Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35306 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35306 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCOTTI UGO MARIO N. IL 14/08/1943
avverso la sentenza n. 3521/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/07/2012

Data Udienza: 25/06/2013

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ea-u-C12/)
che ha concluso per -R. –21,e4T- ,cy(Le

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RITENUTO IN FATTO

Lo Scotti era stato dichiarato responsabile in ordine al
reato di disastro colposo in relazione alla progettazione e
vendita di un serbatoio di polietilene il cui collasso,
avvenuto in data 13.03.2001 presso la ditta acquirente F.11i
Bonafede, aveva causato, a seguito della fuoriuscita di
ipoclorito di sodio al 15% e la generazione di una nube
tossica, l’intossicazione di più persone, tra cui gli
operanti intervenuti e un pericolo per l’incolumità pubblica.
Il Tribunale aveva individuato le cause del collasso del
serbatoio nella scelta del materiale per la realizzazione
dello stesso, che aveva reso possibile lo schianto improvviso,
e nella scelta non idonea dello spessore, entrambe cause
rappresentata
addebitabili
alla
ditta
costruttrice
dall’imputato.

.

Avverso la decisione del Tribunale di Busto Arsizio ha
proposto appello il difensore dell’imputato.
La Corte di Appello di Milano in data 10.07.2012, con la
sentenza oggetto del presente ricorso, in parziale riforma
della sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio,
dichiarava non doversi procedere nei confronti di Scotti Ugo
Mario in ordine all’imputazione ascrittagli, essendosi il
reato estinto per intervenuta prescrizione; confermava le
statuizioni civili e condannava lo Scotti alla rifusione
delle spese sostenute dalle parti civili liquidate come in
dispositivo.

,

Avverso la predetta sentenza Scotti Ugo Mario, a mezzo dei
suoi difensori, proponeva ricorso per Cassazione chiedendone
l’annullamento con o senza rinvio e censurava la sentenza
impugnata per i seguenti motivi:
l) motivazione mancante e/o manifestamente illogica ( art. 606,
comma l, lett. e) cod.proc.pen) con riferimento alla
richiesta di rinnovazione del dibattimento avente ad oggetto
una nuova perizia. Affermava sul punto la difesa di avere
illustrato analiticamente nei motivi di appello le censure
tecniche alle risultanze della perizia svolta dal Tribunale
sulla scorta delle relazioni tecniche di parte e degli esiti
dell’esame dello stesso perito e dei consulenti
dell’imputato, criticando altresì la metodologia impiegata
dal perito che, ad avviso della difesa, aveva fissato “a
priori” il risultato per poi cercare di giustificarlo in

Con sentenza dell’1.06.2006 il Tribunale di Busto Arsizio
dichiarava Scotti Ugo Mario colpevole del reato di cui
all’art.449 c.p. in relazione all’art.434 c.p. e lo
condannava alla pena di anni uno di reclusione, concesse le
attenuanti generiche, con il beneficio della sospensione
condizionale, oltre al risarcimento dei danni in favore delle
parti civili da liquidarsi in separato giudizio.

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,

qualche modo e la circostanza che il perito aveva fatto
riferimento a prodotti che non esistevano all’epoca della
realizzazione del serbatoio di cui è processo. Secondo la
difesa poi il tecnico aveva erroneamente valutato anche la
presenza di tracce di metalli che risultavano presenti nel
serbatoio collassato non riconducibili ad ipoclorito, e non
aveva proceduto ad alcuna valutazione della possibilità che
lo stesso serbatoio potesse essere utilizzato anche per lo
stoccaggio di prodotti diversi dall’ipoclorito. La difesa
aveva poi posto l’accento sulla possibilità che una delle
cause del collasso del serbatoio fosse da rinvenirsi nella
mancanza di manutenzione da parte della ditta acquirente
B4onafede. Tuttavia lamentava la difesa del ricorrente che
nessuno di tali rilievi critici era stato oggetto di risposta
da parte del perito, né era stato oggetto di concreta
indagine sia da parte del Tribunale di Busto Arsizio, sia da
parte della Corte di appello di Milano. Sul punto la
motivazione della Corte territoriale sarebbe comunque
illogica, in quanto pretendeva di giustificare il rigetto
della rinnovazione del dibattimento richiesta esclusivamente
sulla base del metodo di indagine impiegato dal perito, senza
tuttavia indicare le ragioni per le quali erano irrilevanti
le censure mosse a tale perizia dai consulenti dell’imputato
e sulle quali né il perito, né i giudici di merito avevano
fornito risposta.
insufficiente e/o manifestamente
Motivazione mancante,
2)
illogica in ordine alla richiesta valutazione della
documentazione allegata ed indicata nell’atto di appello.
Affermava sul punto la difesa di avere chiesto altresì
l’acquisizione della documentazione indicata in calce
all’atto di appello, concernente non solo il verbale di
contravvenzione della ASL, ma altresì la documentazione
tecnica concernente la versione dei serbatoi da impiegare per
lo stoccaggio dell’ipoclorito di sodio, oltre alla tabella
del prodotto ritenuto dal perito come più resistente rispetto
a quello utilizzato dalla dita dell’imputato. In ordine a
tale richiesta di rinnovazione del dibattimento la Corte
territoriale aveva però omesso di pronunciarsi.
3) Mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione per
travisamento della prova con riferimento alla produzione del
gas. Sosteneva sul punto la difesa che, diversamente da
quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la fuoriuscita
dell’ipoclorito di sodio contenuto nel serbatoio prodotto
dalla società di cui l’imputato era rappresentante legale,
non avrebbe potuto procurare alcuna intossicazione o nube di
qualsivoglia genere, essendo essa derivata esclusivamente dal
contatto tra lo stesso ipoclorito di sodio e il policlorulo
di alluminio contenuto in una vasca posta improvvidamente
dalla ditta Bonafede nelle adiacenze del serbatoio poi
collassato, nei cui confronti la ASL della Provincia di
Varese aveva riscontrato violazioni con riferimento alla

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,

inidoneità dei muretti di contenimento dei serbatoi ed alla
inidoneità dei collegamenti tra i tre serbatoi.
4) Contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione
per travisamento della prova con riferimento alle ragioni di
colpevolezza ritenute a carico dello Scotti. Osservava sul
punto la difesa che, diversamente da quanto ritenuto dai
giudici di merito, non rispondeva al vero che l’attività di
controllo e di manutenzione del serbatoio fosse stata
affidata alla societa di cui l’imputato era amministratore,
come emergeva dalla documentazione indicata in ricorso.
5) Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in
riferimento agli articoli 430,516518 e 521 c.p.p. per
mancanza di correlazione tra il capo di imputazione e la
sentenza.
6) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
nullità,
inammissibilità
ovvero
inutilizzabilità
con
riferimento all’art.522 c.p.p. per nullità della motivazione
in ordine a quanto sopra. Osservava sul punto la difesa che
il capo di imputazione aveva ad oggetto una colpa specifica
addebitata allo Scotti con esclusivo riferimento alla
realizzazione ed alla tecnica costruttiva del serbatoio
collassato. La Corte territoriale invece aveva individuato un
elemento di colpa diverso rispetto all’imputazione e cioè una
mancata adeguata informativa alla ditta Bonafede in ordine
alle esigenze di manutenzione con riferimento alla frequenza
e modalità dei controlli.
7) Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con
riferimento agli articoli 129 e 578 c.p.p.. Secondo la difesa
la Corte territoriale, che aveva dichiarato l’intervenuta
prescrizione, non avrebbe avuto necessità “dell’evidenza
probatoria” per giungere ad una assoluzione nel merito, pur
in presenza di una causa estintiva del reato, dovendo
coordinarsi con la presenza della parte civile e di una
condanna in primo grado che impone ai sensi dell’art.578
c.p.p. di pronunciarsi sull’azione civile.
8) Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con
riferimento agli articoli 449,434 e 41 c.p. in ordine alla
mancata esclusione del nesso di causalità in quanto, secondo
la difesa, la condotta della ditta Bonafede, acquirente del
serbatoio, sarebbe stata idonea ad interrompere il nesso di
causalità, dal momento che la stessa aveva posto tra di loro
vicini i serbatoi di ipoclorito di sodio e di policlorulo di
aveva collegato tre serbatoi con un’unica
alluminio,
tubazione rigida in PVC e aveva realizzato dei muretti
delle
violazione
in
contenimento
al
insufficienti
prescrizioni di legge.
della
illogicità
e/o manifesta
insufficiente
9) Omessa,
motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del
rapporto di causalità oltre che in ordine alla prevenibilità
e prevedibilità dell’evento.
10) Omessa pronuncia ex art.606 lett.b) ed e) c.p.p. in ordine
alla previsione di cui all’art.52 d.lgs 196/03. Lamentava sul

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punto la difesa dell’imputato di avere richiesto nei motivi
aggiunti che in caso di riproduzione della sentenza venissero
omesse le sue generalità ai sensi dell’art.52 d.lgs 196//03,
ma nessun provvedimento sul punto era stato in concreto
assunto dalla Corte territoriale.

Osserva la Corte preliminarmente che la Corte territoriale ha
correttamente dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta
prescrizione in quanto ha ritenuto che non emergevano elementi
che rendessero evidente che il fatto non sussiste, o che
l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto non è preveduto
dalla legge come reato.
Perché possa applicarsi infatti la norma di cui all’art. 129 cpv
cod.proc.pen., che impone il proscioglimento nel merito in
presenza di una causa di estinzione del reato, è necessario che
risulti evidente dagli atti processuali la prova
dell’insussistenza del fatto, o che l’imputato non lo ha
commesso o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
“In tema di declaratoria di causa di non punibilità nel
merito, rispetto a causa estintiva del reato, il concetto di
“evidenza” presuppone la manifestazione di una verità
processuale cosi chiara, manifesta ed obiettiva, che ogni
manifestazione appaia superflua, concretizzandosi, cosi, in
qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione
ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato”
(Cass. Sez. 4 sent. N. 12724 del 28.10.1988).
Risulta pertanto infondato il settimo motivo di ricorso.
Passando all’esame del terzo, quarto, ottavo e nono motivo di
si osserva che gli stessi risultano parimenti
ricorso,
infondati, avendo la Corte territoriale dato conto con
argomentazioni logiche delle ragioni che l’hanno indotta a
confermare le statuizioni civili.
Sent. n.4842 del
Sez.4,
Cass.,
(cfr.
Si osserva infatti
2.12.2003, Rv. 229369) che, nel momento del controllo della
motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei
fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità
di apprezzamento; ciò in quanto l’art.606, comma 1, lett.e)
c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati
processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è
estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla
correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare
logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei
limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di
Milano hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi che li

CONSIDERATO IN DIRITTO

hanno indotti a confermare le statuizioni civili nei confronti
dell’odierno ricorrente.
In particolare hanno evidenziato che l’incidente si è
verificato a causa dell’improvviso violento cedimento di un
serbatoio esistente presso la ditta B4onafede contenente
ipoclorito di sodio e della fuoriuscita del liquido contenuto in
esso e in altri serbatoi collegati da un’unica tubazione, che il
crollo aveva distrutto, liquido da cui si era poi sprigionata
una nube tossica che aveva determinato problemi a numerose
persone e pericolo concreto per l’incolumità pubblica.
I giudici della Corte territoriale hanno poi rilevato, valutando
con attenzione le conclusioni del perito, che la scelta di un
più adeguato materiale, anche in presenza di una degradazione
dovuta ad agenti esterni, avrebbe comportato che il serbatoio si
sarebbe soltanto fessurato, ma non ci sarebbero state quelle
particolari modalità di rottura, che hanno determinato il suo
collasso totale e violento con conseguente trascinamento della
tubatura collegata anche ai serbatoi vicini dai quali si è pure
versato il liquido che, miscelandosi con altri prodotti stoccati
dalla stessa ditta Bittonafede, ha prodotto la nube tossica
generatrice di danni alle persone presenti.
Pertanto i giudici di appello hanno ritenuto che non c’è stata
nessuna condotta addebitabile alla ditta acquirente, come per
esempio eventuali difetti di manutenzione e controllo, che possa
avere dato luogo ad una serie causale autonoma, così come
sostenuto dalla difesa, capace di provocare da sola l’evento,
essendo stato lo stesso causato dall’apertura completa ed
improvvisa del serbatoio resa possibile dalle caratteristiche
del materiale con cui era stato costruito, addebitabile alla
ditta costruttrice facente capo all’imputato, in rapporto ai
liquidi che vi dovevano essere stoccati.
I giudici della Corte territoriale hanno poi evidenziato altresì
un profilo colposo a carico dell’imputato, consistente nel non
avere, nella sua qualità di rappresentante legale della ditta
produttrice e venditrice del serbatoio collassato, fornito
all’acquirente indicazioni in merito alle esigenze di
manutenzione del serbatoio e alla frequenza e modalità dei
controlli, pur essendo egli a conoscenza delle caratteristiche
del materiale con cui era stato costruito.
Tale profilo di colpa, come hanno osservato i giudici di merito,
è soltanto una componente della condotta colposa per imprudenza,
imperizia e negligenza contestata allo Scotti nei capi di
imputazione.
Devono pertanto ritenersi infondati altresì il quinto e il sesto
motivo di ricorso secondo cui la Corte territoriale avrebbe
individuato un elemento di colpa diverso rispetto
all’imputazione.
Sulla base delle sopra indicate argomentazioni la Corte di
appello ha pertanto ritenuto di rigettare la richiesta della
difesa di rinnovazione del dibattimento avente ad oggetto
l’espletamento di una nuova perizia e l’acquisizione della
documentazione indicata nell’atto di appello concernente il

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PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 25.06.2013

verbale di contravvenzione levato dalla ASL alla ditta
acquirente e la documentazione tecnica concernente la versione
dei serbatoi da impiegare per lo stoccaggio dell’ipoclorito di
sodio, ritenendo tali elementi probatori non decisivi.
Tanto premesso, non può certo essere ritenuta illogica e
contraddittoria la motivazione in merito al rigetto della
predetta richiesta di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, non potendo, alla luce delle argomentazioni di
cui sopra, essere ritenuta prova decisiva l’espletamento di una
nuova perizia o l’acquisizione della documentazione di cui
sopra.
Sul punto si è pronunciata la giurisprudenza di questa Corte che
ha condivisibilmente ritenuto (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n.
37173 dell’11.06.2008, Rv 241009) che la mancata assunzione di
una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma
dell’art. 606, comma l, lett. d), c.p.p. in quanto si tratti di
una” prova decisiva”, ossia di un elemento probatorio
suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da
quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si
propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni
poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa
valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito
dell’istruttoria dibattimentale.
Infondato è infine il decimo motivo di ricorso in quanto
l’articolo 52 d.lgs 196/03 riguarda la possibilità per
l’imputato di chiedere l’omissione delle sue generalità
nell’ipotesi di diffusione della sentenza a soggetti
indeterminati e non già nell’ipotesi di mera riproduzione della
sentenza in seguito alla sua pubblicazione.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali.

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