Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35311 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35311 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONANOMI GIULIANA N. IL 07/04/1975
avverso la sentenza n. 4630/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/06/2013 là relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
eczi); -,21
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. rv24,2r-kez
che ha concluso per

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Udito, per 1

e civile l’Avv

Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 25/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il GUP del Tribunale di Monza, con sentenza del 21/9/2007,
giudicata Bonanomi Giuliana colpevole del delitto di cui all’art. 73, commi 1 e
5 e art. 80, comma 1, lett. g) del d.P.R. n. 309/1990, effettuata la riduzione
di cui all’art. 442, cod. proc. pen., condannò la medesima alla pena di anni
due di reclusione ed €. 4.000,00 di multa.

proposta dall’imputata, con sentenza del 26/6/2012, ritenuta la già concessa
attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del citato d.P.R. equivalente alla
contestata aggravante e alla recidiva, confermò la pena inflitta dal Tribunale.
In punto di quantificazione della pena, per quel che qui rileva, la Corte
territoriale precisava quanto appresso. «Il GUP ha qualificato i fatti ai sensi
del comma V dell’art. 73 d.P.R. 309/90, concedendo pertanto l’attenuante,
che avrebbe dovuto essere dichiarata equivalente (in presenza della recidiva
contestata ai sensi dell’art. 99 V comma cp) alla contestata recidiva ed
aggravante: la pena base da adottare era pertanto quella prevista dal I
comma dell’art. 73 dPR 309/90, ossia anni 6 di reclusione, da diminuirsi per il
rito ad anni 4. Il Calcolo è stato effettuato, all’evidenza, in maniera errata,
tuttavia in assenza di impugnazione del P.M. o del P.G., la pena non può
essere modificata, non essendo possibile una reformatio in peius».

2. La Bonanomi ricorre per cassazione esplicitando plurimi motivi
di censura.

2.1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione del combinato
disposto degli artt. 63/69 in relazione agli artt.99, comma 4, 73, commi 1 e 5
e 80, comma 1, d.P.R. n. 309/1990. «Malgrado l’errore nell’applicazione dei
principi di legge che regolano nel caso concreto il bilanciamento delle
circostanze, il Giudice ha volontariamente individuato una precisa pena finale
da infliggere all’imputata; pena certamente legale (…)», stante che «per
poter pervenire più correttamente al medesimo risultato, invero, il GUP
avrebbe dovuto individuare la pena mediante disapplicazione della recidiva e
la valutazione subvalente della circostanza di cui all’art. 80 rispetto alla
circostanza di cui al comma V dell’art. 73 (…) [peraltro] il nuovo
bilanciamento operato dalla Corte d’Appello risulta comunque errato, poiché la
qualificazione giuridica operata dal Collegio non permette di individuare una
pena base tale da consentire di pervenire alla pena finale irrogata dal GUP (…)
l’unico modo corretto per poter legalmente pervenire alla pena di cui alla
1

1.1. La Corte d’appello di Milano, investita dall’impugnazione

sentenza di primo grado sarebbe stato quello di disapplicare la recidiva e
considerare prevalente l’ipotesi attenuata di cui al comma V dell’art. 73 del
dPR 309/1990 rispetto alla contestata aggravante prevista dalla lett. g) del
comma I dell’art. 80». In conclusione la ricorrente chiede disapplicarsi la
recidiva e dichiararsi la prevalenza dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art.
73 cit. sull’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett. g) di cui detto. In
subordine, invoca l’annullamento con rinvio della statuizione al giudice di
primo grado, in considerazione dell’influenza decisiva sul dispositivo

2.2. Con il successivo motivo la Bonanomi si duole della mancata
assunzione di prove decisive da parte della Corte d’appello, la quale aveva
negato ingresso alla documentazione, afferente a fatti maturatisi dopo la
sentenza di primo grado, dalla quale poteva trarsi il convincimento che la
stessa era stata indotta alla consegna dello stupefacente a Buono Franco,
mentre costui trovavasi detenuto, dalle minacce e violenze perpetrate dal
medesimo nei di lei confronti, tanto che proprio per queste stesse ragioni il
medesimo Tribunale di Monza, per un fatto analogo, aveva concesso le
attenuanti generiche ed escluso la recidiva in favore della ricorrente.

2.3. Con il terzo motivo, denunziante inosservanza dell’art. 54, cod.
pen. La Bonanomi si duole della mancata assoluzione avendo agito perché
costretta dalle minacce e dalle violenze patite per opera del Buono. La
circostanza che l’uomo all’epoca si trovasse detenuto non poteva affatto
considerarsi ostativa a causa della specifica pericolosità del soggetto, il quale
aveva proferito l’attendibile minaccia che avrebbe saputo a chi rivolgersi per
sottoporla alla punizione del caso. L’aggressività del predetto trovava
conferma nei maltrattamenti perpetrati ai danni della donna dall’ottobre 2001
al 31 dicembre 2006 e dall’aggressione che l’uomo aveva messo in atto
appena rimesso in libertà, a pochi mesi di distanza del fatto qui in esame.

2.4. Con il quarto motivo la ricorrente rileva l’erronea applicazione
dell’art. 99, comma 5, cod. pen., stante che si verte al di fuori dell’ipotesi
contemplata dalla norma, la quale evoca le aggravanti di cui al comma 2
dell’art. 80, d.P.R. n. 309 cit., e non quelle di cui al comma 1.
La recidiva contestata era quella di cui al comma 4 dell’art. 99 e la stessa
avrebbe dovuto essere disapplicata tenendo conto delle condizioni di grave
vessazione che avevano spinto l’imputata alla consegna dello stupefacente.

2

dell’errore di diritto.

2.5. Con il quinto ed ultimo motivo, assumendosi erronea
applicazione di legge, s’invoca la concessione delle attenuanti generiche, non
potendosi ignorare lo stato di prostrazione e sudditanza nella quale l’imputata
era costretta dal convivente.

3.

In data 10/6/2013 è pervenuta memoria difensiva che,

nell’interesse della ricorrente, insiste per l’accoglimento del ricorso.

4. Il ricorso deve essere rigettato.

5. Il primo ed il quarto motivo, che possono prendersi in unitario
esame, stante la comunanza d’oggetto, sono privi di fondamento.
In primo luogo appare utile chiarire che, al contrario di quel che asserisce
la ricorrente, approfittando di un mero errore materiale d’indicazione
commesso dalla Corte territoriale, rimasto privo di conseguenze, la recidiva
contestata alla ricorrente («reiterata specifica infraquinquennale») integra
la fattispecie di cui all’art. 99, comma 4, seconda parte, cod. pen.
Ciò posto, a mente dell’art. 69, comma 4, cod. pen., il giudizio di
bilanciamento con le attenuanti non può essere condotto al di là
dell’equivalenza.
Quindi, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, errò il
Tribunale a far prevalere l’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R.
n. 309/1990, con la conseguenza che l’imputata ne ha ricavato trattamento
più favorevole rispetto a quanto previsto dalla legge, divenuto intangibile a
causa della mancata impugnazione sul punto da parte del P.M.
Quanto alla richiesta di disapplicazione della recidiva basta osservare che
in questa sede non è consentito esprimere valutazioni di merito, ove, come
nel caso di specie, consti motivazione esente dai vizi deducibili in sede di
legittimità (la Corte territoriale, a pag. 4, prende in analitica rassegna i
precedenti penali della ricorrente e le modalità delle condotte devianti,
esprimendo severo giudizio di pericolosità sociale).

6. Il secondo ed il terzo motivo, anch’essi assimilabili in ragione
della complessiva prospettazione sottoposta al vaglio, sono del pari infondati.
In definitiva la Bonanomi assume di essere stata costretta dalle minacce,
soprafazioni e violenze dell’allora convivente, Buono Franco, a fargli avere,
approfittando dei colloqui carcerari, lo stupefacente e che la Corte di Milano,

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

negando l’accesso a documentazione nuova, corroborante l’assunto, aveva
violato il diritto alla prova dell’imputata.
Anche a non voler considerare che il processo risultava essere stato
definito nelle forme del rito abbreviato (condivisamente si è ritenuto che in tal
caso la parte non abbia il diritto alla prova, spettando al giudice d’appello la
valutazione discrezionale circa l’assoluta necessità dell’acquisizione – Cass.,
Sez. I, n. 35846 del 23/5/2012 -), la motivazione spesa sulla questione dalla
Corte di merito non appare in alcun modo censurabile in questa sede.

si chiedeva di produrre, attestante statuizioni di condanna ai danni del Buono
per atti di violenza, comprovati da certificazioni, ai danni della convivente non
avrebbero giammai potuto dimostrare che la stel avesse agito costretta dallo
stato di necessità, mancando la condizione essenziale dell’attualità dello stato
di pericolo di danno alla persona altrimenti non evitabile: l’uomo trovavasi
detenuto, la donna si presentò al colloquio recando seco lo stupefacente, che
consegnò al Buono, ed era ben in condizione, tenuto conto dello specifico
contesto, di denunziare il fatto e chiedere protezione. Senza contare che la
stessa si era volontariamente posta nella situazione di pericolo, spacciando
con il convivente (v’è sentenza passata in giudicato) e mantenendo la
relazione. Infine, non può non rilevarsi che, siccome si trae dallo stesso
ricorso, tratterebbesi di episodi ben successivi al fatto qui in esame.

7. il quinto ed ultimo motivo non supera il vaglio d’ammissibilità a
causa della sua manifesta infondatezza, essendo precluso per legge a questa
Corte esprimere valutazione di merito difforme rispetto a quanto ritenuto dalla
Corte territoriale con motivazione non censurabile (pag. 4).

8. All’epilogo consegue la condanna della Bonanomi al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Puntualmente, infatti, quel giudice ha chiarito che la documentazione che

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IV Sezione Penale

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