Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35297 del 16/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35297 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) TORRE VINCENZO, N. IL 18/8/1952,
avverso la sentenza n. 2382/2009 pronunciata dalla Corte di Appello di Salerno,
del 27/4/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Carlo Destro, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. Felice Lentini, difensore dell’imputato, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Salerno ha
riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Salerno, sez. dist. di Eboli i nei
confronti di Torre Vincenzo, che aveva giudicato questi colpevole del reato di
omicidio colposo in danno di Gorga Carmine, commesso in qualità di datore di
lavoro del medesimo e con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni
sul lavoro.

Il giudice di seconde cure ha dichiarato non doversi procedere nei confronti
del Torre per essere il reato ascrittogli estinto per prescrizione ed ha confermato
le statuizioni civili, che contemplano la condanna del Torre al risarcimento dei
danni in favore della parte civile Cataneo Anna Maria, da liquidarsi in separata

d.-

Data Udienza: 16/05/2013

sede, al pagamento di una provvisionale di euro 15.000, nonché alla rifusione
alla medesima delle spese di costituzione.

2. Gorga Carmine era intento a prelevare del foraggio insilato nell’azienda
agricola facente capo al Torre, quando una notevole quantità di quello gli
franava addosso, provocandone la caduta in avanti e lo schiacciamento contro il
trattore sul quale doveva essere caricato il mais. Al Torre veniva ascritto di non
aver formato ed informato il lavoratore in ordine ai rischi connessi alla procedura

redatto il relativo documento; di non aver sorvegliato e controllato le operazioni
eseguite dal Gorga, e quindi accertato che fossero osservate le misure di
sicurezza predisposte (nell’occasione, l’avviso di non sostare nella zona
posteriore del cassone del trattore durante le procedure di carico del foraggio,
quando questo fosse in moto). Infine, veniva ritenuto che le condotte omissive
del Torre non fossero elise dal comportamento imprudente del lavoratore.
La Corte di Appello ha ribadito l’intero iter motivazionale descritto dal primo
giudice, aggiungendo, in risposta ai motivi di appello dell’imputato, che non vi è
alcuna prova che egli avesse vietato al Gorga di procedere all’operazione di
raccolta del foraggio fino a quando non fosse rientrato in azienda; che l’obbligo
di formazione e di informazione non può ritenersi adempiuto per il fatto che il
Gorga fosse lavoratore esperto, perché esso ha la funzione di “evitare anche il
maggior rischio nascente dall’assuefazione progressiva, dall’abitudine alla
manovra, che normalmente porta a sottovalutare il pericolo”; che al Torre
andava ascritto anche il mancato controllo circa il rispetto da parte del lavoratore
della cautela consistente nel non porsi tra il fronte del foraggio ed il retro della
macchina operatrice.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato il
difensore di fiducia avv. Felice Lentini.
3.1. Con un primo motivo lamenta violazione di legge e vizio motivazionale
in relazione al motivo di appello che denunciava l’insussistenza del nesso causale
perché in atti vi è la prova che “il lavoratore aveva violato un ordine
legittimamente impartitogli dal datore di lavoro e che tale violazione … degrada
le condotte in esame a occasione e non a causa dell’evento”. Dire che non vi è
prova del divieto posto dal Torre dà luogo a motivazione illogica, posto che
quanto dichiarato dall’imputato ha valore di prova e nello specifico non è stato
smentito da alcuna ulteriore acquisizione.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio
motivazionale per non esser stata data risposta ai motivi di appello che

2

lavorativa cui era addetto; di non aver elaborato la valutazione dei rischi e

deducevano, quanto alla colpa specifica consistita nella violazione degli obblighi
relativi alla valutazione dei rischi, l’irrilevanza causale di tale inadempimento,
peraltro da ridursi al semplice omesso deposito del documento; quanto alla colpa
generica, il rilievo assorbente del comportamento negligente del lavoratore,
posto di fronte ad un pericolo percepibile ictu oculi ed evitabile con l’uso di
normale diligenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.

dalla Corte di Appello, per la quale non vi è prova che il Torre abbia ordinato al
Gorga di non operare in sua assenza, asserire diversamente, come fa il
ricorrente laddove assume che in atti vi è la prova che “il lavoratore aveva
violato un ordine legittimamente impartitogli dal datore di lavoro”, manifesta la
pretesa di veder avallata da questa Corte una ricostruzione dei fatti alternativa a
quella operata dal giudice di merito.
Vale ricordare che compito di questa Corte non è quello di ripetere
l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il
ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza
strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla
presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della
logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti
alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro
ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo
dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto
dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e
che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al
suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del
23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del
20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del
05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,
imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Né muta la sostanza del ricorso prospettare l’illogicità della motivazione
perché non avrebbe tenuto conto che la dichiarazione dell’imputato ha valore di
prova, non smentita da altra acquisizione processuale. Infatti, allorquando si
asserisca il vizio della motivazione – dedotto in cassazione ai sensi dell’art. 606
lett. e) cod. proc. pen. – per la contrarietà della stessa ad atti del processo
specificamente indicati, viene in rilievo non già il concetto di illogicità della

4.1. Quanto al primo motivo, va rilevato che, a fronte dell’affermazione fatta

decisione bensì il travisamento della prova, “da ritenersi configurato quando si
introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel
processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della
pronuncia” (Sez. 7, n. 27518 del 11/05/2006 – dep. 02/08/2006, Palma, Rv.
234604).
Pertanto, il ricorrente avrebbe dovuto dare dimostrazione che la Corte di
Appello è incorsa in un siffatto vizio, provvedendo ad allegare gli atti necessari
(sull’onere di inequivoca “individuazione” e di specifica “rappresentazione” degli

3360 del 16/12/2009 – dep. 26/01/2010, Mutti, Rv. 246499).
Ciò non è stato fatto (e tanto vale anche per la affermata elaborazione e
redazione della valutazione) e, conseguentemente, il motivo risulta
inammissibile.

4.2. Va comunque osservato – e tanto anche in relazione al secondo motivo
di ricorso – che, anche ove il datore di lavoro avesse interdetto al lavoratore di
procedere in sua assenza, l’eventuale comportamento del Gorga concretante
violazione di quel divieto non potrebbe in nessun caso costituire fattore
interruttivo della relazione eziologica tra le accertate trasgressioni cautelari del
Torre e l’evento illecito verificatosi, essendo quello pur sempre connesso alle
mansioni lavorative e come tale non esorbitante l’area di rischio che le norme
prevenzionistiche disciplinanti la fattispecie mirano a fronteggiare.
Questa Corte si è più volte soffermata sul concetto e sulle implicazioni del
comportamento negligente del lavoratore, stabilendo il principio per il quale la
colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa
antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non
esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di
causalità tra la violazione e l’evento- morte o lesioni del lavoratore – che ne sia
conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il
comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia
dato causa all’evento. E’ abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che,
per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di
controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di
prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; tale non è il comportamento del
lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che
nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (ex multis, Sez. 4, n.
23292 del 28/04/2011 – dep. 09/06/2011, Millo e altri, Rv. 250710).
Peraltro, va anche rilevato che, a fronte della violazione di doveri
prevenzionistici da parte del datore di lavoro è da escludere che possa avere un

atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, Sez. 4, n.

qualche rilievo – nel senso di ovviare a tali inadempienze – l’indirizzare al
lavoratore in questione un divieto di astensione dal lavoro, specie se l’osservanza
di esso rimane per intero affidata all’adesione del lavoratore. Infatti, se si
ammettesse una tale evenienza, il lavoratore diverrebbe garante e responsabile
della propria incolumità, laddove l’intero sistema prevenzionistico – in
corrispondenza della effettiva articolazione dei poteri organizzativi e dispositivi è incentrato sulla riconduzione al datore di lavoro di ogni obbligo prevenzionistico
‘primario’.

l’infondatezza della doglianza difensiva relativa alla omessa motivazione in
ordine alla sussistenza del nesso causale tra le violazioni accertate in capo al
Torre e il grave infortunio verificatosi. Con l’atto di appello si segnalava che
essendo stato il Gorga informato dei rischi connessi all’attività lavorativa
espletata e formato sul corretto modo di operare, l’evento non poteva che
essersi determinato per il comportamento abnorme del lavoratore medesimo.
Con il puntualizzare che non vi è prova che il Torre avesse vietato al Gorga
di procedere all’operazione di raccolta del foraggio fino a quando non fosse
rientrato in azienda; che l’obbligo di formazione e di informazione non può
ritenersi adempiuto per il fatto che il Gorga fosse lavoratore esperto, perché esso
ha la funzione di “evitare anche il maggior rischio nascente dall’assuefazione
progressiva, dall’abitudine alla manovra, che normalmente porta a sottovalutare
il pericolo”; che al Torre andava ascritto anche il mancato controllo circa il
rispetto da parte del lavoratore della cautela consistente nel non porsi tra il
fronte del foraggio ed il retro della macchina operatrice; e con il ricordare i
principi valevoli in tema di relazione tra causalità giuridica e condotta del
lavoratore nella responsabilità per infortuni sul lavoro, la Corte di Appello ha
compiutamente e correttamente adempiuto all’onere motivazionale.
Il ricorso deve essere quindi rigettato.

5. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/5/2013.

Tenuto conto di quanto appena espresso, risulta di immediata evidenza

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