Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35313 del 30/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35313 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROSI PIETRO N. IL 29/07/1962
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 85/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
21/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/stat le conclusioni del PG Dott. Lsp fLuu. czt k,
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Data Udienza: 30/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Rosi Pietro, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 18.8.2007 al
23.4.2009, perché raggiunto da gravi indizi per i reati rispettivamente di cui
all’art. 74 T.U. Stup. e agli artt. 110 cod. pen., 73 T.U. Stup., dai quali era stato
mandato assolto in data 23.4.2009 dal giudice di secondo grado, per non aver
commesso il fatto (sentenza irrevocabile il 24.9.2009).

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento del Rosi aveva dato corso all’ordinanza di custodia cautelare,
individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento
dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Rosi “si era dimostrato attivo in una
serie di contatti” con persone delle quali conosceva i ruoli svolti nell’importazione
e smercio della sostanza stupefacente; gli elementi a suo carico emergevano
dalle spontanee dichiarazioni rese all’autorità.
Il Rosi ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art.
314 cod. proc. pen., asserendo che “le deduzioni cui perviene il giudice del
provvedimento impugnato … (sono) frutto della forza suggestiva di quel
materiale captativo” già dichiarato inutilizzabile; che le spontanee dichiarazioni
del Rosi sono state valutate illogicamente, essendo state derivati da esse
elementi a carico nonostante non ve ne fosse motivo e quindi in modo apodittico.

2. Con ‘memoria’ depositata 1’11.5.2013, l’Avvocatura generale dello Stato, in
rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto la
conferma dell’ordinanza impugnata, perché il coinvolgimento del Rosi nell’illecita
attività di spaccio emergeva dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e
dalle osservazioni di p.g.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel
senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del
15.10.2002, secondo la quale “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità”.

2

La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

La giurisprudenza citata dal ricorrente, secondo la quale “la condizione ostativa
al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione
rappresentata dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta
carcerazione, non può consistere in circostanze relative alla condotta già oggetto
della pronuncia assolutoria, ma deve concretarsi in comportamenti esterni ai
temi dell’incolpazione, di tipo processuale, come un’autoincolpazione, un silenzio
cosciente su di un alibi, una fraudolenta creazione di tracce o prove a proprio
danno” (Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 – dep. 22/05/1992, Zenatti, Rv.

per il quale “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione
ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il
richiedente dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in
comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il giudice è
peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione. (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante
ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento del Rosi nell’attività
illecita che gli è stata attribuita in guisa di concorso nel reato.
3.2. Nella specie, la Corte territoriale si è sottratta al proprio compito. Come
correttamente rilevato dal P.G., nell’indicare gli elementi rappresentativi della
colpa grave che osta al riconoscimento dell’indennizzo, la Corte di Appello ha
fatto esclusivo riferimento a elementi sopraggiunti all’adozione del
provvedimento cautelare (spontanee dichiarazioni del Rosi), peraltro senza dare
conto dei passaggi interpretati in senso sfavorevole al medesimo. Ne deriva una
motivazione generica, dalla quale non si trae una concreta spiegazione delle
condotte ascritte al Rosi le quali, pur non costituendo illecito penale, sono state
ritenute idonee a determinare l’applicazione della misura cautelare.
Né muta tale conclusione il fatto che il resistente abbia menzionato elementi
ulteriori dai quali era stato tratto il coinvolgimento del Rosi nell’attività illecita,
posto che anche in tal caso si tratta di mere enunciazioni.

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190488), è stata presto disattesa dalla successiva, che si è attestata sul principio

4. Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di
Appello di Roma per nuovo esame. Il regolamento delle spese tra le parti deve
essere rimesso al giudice del rinvio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma per
nuovo esame rimettendo il regolamento delle spese tra le parti alla medesima
Corte.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30/5/2013.

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