Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35312 del 30/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35312 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MARINO DOMENICO, N. L’11.1.1985,
avverso l’ordinanza n. 59/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Catania il
14/11/2011;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
lette le conclusioni del P.G. Dott. Vito D’Ambrosio, che ha chiesto il rigetto deltA
,
RITENUTO IN FATTO
1. Marino Domenico, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 23.4.2009 al
20.5.2010, in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 73 T.U.
stup., per il quale era stato mandato assolto in data 20.1.2011 dal giudice di
primo grado, per non aver commesso il fatto (sentenza irrevocabile il
19.2.2011).
La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento del Marino aveva dato corso all’ordinanza di custodia cautelare,
individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento

Data Udienza: 30/05/2013

dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Marino, sotto la diretta osservazione
dei militari operanti, aveva lungamente sostato dinanzi ad un’officina meccanica
(sita al civico 95 di via Vitaliti, in Catania), nelle immediate vicinanze della quale
si era protratta per più ore un’intensa attività di spaccio al minuto di sostanze
stupefacenti da parte di alcuni giovani, alcuni dei quali venivano visti dagli
operanti avvicinarsi a più riprese al Marino. Inoltre, una volta dato corso
all’arresto dei presenti, erano state rinvenute ottantacinque dosi di stupefacente
nell’androne del civico 79.

dell’art. 314 cod. proc. pen., censurando l’interpretazione data dal giudice di
merito e affermando che la semplice attesa davanti ad un’officina non può
ingenerare sospetto. Rileva altresì l’esponente che “l’estraneità del Marino ai fatti
oggetto di contestazione era stata già rilevata in maniera ‘diplomatica’ in sede di
udienza di convalida (che aveva condotto, infatti, solo all’applicazione degli
arresti domiciliari)” e che la colpa grave non può essere tratta che da
comportamenti esterni ai temi della incolpazione, citando a sostegno la
pronuncia di questa Corte, Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 – dep. 22/05/1992,
Zenatti, Rv. 190488.
Con un secondo motivo denuncia vizio motivazionale, in quanto la Corte di
Appello avrebbe fondato la propria decisione su circostanze di fatto escluse dal
giudizio assolutorio ed inoltre avrebbe fatto riferimento alla sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza in ordine ai reati di rapina e lesioni aggravate in concorso,
in realtà mai contestati al Marino nel procedimento di cui trattasi. Ripetuti errati
riferimenti documenterebbero la mancata analisi della vicenda che riguarda
l’odierno ricorrente, sicché si verserebbe in ipotesi di motivazione mancante.

2. Con ‘memoria di replica’ depositata il 26.10.2012, l’Avvocatura generale dello
Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto
la conferma dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel
senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del
15.10.2002, secondo la quale “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o

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Il Marino ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione

violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità”.
La giurisprudenza citata dal ricorrente, secondo la quale “la condizione ostativa
al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione
rappresentata dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta
carcerazione, non può consistere in circostanze relative alla condotta già oggetto
della pronuncia assolutoria, ma deve concretarsi in comportamenti esterni ai
temi dell’incolpazione, di tipo processuale, come un’autoincolpazione, un silenzio

danno” (Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 – dep. 22/05/1992, Zenatti, Rv.
190488), è stata presto disattesa dalla successiva, che si è attestata sul principio
per il quale “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione
ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il
richiedente dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in
comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il giudice è
peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione. (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante
ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento del Marino nell’attività
illecita che gli è stata attribuita in guisa di concorso nel reato.
Nella specie, non vi è dubbio che la Corte territoriale, con motivazione logica ed
ampia, ha spiegato che le condotte ascritte al Marino, pur non costituendo illecito
penale, sono state idonee a determinare l’applicazione della misura cautelare. In
particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato il fatto della prolungata
sosta sul teatro dell’azione certamente illecita da altri perpetrata e la circostanza
del ripetuto avvicinamento al Marino dei soggetti in quella coinvolta, senza che
gli operanti avessero potuto individuare nello svolgimento dell’accadimento – a
giustificazione del comportamento del Marino – ragioni alternative al
coinvolgimento nell’illecito; l’omessa dimostrazione di plausibili ragioni di
discolpa e l’aver reso dichiarazioni in aperto contrasto con l’esito del servizio di
osservazione condotto dai militari operanti.

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cosciente su di un alibi, una fraudolenta creazione di tracce o prove a proprio

Siffatte condotte – sommate fra loro – senz’altro consentono di configurare la
colpa grave, così come individuata dalle SS.UU.
Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima
rivalutazione della sentenza penale di assoluzione (Sezioni unite 23.12.1995 n.
43), ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa
all’emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma del
primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. , ha escluso il diritto dell’istante alla
riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee a far ritenere

coinvolgimento del Marino nella fattispecie criminosa contestata.
Arbitraria, se non illogica, è l’affermazione del ricorrente di una immediata
emersione della sua estraneità ai fatti, perché gli vennero concessi gli arresti
domiciliari. E’ piuttosto vero che l’adozione della misura cautelare dimostra che
vennero ritenuti i gravi indizi di colpevolezza.
Quanto agli errati riferimenti operati dalla Corte di Appello, essi nulla tolgono alla
compiutezza e alla logicità della motivazione qui impugnata, essendo confinati a
passaggi non essenziali.

4. Segue al rigetto del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle
spese in favore del Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 750,00
oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, che
liquida in complessivi euro 750,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30/5/2013.

– anche se limitatamente all’emissione di una misura cautelare – il

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