fiore Gentile si deduce, con due separati ricorsi, entrambi
sottoscritti dagli avv. Pitari e Staiano, nullità della sentenza ex art. 606 lett. b, c ed e
c.p.p., in relazione agli art. 192 c.p.p. e 416-bis c.p., nonché agli artt. 133, 62-bis
c.p., d.l. n. 92/2008 e relativo vizio della motivazione.
4.4. Domenico Magnolia, tramite il difensore avv. Barbuto, deduce: a) ex art.
606.1 lett. b ed e c.p.p., inosservanza di legge penale (artt. 546.3 e 137.3 c.p.p. e
art. 378 c.p.) e vizio di motivazione sul punto concernente l’effettiva idoneità della
condotta realizzata dell’imputato a integrare il delitto di favoreggiamento personale,
per mancato inizio delle ricerche dell’autorità e per inidoneità e inefficacia della
condotta realizzata; b) ex art. 606.1 lett.

b) ed e) c.p.p., inosservanza di legge

penale (artt. 546.3 e 137.3 c.p.p. e art. 378, 47, 51 e 59 c.p.) e vizio di motivazione
sul punto concernente le modalità dell’apprendimento (casuale, fortuito e non
provocato) della notizia riservata ed il ruolo professionale che nell’occasione rivestiva
il ricorrente.

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deducono: a) violazione dell’art. 606 lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt.

Considerato in diritto

1. I ricorsi degli imputati Fabrizio Arena, Salvatore Arena e Fiore Gentile, con
riferimento all’utilizzazione che i giudici del merito hanno fatto delle dichiarazioni
accusatorie dei collaboratori di giustizia, denunciano la violazione delle disposizioni
poste dall’art. 192, comma 3 e 4, c.p.p. e, segnatamente, l’utilizzazione erronea da
parte del giudice d’appello del principio della cosiddetta “frazionabilità delle

1.1. In proposito, il Collegio sottolinea la necessità di procedere
previamente alla rigorosa verifica dell’attendibilità dei dichiaranti e delle relative
dichiarazioni, secondo la metodologia più volte indicata da questa Corte di legittimità
(cfr. Cass. Sez. U. n. 1653 del 22.2.93; Marino; Sez. 2^ n. 15756 del 3.4.03, Papalia
e n. 2350 del 26/01/05, Contrada; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri).
Il giudice deve, in primo luogo, affrontare il problema dell’attendibilità del
dichiarante, in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi e alle ragioni
che lo hanno indotto all’accusa. In secondo luogo, deve valutare la credibilità delle
dichiarazioni rese, verificandone l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce
di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità ed autonomia, precisione,
completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza. Infine, egli deve
esaminare l’esistenza di riscontri esterni, ai fini della necessaria conferma di
attendibilità.
L’esame deve essere compiuto seguendo l’indicato ordine logico, perché non si
può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità o un reità e degli
altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (come prescrive l’art. 192.3
c.p.p.), se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla
chiamata in sè, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa.
1.2. Per quanto concerne l’autonomia e la spontaneità di plurime
dichiarazioni accusatorie, in caso di dubbio e tanto più di specifica censura degli
appellanti – come nella vicenda processuale qui esaminata – è necessario verificare
non soltanto se la convergenza di più dichiarazioni non sia l’esito di collusione o
concerto calunnioso, ma anche se tale consonanza non sia il frutto di condizionamenti
o reciproche influenze, pur senza alcuna preconcetta malafede. Occorrendo, infatti, la
certezza che i coimputati abbiano detto la verità, è indispensabile che il giudizio di
attendibilità intrinseca sia particolarmente severo e scrupoloso, in modo da
allontanare ogni ragionevole dubbio di reciproche influenze e di progressivo
allineamento dei dettagli originariamente divergenti di ciascuna di esse (cfr. Cass.
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dichiarazioni”.

sez. 1^, n. 13279/90, Barbato; sez. 5^ 9001/2000, Madonia; sez. 6″, n. 6422/2004,
Goddi).
1.3. Per la valutazione complessiva richiesta dall’art. 192.3 c.p.p., ai fini
del giudizio di responsabilità, le chiamate accusatorie e i riscontri esterni devono
essere individualizzanti, ossia devono riguardare direttamente l’imputato in relazione
allo specifico fatto storico a lui contestato: se oggetto della prova è lo specifico fatto e
la sua attribuibilità al singolo imputato (art. 187 c.p.p.), oggetto della chiamata e dei

fatto, con riferimento all’imputato cui è ascritto.
1.4. Giova anche precisare che affinché le più chiamate in reità o correità,
provenienti da soggetti diversi, possono valere come riscontro reciproco (sempre che
esse risultino spontanee e tra loro indipendenti), è necessario che, per ogni singola
chiamata, il giudice proceda alla verifica sopra indicata, in ordine alla credibilità del
chiamante e all’attendibilità della dichiarazione. Il fatto che di una chiamata il giudice
si avvalga soltanto come riscontro esterno d’altra chiamata non esenta dall’obbligo di
verificare – e motivare – credibilità del chiamante e attendibilità delle dichiarazioni
rese.

1.5. Va, infine, riaffermato un principio essenziale, più volte sottolineato da questa
Corte, nell’ipotesi di molteplici dichiarazioni accusatorie non coincidenti su particolari
di dettaglio o su elementi essenziali della ricostruzione di fatto: in presenza di
significative divergenze di dichiarazioni rese da due chiamanti in correità o reità,
aventi ad oggetto particolari non marginali, bensì il ruolo e il contributo causale
asseritamente fornito dall’imputato alla commissione del delitto, ai fini della
dichiarazione di colpevolezza non è consentito utilizzare la parte coincidente delle due
dichiarazioni, per argomentare che l’indagato sarebbe comunque coinvolto come
concorrente nel delitto, senza fornire una logica spiegazione delle ragioni delle
versioni in contrasto e senza esplicitare i motivi che convincono il giudice
dell’attendibilità dei due dichiaranti e delle dichiarazioni rese nella parte che risulta
coincidente, (cfr. Cass. sez. 6^, n. 22/1996, Gentile; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005,
Aglieri).
Il principio di frazionabilità, invero, non è un

passepartout

utile per

assembleare le parti coincidenti di dichiarazioni differenti.
E’ vero che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la validità del
principio della c.d. “frazionabilità” delle dichiarazioni, secondo cui l’attendibilità della
dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolge

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riscontri d’attendibilità (art. 192 c.p.p., comma 3) deve essere lo stesso specifico

necessariamente l’attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del
racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno.
E’ stato, tuttavia, reiteratamente precisato che affinché ciò sia ammissibile è
necessario, in primo luogo, che non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la
parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti, intrinsecamente attendibili e
adeguatamente riscontrate (cfr. Cass. sez. 1″, n. 468/2001, Orofino) e, in secondo
luogo, che la falsità o l’inattendibilità di una parte della dichiarazione non sia talmente

compromettere la stessa credibilità del dichiarante. Quando ragionevolmente si
prospetta dalla parti, e ancor più quando oggettivamente si constata, un’ipotesi
siffatta, l’obbligo motivazionale del giudice ne risulta rafforzato, non potendo egli
omettere di affrontare la questione e spiegare le ragioni per cui l’inattendibilità
parziale delle dichiarazioni, non incide sull’attendibilità del dichiarante (Cass. Sez. 6,
n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri).
1.6. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto che “fonte probatoria
fondamentale” per l’affermazione di responsabilità degli imputati è costituita dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Cortese, Marini, Bumbaca e Bonaventura.
A tale proposito gli appellanti avevano formulato specifici motivi d’appello. La
Corte territoriale ha risposto con considerazioni generiche, richiamandosi a quanto
avevano espresso i giudici di primo grado e utilizzando (soprattutto con riferimento
alle dichiarazioni di Cortese e di Marino, che hanno costituito la più importante base
probatoria) il principio di frazionabilità per “assemblare” illogicamente le parti
coincidenti di dichiarazioni differenti. Essa ha sostanzialmente eluso le critiche più
puntuali rivolte alla valutazione sull’attendibilità personale e sulla credibilità delle loro
dichiarazioni.
Così, per esempio, è accaduto con riferimento alle critiche degli appellanti sulla
scarsa credibilità del Cortese, appartenente al gruppo Grandearacri, avversario degli
Arena, nella parte in cui descrive di incontri con Fabrizio Arena, riferisce di avere
partecipato a riunioni della cosca Arena o di avere ricevuto dallo stesso Fabrizio Arena
la comunicazione dell’intenzione di eliminare Ernesto Grandearacri.
Alla censura di inverosimiglianza che un capoclan riveli ad un esponente del
gruppo contrapposto l’intenzione di uccidere un avversario di spessore, la Corte
territoriale si è limitata a prendere atto che la spiegazioni offerta dal Cortese

(“non

avendo egli partecipato agli agguati ai danni di Raffaele Dragone e Franco Arena – ed
essendo nota tale circostanza agli Arena – non aveva nulla da temere) “appare logica
e coerente con le dinamiche delinquenziali di tipo mafioso”.
Osserva il Collegio che siffatta apodittica affermazione non fornisce alcuna
spiegazione, tanto più che la massima di esperienza implicita in siffatta affermazione
6

macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da

[“agli esponenti del gruppo nemico che non hanno partecipato ad uno specifico
gruppo di fuoco (ai danni di Raffaele Dragone e Franco Arena) si può ben confidare
l’intenzione omicida di uccidere uno dei loro capi; gli stessi, inoltre, possono persino
partecipare a riunioni riservate del sodalizio criminale contro cui combattono”]
contrasta con elementari criteri di logica comune e con quanto risulta dall’esperienza
giudiziaria delle dinamiche dei gruppi mafiosi in contrapposizione, fondate sulla
segretezza delle intenzioni omicide e delle programmate aggressioni, che potrebbero

avversario. Tanto più quando l’elemento della segretezza è stato ritenuto, dai giudici
di primo grado e di appello, uno dei connotati del gruppo mafioso in esame, al punto
che i sodali utilizzavano un “sistema chiuso” di comunicazione telefonica.
1.7. Assorbiti gli altri motivi di ricorso, la sentenza deve, pertanto, essere
annullata nei confronti dei tre imputati di partecipazione ad associazione mafiosa, con
rinvio alla Corte territoriale, che dovrà procedere a nuovo giudizio sulla base dei
principi di diritto sopra enunciati.

2. Il ricorso di Domenico Magnolia, condannato per il delitto di favoreggiamento
personale, va accolto limitatamente all’aggravante di cui al secondo comma dell’art.
378 c.p..
Il Tribunale e la Corte d’appello hanno ritenuto provata la circostanza che
il Magnolia, appresa in maniera illecita la notizia dal carabiniere Borsci, suo
amico, informò Morelli e Lentini, consentendo loro di sottrarsi alla cattura.
Il ricorrente ha riproposto le censure formulate in appello contro la sentenza di
primo grado, con particolare riferimento all’elemento cronologico del fatto contestato
(al fine di stabilire se le ricerche del Morelli da parte dei Carabinieri avessero
effettivamente avuto già inizio) e all’effettiva idoneità ed efficacia della condotta
dell’imputato “a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità”.
Si tratta di motivi di impugnazione non consentiti ex art. 606 c.p.p., in quanto
involgono accertamenti e valutazioni di fatto estranei alla competenza della Corte di
legittimità, il cui sindacato è circoscritto al controllo della motivazione nei termini
stabiliti dall’art. 606.1 lett. e) c.p.p.
Osserva il Collegio che sotto quest’ultimo profilo – e salvo quanto si dirà sulla
ritenuta aggravante – la sentenza è indenne dai denunciati vizi di motivazione,
avendo assolto con puntualità agli obblighi stabiliti dagli artt. 192.1 e 546.1 lett. e)
c.p.p. e rigettato con esauriente e logica motivazione tutti i motivi prospettati con
l’atto d’appello.
I giudici del merito hanno illustrato minutamente le risultanze
7

essere compromessi e neutralizzati da ogni rivelazione a membri del gruppo

dell’istruttoria dibattimentale (testimonianza del capitano dei Carabinieri,
dichiarazioni del correo Borsci, esame dell’imputato Magnolia, contenuto
delle conversazioni intercettate e analisi incrociata del traffico telefonico
delle intercettazioni, avvenute nei giorni 19, 20 e 21 aprile 2009, quest’ultime tra
le 4 e le 5 del mattino, ora in cui l’ordinanza di custodia carceraria avrebbe dovuto
esser eseguita), e sono giunti, al di là di ogni ragionevole dubbio, alla
conclusione che l’imputato – dopo avere appreso illecitamente dal suo amico

dell’imminente esecuzione di una misura cautelare – si affrettò a comunicarla
allo stesso Morelli, suo parente.
Tutti gli elementi addotti a difesa dell’imputato (a cominciare
dall’asserita modalità fortuita ed occasionale di apprendimento della notizia)
sono stati analizzati in maniera approfondita e rigettati perché contrastanti con
univoci elementi probatori. Irrilevante risulta, perciò, l’assunto del ricorrente di
aver avvisato il Morelli nell’esercizio del suo mandato di difensore (circostanza
peraltro motivatamente esclusa in fatto dai giudici del merito), al fine di
invocare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non integra il delitto di
favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo fortuitamente
acquisito la notizia dell’emissione nei confronti del proprio assistito di una misura
cautelare, lo informi (Cass. Sez. 6, n. 20813 del 18/05/2010, Valentino, Rv. 247349).
Nel caso in esame, i giudice del merito, con motivazione completa, logica e
coerente, hanno escluso che l’acquisizione della notizia fosse avvenuta in maniera
occasionale e fortuita, avendo invece trovato causa nel legame di amicizia e di favori
reciproci che intercorrevano tra l’avvocato Magnolia e il carabiniere Borsci.
2.1. Immotivata risulta invece la sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 378, comma secondo c.p. La Corte territoriale si limita a rilevare – con
riferimento al trattamento sanzionatorio – che “il reato commesso si presenta di
particolare ed estrema gravità avendo l’imputato posto in essere la condotta a
lui ascritta con estrema disinvoltura e nella piena consapevolezza della sua
illiceità e con la piena conoscenza, data la provenienza dal medesimo contesto
territoriale, della gravità delle condotte attribuite ai soggetti favoriti”.
Orbene, considerato che, a norma dell’art 59, comma secondo, c.p., “le
circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da
lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato
da colpa”, la ritenuta sussistenza dell’aggravante richiede una specifica motivazione
sulla conoscenza da parte dell’imputato del reato presupposto, tanto più che nel caso
in esame il Magnolia, pur ammettendo di aver rivelato al Morelli dell’imminente
arresto, ha negato di conoscere la ragione del provvedimento.
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carabiniere Borsci, incaricato di procedere nei confronti del Morelli, la notizia

2.2. La sentenza va, perciò, annullata anche nei confronti del Magnolia, ma solo
limitatamente all’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 c.p., con rinvio per
nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Salvatore e Gentile Fiore e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di
appello di Catanzaro; annulla la medesima sentenza limitatamente all’aggravante di
cui al secondo comma dell’art. 378 c.p. nei confronti di Magnolia Domenico e rinvia
per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Rigetta nel resto il ricorso del Magnolia.
Roma, 18 luglio 2013

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di Arena Fabrizio, Arena

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