Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35295 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35295 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1)

BENDOTTI GIANMARIO, N. IL 16/1/1947,

2)

ENTRADE PAOLO, N. IL 19/10/1968,

3)

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., RESP. CIV.

avverso la sentenza n. 1954/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Brescia il
10/2/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Giovanni D’Angelo, che ha chiesto il rigetto dei
ricorsi;
udite le conclusioni del difensore del responsabile civile, avv. Luca Perugini, il
quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato Bendotti, avv. Laura Gargano, la
quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato Entrade, avv. Claudia Zilioli, quale
sostituto processuale dell’avv. Mauro Ongaro, la quale ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il 6 marzo 2007 Pizio Elia, dipendente del Comune di Schilpario, decedeva
a seguito delle lesioni riportate per lo schiacciamento subito ad opera di una
minipala attrezzata con benna miscelatrice mentre collaborava alla esecuzione di
una gettata di calcestruzzo liquido. Il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di

Data Udienza: 23/04/2013

Clusone, giudicava responsabili del fatto Bendotti Gianmario, quale datore di
lavoro del Pizio per essere sindaco pro-tempore del Comune di Schilpario, ed
Entrade Paolo, quale legale rappresentante della CM0 s.r.I., venditrice dei
macchinari coinvolti nel sinistro, e condannava entrambi per il delitto di omicidio
colposo aggravato ai sensi del comma 2 dell’art. 589 cod. pen., infliggendo al
Bendotti, al quale concedeva le attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata
aggravante, la pena di mesi otto di reclusione e all’Entrade la pena di anni due
mesi quattro di reclusione. Condannava altresì gli imputati e i responsabili civili

risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite
parti civili, alle quali assegnava somme a titolo di provvisionale.

2. Secondo la ricostruzione operata dal giudice di primo grado il Comune di
Schilpario stava eseguendo dei lavori sul margine di una strada a mezzo di una
minipala munita di benna miscelatrice;~ la pala, condotta dal lavoratore
vtato,
Bendotti Giuseppe, At eratosizionata, onde versare il calcestruzzo, con la benna
sollevata ad un metro e mezzo da terra in modo da consentire all’operatore a
terra, nel caso il Pizio, di agganciare un tubo di deflusso nell’apposito foro posto
10.4.4-43″”kle.

nella parte sottostante alla bennaf,7ir pala si era impennata in avanti e la benna
aveva schiacciato il Pizio, uccidendolo.
Sulla scorta degli accertamenti tecnici eseguiti dai consulenti, il Tribunale
riteneva che il ribaltamento si fosse verificato a causa dell’errato abbinamento
alla minipala di una benna miscelatrice che, essendo di maggiore capacità
rispetto a quella standard, era stata caricata di una eccessiva quantità di
calcestruzzo, compromettendo la stabilità del mezzo. Tanto era stato reso
possibile dal fatto che i lavoratori non erano stati informati e formati sul pericolo
di ribaltamento e sulla necessità di limitare il carico di calcestruzzo in misura tale
da escludere tale pericolo, ed altresì non erano stati in grado di rendersi conto
del livello di riempimento massimo consentito per la presenza di una griglia che
impediva di verificare i centimetri di riempimento, per l’assenza di tacche o segni
di livello, per le specifiche modalità operative (carico dei componenti e
realizzazione del calcestruzzo direttamente nella benna), ed infine per la
presenza di incrostazioni sulle pareti della stessa.
All’Entrade veniva quindi ascritto di aver venduto la minipala (marca New
Holland LS 170) e la benna miscelatrice (marca SIMA S33) in abbinamento tra
loro (avendo avuto notizia dall’acquirente del fatto che quest’ultima sarebbe
stata montata sulla prima), nonostante ciò rendesse insicuro l’uso del
macchinario risultante dall’abbinamento e nonostante la documentazione a
corredo non indicasse la portata massima della pala. Al Bendotti veniva invece
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Comune di Schilpario e Milano Assicurazioni s.p.a., in solido tra loro, al

addebitato di non aver fornito adeguata formazione ai dipendenti, in quanto lo
stesso Pizio aveva dato indicazioni al collega sulla scorta delle quali quest’ultimo
aveva riempito la benna sino alla griglia, ignorando che essa doveva essere
caricata solo in parte.
La condanna dei responsabili civili veniva pronunciata dal Tribunale perché
la pala meccanica, assicurata anche per il funzionamento con la benna
miscelatrice, al momento dell’infortunio stava trasportando materiale su una
strada comunale, e pertanto trovavano applicazione tanto le norme sulla

del lavoro.

3.1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, in
parziale riforma della decisione appena riassunta, concedeva all’Entrade le
attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, e riduceva la pena
inflitta al medesimo ad anni uno mesi sei di reclusione, concedendo altresì i
benefici di legge. Confermava, infine, ogni altra statuizione.
Il giudice di seconde cure respingeva l’assunto della difesa del Bendotti,
secondo il quale il sindaco non riveste la qualifica di datore di lavoro ex art. 2
lett. b) d.lgs. n. 626/1994, richiamandosi ai principi espressi in materia dalla
Corte di cassazione ed in particolare al principio per il quale nell’ambito della
pubblica amministrazione l’attribuzione della qualifica di datore di lavoro a
soggetto diverso dall’organo di vertice richiede un atto espresso con il quale si
procede all’individuazione dei soggetti cui viene conferita tale qualità e in
assenza di un simile atto il datore di lavoro va individuato nell’organo di
direzione politica. Nella specie, la difesa dell’imputato non aveva mai dato prova
dell’esistenza dell’atto di individuazione del datore di lavoro, secondo le
previsioni di legge.
La Corte di Appello riteneva non fondato anche il motivo concernente la
violazione del principio di correlazione tra fatto assunto nella contestazione e
fatto ritenuto in sentenza.
3.2. Quanto ai motivi di appello proposti dalla difesa dell’Entrade, la Corte di
Appello ravvisava in essi la prospettazione di una ricostruzione alternativa
dell’accadimento, priva di riscontro nelle prove acquisite. Secondo l’appellante
l’infortunio si era verificato perché il conducente della minipala aveva raggiunto il
punto di sversamento con la benna alzata e ciò aveva provocato il ribaltamento.
Per contro, riteneva la Corte territoriale, risultava accertato che la minipala
si era approssimata con la benna abbassata al luogo ove doveva essere eseguito
lo sversamento del calcestruzzo e qui si era fermata: al riguardo si citavano le
dichiarazioni di Rizzi Paolo e di Bendotti Giuseppe. In posizione di fermo

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responsabilità civile derivante da circolazione stradale che quelle sulla sicurezza

quest’ultimo aveva comandato il sollevamento del braccio della benna per far sì
che la stessa si alzasse la misura necessaria a consentire al Pizio di collegare il
tubo di sversamento al foro posto nella parte sottostante alla benna, modalità
operativa priva di alternative. Ed era da questa posizione di fermo che la
minipala si era sbilanciata in avanti, rovesciando parte del carico e schiacciando
il malcapitato. Tale ricostruzione era coerente con i dati fattuali emersi dalle
deposizioni testimoniali e avvalorata dalle spiegazioni offerte dai consulenti
tecnici, ivi compreso quello della difesa del Bendotti.

dopo l’analisi dei rilievi mossi dall’appellante, fondati sul fatto che nelle prove
effettuate dalla difesa dello stesso, che avevano riprodotto le modalità di carico e
di lavoro indicate dal teste Bendotti, non si era mai verificato il ribaltamento del
mezzo; tale circostanza dimostrava, per l’appellante, che il ribaltamento non era
stato causato dal superamento della portata massima della minipala.
Il giudice di seconde cure replicava che il c.t. aveva affermato che il livello di
rischio di ribaltamento, a parità di carico, è dipendente da diversi fattori tecnici:
l’altezza raggiunta dal braccio che sorregge la benna, l’estensione in lunghezza
del braccio medesimo, l’inclinazione della benna e le modalità di appoggio del
carico. Indicazioni che trovano corrispondenza nelle formule riportate nel libretto
di istruzioni fornito dal costruttore della benna miscelatrice. Secondo i calcoli
offerti dal c.t., la minipala può sollevare un carico superiore a quello di
ribaltamento, che con la benna miscelatrice montata è di 1469 kg. Tale dato
veniva assunto dalla Corte di Appello come decisivo e prevalente su ogni altra
evidenza empirica.
Conseguenza della ricordata variabilità del livello di rischio è la difficoltà del
calcolo del medesimo nelle condizioni concrete. Pertanto la targhetta apposta
all’interno della minipala non era sufficiente ed anzi era fuorviante, “essendo
carente di ogni indicazione del peso dell’accessorio in dotazione (quasi doppio
rispetto a quello della benna standard) e della capacità di carico con riferimento
non solo ai centimetri di riempimento ma anche al baricentro della macchina
nelle varie fasi operative”. Per gli operatori vi era quindi un rischio
incontrollabile.
In conclusione, l’imputato Bendotti aveva messo a disposizione dei propri
operai la minipala e la benna miscelatrice senza fornire loro alcuna formazione e
informazione (i libretti di istruzione non erano mai stati aperti e vennero
rinvenuti ancora sigillati). L’Entrade, da parte sua, aveva fornito la minipala e la
benna miscelatrice ben consapevole che esse sarebbe state utilizzate abbinate.
Infatti, il Comune le aveva acquistate proprio su indicazione dell’Entrade, al
quale erano state rappresentate le necessità operative che si intendevano
4

Siffatte conclusioni venivano mantenute ferme dalla Corte territoriale pur

soddisfare con tali mezzi. Ciò nonostante essi erano stati venduti ancorché non
rispondenti alle prescrizioni degli artt. 168, 169 e 171 d.p.r. 547/55. Né valeva
ad escludere la responsabilità del venditore il fatto che la minipala e la benna
escavatrice fossero conformi alla direttiva macchine, perché la condotta colposa
consisteva nel loro abbinamento e nell’aver omesso di fornire all’acquirente,
unitamente ai mezzi, anche le necessarie prescrizioni o cautele.

4. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato Bendotti il difensore di

4.1. Con un primo motivo deduce violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.,
per essere stato condannato il Bendotti in ragione di condotta omissiva colposa,
laddove il capo di imputazione gli contestava una condotta commissiva colposa e
non risultando fondata la motivazione con la quale la Corte di Appello ha
rigettato la censura già propostale per la “perfetta corrispondenza tra il profilo
colposo contestato e condanna”.
4.2. Con un secondo motivo deduce violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 626/1994,
laddove la Corte di Appello ha affermato la qualità di datore di lavoro del
Bendotti mentre, a mente della citata norma, il Sindaco di un’amministrazione
comunale non può essere qualificato come datore di lavoro. La Corte di Appello è
incorsa nella violazione di legge affermando che il Sindaco deve individuare un
soggetto nell’ambito dell’amministrazione comunale cui attribuire la qualifica di
datore di lavoro e che in assenza di tale designazione rimane titolare della
posizione datoriale. L’art. 2 cit., infatti, non attribuisce al Sindaco tale qualità,
conferendogli anche il potere di delegare ad altri le proprie funzioni in materia di
sicurezza del lavoro; piuttosto esclude che egli sia datore di lavoro nel mentre
prevede che tal’è un soggetto dell’amministrazione individuato nel “dirigente cui
spettano i poteri di gestione ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente
autonomia gestionale”.
Sotto altro profilo si rileva che al Bendotti non è mai stato contestata la
violazione dell’art. 4, co. 4 d.lgs. n. 626/1994, per aver omesso di individuare il
soggetto cui attribuire le funzioni datoriali, e che la prova dell’assenza di altro
soggetto investito di tali funzioni compete all’accusa, siccome richiesto dall’onere
di provare la colpevolezza dell’imputato.
4.3. Con un terzo motivo deduce vizio motivazionale, in relazione all’omessa
pronuncia sulla dedotta mancanza di nesso di causalità tra la condotta del
Bendotti e l’evento illecito.
4.4. Con un quarto motivo deduce violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.
laddove la Corte di Appello “non ha applicato o ha applicato erroneamente il

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fiducia avv. Laura Gargano.

procedimento di eliminazione mentale senza tener alcun conto dei dati
processuali emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale”. Anche qualora il
Bendotti avesse posto a disposizione dei lavoratori il manuale d’uso e
manutenzione delle macchine coinvolte nel sinistro, ciò non sarebbe valso ad
evitare l’evento perché in quelli era mancante l’indicazione dei limiti di carico
effettivi; qualora avesse provveduto a fornire la necessaria formazione sull’uso
dei macchinari essa non avrebbe evitato l’evento perché, come riferito dal teste
Bendotti, il corso di formazione che successivamente al sinistro venne effettuato

5. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato Entrade il difensore di
fiducia avv. Mauro Angarano.
5.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale in relazione alla
ricostruzione della dinamica del sinistro, per essere la decisione impugnata priva
di motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha sostenuto che si era verificato
un eccessivo caricamento della benna miscelatrice sì da determinare il
ribaltamento della minipala.
5.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge
in relazione alla valutazione della prova fornita dall’imputato a mezzo
simulazione tecnica. Assume l’esponente che a fronte della prova oggettiva
dell’impossibilità del verificarsi del sinistro con le modalità contestate
all’imputato, la Corte di Appello ha reso motivazione manifestamente illogica
sostenendo che tale prova è insussistente a fronte dei calcoli effettuati da uno
dei c.t. intervenuti nel processo.
5.3. Deduce, ancora, vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle
deposizioni Rizzi e 94M91142.213endotti. La Corte di Appello non ha dato riscontro
alla censura mossa con l’atto di gravame, nel quale si criticava l’errata
valutazione delle dichiarazioni di Rizzi Paolo, omettendo di analizzare il contenuto
testuale della stessa, dal quale si evince che il Rizzi non aveva sotto
osservazione la minipala nel momento del ribaltamento.
Lamenta ancora l’esponente l’omessa motivazione in ordine ai rilievi
avanzati con l’atto di appello al riguardo di quanto emergerebbe dalle fotografie
scattate dai CC. ed assume che esse documenterebbero che la minipala era
stata movimentata con la benna alzata e che il ribaltamento era stato causato da
una errata manovra del conducente che l’aveva portata fuori dalla sede stradale
5.4. Con un quarto motivo deduce vizio motivazionale in relazione alle
risultanze di talune prove e al motivo di appello concernente l’ordinanza del
Tribunale con la quale era stata respinta la richiesta di esperimento giudiziale.

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non fornì alcuna formazione utile.

In primo luogo formula nuovamente il rilievo già svolto in ordine alla
prevalenza accordata alla c.t. Piccinini sulla prova tecnica effettuata dalla difesa
dell’imputato; ravvisa inoltre l’assunzione, da parte della Corte di Appello, di un
erroneo dato tecnico, offerto dal c.t. del Bendotti, ovvero che la minipala
potesse sollevare un carico superiore a quello di ribaltamento, pari – con la
benna miscelatrice in questione – a kg. 1469. Infatti, rileva l’esponente, la forza
di strappo ai bracci della minipala era pari a kg. 1286 ed è quindi impossibile
che, in qualsiasi condizione e con qualunque peso, essa potesse sollevare un

Sulla base di tali dati, conclude l’esponente, è dimostrato che la minipala si
ribaltò perché “movimentata con la benna alzata”.
Assume, ancora, una serie di contraddittorietà della motivazione, per aver
ritenuto rilevanti diverse variabili, per aver parlato di immanenza del
ribaltamento pur avendo constatato che vi era stato un precedente trasporto
senza alcun ribaltamento; inoltre deduce l’omessa motivazione dell’ordinanza del
10.2.2012 di rigetto della richiesta di esperimento giudiziale o, in subordine, di
espletamento di perizia d’ufficio.
5.5. Con altri motivi (VII-XI; XII-XIV; XIV-XVI) vengono dedotti vizio
motivazionale e violazione di legge in ordine alla individuazione della condotta
colposa attribuita all’Entrade.
Viene contestata l’affermazione

giudiziale della sussistenza del profilo

oggettivo della colpa nonostante:
– l’organo di vigilanza non abbia mosso alcun rilievo né chiesto modifiche al
macchinario;
– il produttore della benna avesse attestato la piena congruità del suo
abbinamento con la minipala;
– il teste Manghi avesse attestato la congruità dell’abbinamento dei due
macchinari;
– abbia la Corte di Appello negato la produzione di documenti dai quali si
evince che altre società vendono benne e minipale come quelle in oggetto,
abbinate tra loro;

il sinistro sia derivato dalla violazione dell’obbligo di formazione e

informazione gravante sul datore di lavoro ed i libretti di istruzione forniti dalla
società dell’imputato fossero rimasti non letti (obblighi che la Corte di Appello
avrebbe erroneamente posto anche a carico del concessionario);
– il limite di caricamento fosse chiaramente comprensibile dal libretto di
istruzione a corredo nonché con il semplice ausilio di un centimetro;
– non fosse possibile caricare la benna oltre un’altezza di cm. 24 (sicchè
sono errati i calcoli dell’ing. Piccinini);
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peso che comportasse rischio di ribaltamento.

- nei manuali delle pale è indicato che l’operatore non deve porsi sotto la
benna;
– l’inesistenza di altri accorgimenti per rendere evidente il limite di carico;
– in definitiva la incapacità della decisione di individuare cosa

avregge dovuto

fare in concreto l’Entrade per rendere più sicuro un macchinario che deve essere
riempito sino al colmo della benna, che pur così non presenta pericolo di
ribaltamento, che permette facilmente di verificare l’entità del carico.
Censura infine, il ricorrente, che la Corte di Appello ha negato la reclamata

colpa specifica indicati nella contestazione e affermato la sussistenza di profili di
colpa generica non indicati in quella, sulla base di una motivazione del tutto
generica, non esistendo sul mercato dispositivi atti a limitare la capacità
contenitiva della benna o a controllare il peso movimentato ed anzi risultando
escluscx ogni colpa per gli altri motivi già enunciati, tra i quali si ribadisce quello
relativo all’esistenza di una corretta targhetta di avvertenza e alla impossibilità
di apporre segnalazioni visive che tenessero conto, nell’indicazione dei livelli di
rischio, di tutte le variabili evidenziate dalla Corte di Appello medesima.
5.6. Con un ulteriore motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge
in relazione all’affermato nesso causale tra la condotta dell’Entrade e l’evento
illecito. Assume l’esponente che se si fossero osservate le istruzioni dei libretti a
corredo delle attrezzature l’evento non si sarebbe verificato; egualmente dicasi
se il datore di lavoro non fosse venuto meno ai suoi obblighi, il conducente della
minipala non avesse errato nel manovrarla, l’infortunato non si fosse posto al di
sotto della benna. Sull’incidenza di tali cause la Corte di Appello non ha
motivato, salvo che per la condotta del Pizio, affermando con motivazione che si
ritiene manifestamente illogica che non esisteva altra modalità operativa per
agganciare il manicotto.
5.7. Con un ultimo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge
in relazione al trattamento sanzionatorio, per aver la Corte di Appello valutato
solo equivalenti le ritenute attenuanti sulla base della assenza di una condotta
risarcitoria. Assume l’esponente che il risarcimento fonda la concessione di una
specifica attenuante e non può essere valorizzata in chiave negativa la sua
assenza, come fatto dal decidente, perché questi avrebbe dovuto valutare altri
parametri e tra questi il comportamento processuale dell’imputato, che aveva
comunque provveduto a pagare personalmente la provvisionale disposta dal
Tribunale. Inoltre il risarcimento prima del processo era precluso all’Entrade dalla
presenza di più imputati e dalla concorrenza di più assicuratori.

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violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., per avere il Tribunale escluso i profili di

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Ricorre per cassazione nell’interesse del responsabile civile Milano

Assicurazioni s.p. a. il difensore di fiducia avv. Luca Perugini.
6.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge
esponendo che la copertura assicurativa era stata prestata per l’utilizzo della
minipala che fosse stato conforme al suo libretto di circolazione. La Corte di
Appello ha ritenuto che la dicitura in questo leggibile ‘pala miscelatrice’ fosse
sinonimo di benna miscelatrice laddove la pala è la macchina operatrice a terra
mentre la benna è l’accessorio che si solleva e nell’intera decisione mostra di ben

6.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge
laddove la Corte di Appello ha respinto il motivo di appello che invocava la non
operatività della garanzia assicurativa per essersi verificato l’infortunio all’interno
di un cantiere stradale senza alcuna correlazione con gli eventi tipici della
circolazione o sosta del mezzo sulla pubblica via. La Corte di Appello ha
affermato che la strada in questione non era chiusa al traffico e che non era
stato predisposto un cantiere stradale così come previsto dall’art. 21 C.d.S. né
interclusa la zona. Ad avviso dell’esponente il dato decisivo è che le vicende
connesse alla circolazione non hanno in alcun modo interferito con l’infortunio.
6.3. A tal ultima affermazione si connette altresì il terzo motivo di ricorso.
L’esponente deduce violazione di legge per essere stata affermata l’operatività
dell’art. 2054 c.c. anche in assenza di violazioni di norme regolatrici della
circolazione di autoveicoli e contesta la fondatezza del principio posto da Cass.
civ. n. 316/2009, cui si è richiamato anche la Corte di Appello – secondo il quale
presupposto dell’operatività della garanzia assicurativa per r.c.a. è il trovarsi il
veicolo, in movimento o in sosta, su strada di uso pubblico o a su area a questa
equiparata, senza che assuma rilievo l’uso del veicolo secondo le potenzialità sue
proprie – chiedendone il superamento o quanto meno la non applicazione al caso
che occupa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
7. I ricorsi proposti rispettivamente nell’interesse di Bendotti Gianmario e di
Entrade Paolo sono infondati.

8.1. Con riferimento alla posizione di Bendotti Gianmario, va innanzitutto
rilevata la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, che ravvisa la
indebita immutazione del fatto sulla base della sola assenza nell’imputazione di
un riferimento all’art. 40 cpv. cod. pen., pur essendo stata attribuita all’imputato
dai giudici di merito una condotta colposa di natura omissiva. E’ sufficiente
rammentare che a dare corpo alla contestazione sovviene con carattere di
assoluta prevalenza la descrizione del fatto; sicché del tutto correttamente la
9

conoscere la differenza tra i due apparecchi.

Corte di Appello ha evidenziato la perfetta corrispondenza tra il profilo colposo
contestato e il fatto per il quale è stata riportata condanna.
8.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, va ricordato che, prima
dell’entrata in vigore dell’art. d.lgs. n. 81/2008, e quindi all’epoca del fatto per
cui si procede, la lett. b) dell’art. 2 D.Lvo 626/1994 (come modificato dall’art. 2
del D.Lgs. n. 242/1996) precisava che “per datore di lavoro si intende il dirigente
al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario, non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente

La previsione è stata variamente interpretata; non solo si sono formulate
tesi diverse da parte di dottrina e giurisprudenza; ma anche tra le pronunce del
giudice di legittimità si rinvengono soluzioni contrastanti. Il dubbio attiene in
primo luogo alla necessità di uno specifico atto di individuazione del dirigente o
del funzionario quale datore di lavoro; necessità che per alcuni non ricorre,
risultando sufficiente la titolarità dei poteri indicati dalla norma e che peraltro è
indispensabile, altrimenti rimanendo quella posizione in capo al vertice politico
dell’ente. Detto altrimenti, la disputa è intorno al carattere costitutivo o
meramente ricognitivo di un atto (dell’organo di vertice dell’ente) che attribuisca
ad altri la qualità di datore di lavoro. E ciò in ragione del fatto che alla formula
utilizzata dall’art. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/94 (nella quale il ‘si intende’
lasciava oggettivamente ipotizzare che fosse operata un’attribuzione ex lege
della qualifica datoriale ai dirigenti ed ai funzionari titolari dei poteri indicati) è
presto seguita la previsione dell’art. 30, co. 1 D.Lgs. n. 242/1996, per la quale
entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del medesimo decreto gli organi di
direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche
procedono all’individuazione dei soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lettera b),
secondo periodo, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli
uffici nei quali viene svolta l’attività.
Espresso ancora con altra nomenclatura, l’oscillazione era tra natura
originaria oppure derivata della posizione datoriale del dirigente e del funzionario
descritto dall’art. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/94.
Secondo una prima interpretazione adottata da questa Corte,
l’individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di
datore di lavoro risulta demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi
provvede con l’attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di
autonomia gestionale. Si escludeva quindi che fosse sufficiente la collocazione
nell’ambito dell’organigramma per ritenere operata l’individuazione valevole ai
sensi del combinato disposto agli artt. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/1994 e 30
co. 1 d.lgs. n. 242/1996: “proprio per la rilevanza dei compiti e per la

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autonomia gestionale”.

responsabilità che deriva dal conferimento della qualità in esame non può
ritenersi che la qualità di datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2 D.Lvo 626, possa
essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché
preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze
nel settore specifico. L’attribuzione della qualità di datore di lavoro non può che
essere espressa anche perché comporta i poteri di gestione in tema di
sicurezza”.
Erano dunque gli “organi di direzione politica” che dovevano procedere

ricollegata alle caratteristiche specifiche della pubblica amministrazione che
viene in considerazione, dovendosi tenere conto dell’ubicazione e dell’ambito
funzionale degli uffici. Anche tale rilievo è stato ritenuto argomento che dà
conferma dell’impossibilità di una scelta non espressa e non accompagnata dai
ricordati poteri di gestione alla persona fisica.
La conseguenza della mancata indicazione è stata ravvisata nella
conservazione in capo all’organo di direzione politica della qualità di datore di
lavoro, quanto meno nel periodo successivo alla scadenza dei sessanta giorni
indicati dalla legge e fino all’individuazione del datore di lavoro da parte
dell’organo obbligato a questo adempimento.
Con la precisazione che agli organi di direzione politica (sindaco e giunta
comunale) sono attribuiti in via originaria anche i poteri di sovrintendere alle
scelte di gestione e direzione amministrativa, con il conferimento di tutti i poteri
conseguenti. Anche il potere di individuare il datore di lavoro conferma che
all’organo di direzione politica compete un potere originario (in tal senso
soprattutto, Sez. 4, n. 38840 del 22/06/2005 – dep. 21/10/2005, Ioriatti, Rv.
232418).
A questa ricostruzione si sono accompagnate tesi di diverso segno. Qui è
sufficiente ricordare l’affermazione per la quale “le funzioni espletate, secondo i
principi già contenuti nel D.P.R. 547/1955(art.4) e D.P.R. 303/1956 (art. 4)
ampiamente richiamati anche in dettaglio nel D.LGS. 626/1994, comportano di
per sé obblighi di assunzione delle misure per la sicurezza e la salute dei
lavoratori, a prescindere anche da atti formali di individuazione dei singoli
soggetti gravati dall’obbligo di garanzia, come peraltro previsto solo in via
transitoria dall’art. 30 D.LGS. 242/1996” (Sez. 4, n. 34804 del 02/07/2010 dep. 27/09/2010, Maniago, Rv. 248349).
Ritiene questa Corte che l’interpretazione più persuasiva sia quella formulata
con la sentenza in causa Ioriatti. Agli argomenti in essa ricordati si può
aggiungere che appare priva di pregio l’obiezione secondo la quale si verrebbe a
determinare una ingiustificata disparità di disciplina fra soggetti di diritto privato,
11

all’individuazione; è stato puntualmente rilevato che si tratta di una valutazione

per i quali vale la concreta titolarità dei poteri gestionali e l’autonomia tipici del
datore di lavoro, e pubblica amministrazione, nella quale si rende necessaria la
formalizzazione del ruolo datoriale. E’ agevole replicare che tra i due ambiti non
vi è perfetta identità, risultando solo l’organizzazione dell’ente pubblico
minutamente normata. E che, di conseguenza, l’obiettivo di meglio perseguire la
tutela dei beni in gioco risulta più agevolmente conseguibile attraverso una
previa e chiara individuazione del soggetto cui compete la qualifica di datore di

attribuzione della qualifica non corrispondesse la dotazione dei correlati poteri,
datore di lavoro sarebbe da ritenere ancora e sempre l’organo di vertice politico
dell’ente.
Peraltro solo l’interpretazione che qui si patrocina permette da un canto di
‘esaltare’, tra le diverse funzioni, quelle aventi proiezione prevenzionistica; ed
inoltre di evitare (evenienza che avrebbe potuto aversi anche nel caso in esame)
la concorrenza del tutto teorica di più dirigenti, in concreto mai investiti delle
specifiche responsabilità in materia di sicurezza del lavoro.
8.3. Una conferma a posteriori della correttezza della tesi qui condivisa
viene dalla circostanza che essa è stata sostanzialmente fatta propria dal
legislatore con il d.lgs. n. 81/208, che al secondo periodo dell’art. 2, comma 1,
lett. b), con riferimento alle amministrazioni pubbliche evidenziate, recita: «per
datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione,
ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui
quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato
dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione
e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di
autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di
individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide
con l’organo di vertice medesimo».
8.4. Orbene, la Corte di Appello ha fatto adeguato governo dei principi sopra
ripercorsi, ai quali si è espressamente e correttamente richiamata, evidenziando
in fatto che l’atto di individuazione era nella specie mancato, e ricordando,
evidentemente in funzione di rafforzamento dimostrativo e non per ampliare la
contestazione, come il Bendotti fosse stato destinatario dell’addebito, mosso
dagli organi di vigilanza, di aver omesso la nomina del r.s.p.p., alla quale è
tenuto esclusivamente il datore di lavoro.
8.5. Le osservazioni svolte dal ricorrente con il terzo e quarto motivo di
ricorso a riguardo della inefficacia impeditiva del comportamento doveroso
omesso – che risulta non controverso – si muovono per intero all’interno di una
12

lavoro. Né con ciò si emargina il principio di effettività (oggi consacrato nell’art.
;
299 d.lgs. n. 81/2008): come già sostenuto nella sentenza Ioratti, ove alla

cornice concettuale e giuridica che sembra concepire i doveri del datore di lavoro
in materia di sicurezza del lavoro come limitati all’adozione delle misure che
residuano da quelle che altri soggetti, pure debitori di sicurezza, devono porre in
campo. Tributaria di tale prospettiva è l’affermazione secondo la quale, poiché
dal libretto di istruzioni a corredo del mezzo d’opera non era possibile ricavare
proficuamente indicazioni in ordine al corretto uso dello stesso nelle operazioni
che dovevano essere svolte anche dal Pizio, quand’anche il Bendotti si fosse
premurato di assicurarsi che esso fosse letto dai lavoratori l’evento si sarebbe

potesse – ed anzi dovesse – non acquietarsi del modo in cui il venditore aveva
rappresentato le modalità di esercizio del mezzo ed attivarsi qualora esse fossero
in qualsiasi guisa inadeguate allo scopo di assicurare condizioni di lavoro non
pericolose. La Corte di Appello ha correttamente affermato, cogliendo l’assoluta
decisività dell’assunto, che proprio in ragione della insufficienza delle indicazioni
traibili dal libretto il datore di lavoro si sarebbe dovuto attivare al fine di colmare
il vuoto di informazioni sulla sicurezza del carico e del trasporto. D’altro canto, la
formula normativa rinvenibile nell’art. 38 d.lgs. n. 626/1994, secondo la quale il
datore di lavoro assicura che i lavoratori ricevano un’adeguata formazione
sull’uso delle attrezzature di lavoro che devono utilizzare, non pone limiti modali;
sicchè il datore di lavoro deve ottemperare alla prescrizione con i comportamenti
che gli sono possibili. Non c’è dubbio, al proposito, che a fronte di libretti di
istruzione inadeguati il Bendotti fosse in grado di pretendere dal venditore più
chiare e complete indicazioni, tanto più che entrambi erano ben consapevoli
della ‘novità’ del macchinario, risultante dall’abbinamento di pala e benna (e
segnatamente della benna marca SIMA S33). Del tutto incongrue le ulteriori
osservazioni del ricorrente: l’eventuale ‘inutilità’ del corso di formazione (peraltro
misurata sull’esperienza fatta da altro lavoratore in altra occasione) non può che
tradursi in inadempimento dell’obbligo formativo incombente sul datore di
lavoro, il quale non può certo ritenere di aver adempiuto alla prescrizione
normativa con il solo ossequio formale ad essa.
8.6. In conclusione, il ricorso del Bendotti va rigettato ed il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese processuali.

9. Parimenti infondato è il ricorso proposto nell’interesse dell’Entrade.
9.1. I primi sei motivi di ricorso investono la ricostruzione della dinamica
dell’incidente per cui è processo sotto diversi profili. Essenzialmente, si assume
che l’incidente si verificò perché l’autista del mezzo Bendotti sollevò la benna
mentre la minipala era in movimento; si aggiunge, non si comprende se in
alternativa o in connessione causale, che il ribaltamento fu dovuto all’errata

13

egualmente prodotto. Infatti, il rilievo sembra escludere che il datore di lavoro

manovra compiuta dal Bendotti che si portò sul limitare della strada, lì dove era
un dislivello (pg. 21 ss. del ricorso). Per accreditare tale tesi si lamenta che la
Corte di Appello ha errato nella valutazione della testimonianza Rizzi, dalla quale
non sarebbe possibile dedurre che la minipala era ferma mentre veniva alzata la
benna; ha motivato in modo manifestamente illogico quando ha ritenuto
superabile l’esito dell’esperimento giudiziale che per il ricorrente dava
dimostrazione dell’impossibilità che il ribaltamento fosse dovuto al carico del
mezzo, ove la benna fosse stata alzata dalla posizione di arresto; ha motivato in

ribaltamento del mezzo; ha omesso di motivare in ordine alla errata manovra del
Bendotti.
Orbene, a fronte delle ricordate censure appare opportuno rammentare che
compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del
Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a
dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della
motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di
argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero
dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente
dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati
inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che
siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Si assume che la Corte di Appello non ha motivato le ragioni per cui è
pervenuta a ritenere che il ribaltamento era stato dovuto all’eccessivo
caricamento della benna. A pg. 21 della sentenza impugnata si richiamaOlip

ci;

L44

t hra

TwAititgas;c149vBendottiVper affermare che la benna era stata utilizzata al limite
della sua capienza; più in generale si sviluppa una ricostruzione in chiave logica,
che si confronta anche con il dato per il quale “l’istruttoria ha escluso la presenza
di anomalie, buche o asperità dell’asfalto che potevano incidere sulla stabilità del
mezzo”. Pertanto, la motivazione che si lamenta assente (pg. 12 del ricorso) è
invero espressa e non risulta manifestamente illogica.

14

modo manifestamente illogico laddove ha preso in esame il carico di

Si assume che la Corte di Appello ha violato i criteri di valutazione della
prova e reso motivazione manifestamente illogica laddove ha disatteso i risultati
della simulazione fatta dalla difesa. Ma questa mostra di non voler considerare le
puntuali considerazioni del giudice di seconde cure in ordine alla sostanziale
irripetibilità delle precise condizioni in presenza delle quali ebbe a verificarsi il
sinistro. Tale è il senso della sottolineatura della mancanza, nella prova formata
dalla difesa, di elementi idonei a “intaccare la fondatezza della spiegazione
tecnica offerta dal consulente, basata sull’evidenza dei numeri e dei calcoli

la Corte territoriale ha richiamato la presenza di numerose variabili in grado di
incidere sulla esattezza della riproduzione dell’evento verificatosi. Ancora una
volta va escluso che si tratti di una motivazione manifestamente illogica; e va
quindi respinta la pretesa del ricorrente di veder sostituita a quella dei giudici di
merito una nuova valutazione della prova ad opera del giudice di legittimità.
Nonostante la Corte di Appello avesse stigmatizzato l’estrapolazione di
singole sequenze dichiarative della deposizione del teste Rizzi, il ricorrente
ripropone con il ricorso tale modalità rappresentativa, citando alcuni brani di
quella testimonianza, che egli stesso ricorda aver occupato le pagine da 87 a 99
del relativo verbale, ed assumendo che l’interpretazione fornita dalla Corte di
Appello a quella testimonianza urta con l’esito dell’esperimento già menzionato.
Ma la Corte di Appello, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, ha fatto
esplicito riferimento a più passaggi di quella deposizione, contenuti nelle pagine
88, 91, 92, 94; e da quanto appena osservato circa la motivata
marginalizzazione della simulazione operata dalla difesa deriva l’insignificanza di
questa quale criterio di valutazione della interpretazione della prova data dal
giudice di seconde cure. Per tale profilo il motivo risulta aspecifico, perché non si
fa carico della motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale ed altresì non
soddisfacente il principio di autosufficienza del ricorso.
Del tutto generico e apparente, poi, il rilievo della mancata valutazione
dell’attendibilità del teste Bendotti, che nella stessa prospettazione del ricorrente
risulterebbe da porre in dubbio per il solo fatto di essere rimasto coinvolto egli
pure nel sinistro, come conducente della minipala, al quale non risulta siano mai
stati mossi addebiti di sorta.
Anche per ciò che concerne la presunta errata manovra del Bendotti, che
avrebbe condotto il mezzo su uno scalino, il motivo appare formulare una mera
censura in fatto, non risultando peraltro conforme al vero che la Corte di Appello
non abbia dato risposta al corrispondente motivo di ricorso: a pg. 19 il giudice di
seconde cura ha affermato di far propria la ricostruzione operata dal Tribunale e

15

matematici, non contrastati da altri calcoli”. Tal’è il senso della cura con la quale

che l’istruttoria aveva escluso la presenza di condizioni del terreno tali da
compromettere la stabilità del carico.
Vi è solo da aggiungere che non si tratterebbe in nessun caso di una
omissione comportante l’annullamento della sentenza, posto che l’eventuale
errata manovra del conducente non escluderebbe la responsabilità dell’Entrade,
non essendo ravvisabile in essa una causa da sola sufficiente a produrre
l’evento, ai sensi dell’art. 41 cod. pen.
Per ciò che concerne la contraddittorietà della sentenza agli atti processuali,

carico superiore a quello di ribaltamento, il relativo motivo risulta una volta di
più non autosufficiente, posto che, per ciò che concerne i dati tecnici, esso
rimanda a quanto asserito nell’atto di appello. Ciò non di meno vale rimarcare
che la Corte di Appello ha affermato che sulla scorta dei calcoli operati dal
consulente tecnico emergeva che la minipala poteva sollevare un carico
superiore a quello di ribaltamento. Il ricorso non propone una critica di tali
calcoli, limitandosi a richiamare valori che si assume essere espressi dai
documenti a corredo dei macchinari.
Quanto alle pretese ulteriori contraddittorietà della motivazione (l’aver
..yck
ritenuto rilevanti esistenti diverse concause, l’aver parlato di immanenza del
ribaltamento pur avendo constatato che vi era stato un precedente trasporto
senza alcun ribaltamento), non appare inutile rammentare che la motivazione è
contraddittoria o perplessa allorquando in sentenza si manifestino dubbi che non
consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (Sez.
2, n. 12329 del 04/03/2010 – dep. 29/03/2010, Olmastroni, Rv. 247229).
Pertanto, non ogni caduta di coerenza argomentativa è in grado di dare vita al
vizio motivazionale in parola, dovendosi pur sempre trattare di contraddittorietà
che pregiudica l’intera struttura motivazionale, sia pure relativa ad uno specifico
punto della decisione. Nel caso che occupa, le discrasie esaltate dal ricorso
neppure sussistono, trattandosi di forme retoriche di espressione, che appaiono
malamente interpretate dal ricorrente.
Infine, alla luce di quanto sin qui ricordato in ordine al percorso
argomentativo delineato dalla Corte di Appello, risulta palese l’insussistenza del
vizio motivazionale (motivazione apparente) lamentato dal ricorrente a riguardo
dell’ordinanza del 10.2.2012 di rigetto della richiesta di esperimento giudiziale o,
in subordine, di espletamento di perizia d’ufficio.
9.2. I restanti motivi di ricorso, che criticano il giudizio di responsabilità
formulato nei confronti dell’Entrade, sono infondati.

16

dai quali emergerebbe l’impossibilità che la minipala potesse aver sollevato un

Non vi è contestazione in ordine al fatto che l’Entrade fornì al Comune di
Schilpario tanto la minipala che la benna miscelatrice delle quali si discute,
specificamente in abbinamento tra loro. Egli assunse quindi il ruolo di venditore
dei macchinari. All’imputato è stata contestata la violazione degli artt. 7, 168,
169 e 171 d.p.r. 547/1955.
A fronte della relativa indeterminatezza dell’art. 7 cit. (e oggi dell’art. 22
d.lgs. n. 81/08) l’attività interpretativa è chiamata ad eseguire un’attenta
ricostruzione della fattispecie incriminatrice, non essendo ammissibile una mera

macchine e la norma di rinvio. Ne è esempio l’art. 169 cit. La disposizione fa
riferimento all’esercizio della macchina, chiaramente delimitando il proprio
ambito di applicazione sia in senso oggettivo (fase di utilizzo delle macchine),
che – consequenzialmente – in senso soggettivo (utilizzatore). Si tratta quindi di
una disposizione le cui regole non possono essere riferite anche al produttore,
costruttore, noleggiante, concessionario e venditore, proprio perché questi non
esercitano l’attività con le macchine.
Ciò posto, il ricorrente formula retoricamente la domanda in ordine a quale
mai avrebbe dovuto essere la condotta doverosa dell’Entrade, posto che la
targhetta con le avvertenze richieste era presente e pure presenti, per il
ricorrente, erano gli indicatori di livello.
La risposta è quanto mai agevole. L’art. 7 dispone il divieto di vendita di
macchinari non conformi alle prescrizioni in tema di sicurezza. Se un macchinario
non è conforme, e lo può essere per motivi molteplici e diversi – anche perché
non gestibile il rischio di ribaltamento, attesa la complessità dei calcoli relativi ai
diversi livelli di rischio prospettabili dalle variabili modalità operative -, il
venditore è tenuto a renderlo conforme oppure, ove impossibile, a escluderne la
vendita.
Il sistema prevenzionistico, nella impostazione sottesa ai testi normativi
degli anni cinquanta del secolo scorso, era informato al principio
dell’azzeramento del rischio, di talchè ove questo non fosse del tutto eliminabile
risultava preclusa la stessa attività economica. Posto il divieto di vendita di
macchinari pericolosi, il venditore deve fare ogni cosa che sia necessario a
mettere in sicurezza il macchinario di cui trattasi; e se gli interventi richiesti sono
di carattere strutturale, egli dovrà compierli, anche se ciò significa modificare la
macchina sino a renderla del tutto diversa e nuova rispetto all’originale.
Nell’impossibilità di intervenire, non sussistendo – alla stregua dei principi
generali di protezione delle macchine contenuti nel capo IV del titolo terzo del
d.P.R. n. 547 del 1955 (articoli 7, 68, 69, 70 e 71)- alcuna impossibilità tecnica
elusiva degli obblighi di prevenzione, la macchina alla quale non siano applicabili
17

opera di associazione di qualsiasi norma recante prescrizioni cautelari sulle

i dispositivi di sicurezza non può essere costruita, nè venduta, nè posta in uso (in
tal senso, Cass., Sez. 4, n. 41985 del 29/04/2003, P.G. in proc. Morra e altro,
Rv. 227284). Sicché, ove si determini un infortunio, “l’utilizzazione della
macchina o dell’impianto non conforme alla normativa antinfortunistica da parte
dell’imprenditore non fa venir meno il rapporto di causalità tra l’infortunio e la
condotta di chi ha costruito, venduto o ceduto la macchina o realizzato
l’impianto”: Cass. Sez. U, Sentenza n. 1003 del 23/11/1990, Tescaro, Rv.
186372.

giuridico di facere o di non facere presuppone la conoscenza o almeno la
conoscibilità, con la diligenza richiesta all’agente modello, della situazione tipica
che attiva ed attualizza l’obbligo medesimo. Il venditore deve essere stato nella
condizione di poter riconoscere la non conformità della macchina; diversamente
si porrebbero le basi per un addebito a titolo di responsabilità oggettiva.
La conoscibilità della quale si sta parlando non può essere ritenuta preclusa
dalla attestazione di conformità rilasciata dal produttore. L’apposizione del
marchio di conformità ha natura certificativa e non esonera alcun ulteriore
debitore di sicurezza dall’osservanza della normativa antinfortunistica
(innumerevoli le pronunce che affrontano il tema in relazione al datore di lavoro;
tra esse Sez. IV, 5 giugno 2008, Stefanelli, rv. 240519 e la giurisprudenza ivi
citata). L’impianto normativo, con la previsione di una rete di posizioni di
garanzia, nessuna delle quali ha valenza sottrattiva, prelude all’ipotesi di un
concorso di condotte trasgressive, ove ciascuno dei garanti abbia omesso di
compiere quanto gli è specificamente richiesto.
Proprio perché il sistema di tutela è articolato sul principio dell’apporto
contributivo (“nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle
normative sono coinvolti tutti gli operatori … Ognuno di essi è cioè tenuto ad
esercitare il necessario controllo di regolarità prima che esca dalla sfera della sua
disponibilità giuridica e di fatto col passaggio alla fase economica successiva.”
Sez. 3, Sentenza n. 10291 del 27/06/1986, Casali, Rv. 174024), non vi può
essere alcun affidamento sulla valenza risolutiva del comportamento del garante
che è intervenuto in un tempo anteriore (Sez. IV, 20 aprile 2010, Dall’Asta; ma
lo stesso dicasi per il postea).
Rimane quindi confermata l’esistenza del solo limite della conoscibilità della
difformità prevenzionistica del macchinario.
Nel caso che occupa l’indagine sulla conoscibilità va condotta in relazione
non solo e non tanto alle due componenti separate (minipala e benna
miscelatrice) quanto alla macchina risultante dall’abbinamento (così
correttamente la Corte di Appello a pg. 19).
18

Tutto ciò, ovviamente, si confronta con il principio secondo il quale l’obbligo

Posto che risulta accertato nei gradi di merito che:
a) il livello di riempimento della benna era pari a 20 cm,
b) che esso era superabile, arrivando a 35 cm,
c) che la benna non aveva tacche o segni che evidenziassero il limite
massimo di riempimento;
d) che anche sulla minipala mancava la indicazione del carico massimo
tollerabile;
la riconoscibilità dell’assenza di tacche o segni nella benna era del tutto

della inadeguatezza dei valori limite era ricavabile dal libretto di istruzione della
benna, che prevedeva come valore massimo quello calcolato su un riempimento
non superiore in altezza a 24 cm, mentre la benna permetteva un riempimento
sino a 35 cm. ovvero sino alla griglia (vd. sentenza Corte di Appello, pg. 18, nt.
4). Allo stesso modo era riconoscibile la difficoltà di calcolo per un operatore e
quindi la necessità di fornire istruzioni più esplicative a corredo della macchina.
Tal ultimo è espressamente previsto dall’art. 171, che richiede apposita
targa con tutte le variabili esposte. E la Corte di Appello ha puntualmente
annotato: “la targhetta apposta all’interno della minipala era del tutto
insufficiente e fuorviante, essendo carente di ogni indicazione del peso
dell’accessorio in dotazione (…) e della capacità di carico con riferimento non solo
ai centimetri di riempimento ma anche la baricentro della macchina nelle varie
fasi operative” (pg. 19).
Stante la espressa previsione di legge, diviene irrilevante che istruzioni più
analitiche fossero nei libretti di istruzione.

10. Anche i tre ultimi motivi del ricorso Entrade risultano infondati.
10.1. Quanto alla violazione del principio di correlazione tra contestazione e
fatto ritenuto in sentenza, è sufficiente ricordare che l’addebito mosso ad
entrambi gli imputati (e sul punto valgono le considerazioni formulate per l’uno
valgono anche per l’altro) contempla tanto la colpa generica che la colpa
specifica. Com’è noto, la giurisprudenza di questa corte è nel senso che non viola
il principio di correlazione con l’accusa la sentenza di condanna per il reato di
omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro che, a fronte di una
contestazione di colpa generica per omesso controllo dello stato di efficienza di
una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori, affermi la responsabilità
a titolo di colpa specifica, riconducibile all’addebito di colpa generica (Sez. 3, n.
19741 del 08/04/2010 – dep. 25/05/2010, Minardi, Rv. 247171); che quando la
contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (e cioè
si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione del principio di

19

agevole (quanto meno di tacche e segni adeguati), così come la riconoscibilità

correlazione non sussiste, essendo consentito al giudice aggiungere agli elementi
di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione
della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto
esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata (Sez. 4, n.
35666 del 19/06/2007 – dep. 28/09/2007, Lanzellotti, Rv. 237469).
10.2. Circa la capacità innpeditiva della condotta doverosa omessa, la
motivazione sul punto, che si asserisce omessa, si rinviene a pg. 21 della
sentenza.

Corte di Appello ha giustificato la ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche,
essa non appare né manifestamente illogica né in violazione di legge. Non
manifestamente illogica poiché il riferimento all’omesso risarcimento evidenzia
un elemento effettivamente in grado di delineare la personalità del reo e l’effetto
sullo stesso prodotto dal reato e dalla stessa celebrazione del processo (posto
che ai fini in parola non è indispensabile che si tratti del risarcimento di cui tratta
l’art. 62 n. 6 cod. pen.). Neppure in contraddizione con il dettato normativo
perché non vi è alcuna preclusione a considerare il risarcimento pur al di fuori
dell’ambito di applicazione del menzionato art. 62 n. 6. Quanto alla complessiva
valutazione dei diversi elementi disponibili, si tratta di un giudizio di merito non
sindacabile in sede di legittimità, ove non ricorrenti i vizi previsti dall’art. 606
cod. proc. pen.

10.4. Pertanto, e conclusivamente, anche il ricorso proposto nell’interesse
dell’Entrade va rigettato e questi va condannato al pagamento delle spese
processuali.

11. Fondato è, all’inverso, il ricorso proposto dal responsabile civile Milano
Assicurazioni s.p.a.
Il tema introdotto dal ricorrente concerne la identificazione dei presupposti
della responsabilità civile ‘derivante da circolazione stradale’. Cosa debba
intendersi con tal ultima locuzione è in certa misura controverso. La
giurisprudenza di legittimità ricorda che costituisce un dato ormai acquisito (si
veda sul punto anche Corte cost. 14 aprile 1969, n. 82) che il concetto di
circolazione non rimanda esclusivamente al veicolo in movimento,
rappresentando ‘circolazione’ anche la sosta su area pubblica o ad essa
equiparata. E’ però interessante seguire il filo che si dipana lungo i versanti di
due non coincidenti interpretazioni, proposte per dare risposta al quesito se
davvero tutte le situazioni in cui si produce un danno a veicolo fermo sia
riconducibile alla circolazione. Si è infatti ritenuto, a proposito dell’incendio
20

10.3. Quanto infine al motivo concernente la motivazione con la quale la

propagatosi da un veicolo, che esso è ricollegabile alla circolazione in quanto sia
dipeso da una collisione (così Cass., n. 4575/98) o comunque dal “normale
utilizzo funzionale del veicolo assicurato” (così Cass., n. 5146/97), essendo
necessario che si evidenzi “un particolare e specifico nesso eziologico con un
determinato avvenimento attinente alla circolazione” (Cass., 20 novembre 2003,
n. 17626). Si è aggiunto che “una situazione dannosa proveniente da un veicolo
fermo va attribuita alla sua circolazione (ai sensi e per gli effetti dell’art. 2054
c.c.) solo quando provenga da causa comunque attinente (e non estranea) alla

Più di recente (Cass. 05/08/2004, n. 14998; Cass., 6 febbraio 2004, n. 2302) si
è affermato che, poiché anche in occasione di fermate o soste sussiste la
possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri
veicoli o di persone, la sosta è essa stessa circolazione e che “comprende in sè il
complesso delle situazioni dinamiche e statiche in cui è posto il veicolo sulla
pubblica via” (Sez. 3, Sentenza n. 3108 del 11/02/2010, Rv. 611293).
Le puntualizzazioni offerte dalla giurisprudenza civile rilevano in questa sede
per la capacità di mettere a fuoco un concetto funzionale di circolazione, nel
senso che essa va ravvisata quando il veicolo venga adibito allo scopo che gli è
proprio (e ciò ricorre anche nell’ipotesi della sosta).
Nel caso che occupa va escluso che il danno sia derivato dalla circolazione
del veicolo (la minipala dotata di benna miscelatrice), poiché l’evento non si è
verificato nel percorso che questo pure aveva svolto per recarsi al punto in cui il
Pizio doveva agganciare il manicotto, ma si è determinato nel compimento
dell’operazione di lavoro eseguita da fermo. In questa specifica fase, che rende
irrilevante ogni antecedente (incongruamente rimarcato dalla Corte di appello:
pg. 12 s.), il veicolo non era più ‘in circolazione’, ma quale mezzo d’opera era
utilizzato per l’operazione per la quale era stato realizzato. Una operazione che
non è disciplinata dalle norme in materia di circolazione stradale ma da quelle
dei testi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori; a
dimostrazione ulteriore della estraneità del fatto dall’ambito della ‘circolazione
stradale’. Con ciò non si esclude che vi possano essere situazioni nelle quali si
realizza un concorso dei complessi normativi; ma ciò non è nel caso di specie,
perché quel che rileva non è l’aspetto ‘statico’ (l’essere stata la macchina adibita
alla circolazione stradale e l’essersi verificato l’infortunio su strada pubblica),
valorizzato dalla Corte distrettuale, bensì quello dinamico-funzionale sopra
descritto, non colto dal giudice territoriale nella lettura della giurisprudenza di
legittimità.
Sicchè coglie il segno il ricorso del responsabile civile, sia pure unicamente
laddove evidenzia che l’evento verificatosi risulta estraneo all’oggetto della
21

sua utilizzazione appunto come veicolo, senza l’interferenza di fattori esterni”.

polizza RCA relativa al macchinario in parola, per non essere quello riconducibile
alla ‘circolazione stradale’.
Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, sia pure
limitatamente alla condanna del responsabile civile Milano Assicurazioni s.p.a. al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili; condanna che quindi va
eliminata.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del

delle parti civili; condanna che elimina.
Rigetta i ricorsi di Bendotti Gianmario ed Entrade Paolo che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23/4/2013.

responsabile civile Milano Assicurazioni s.p.a. al risarcimento dei danni in favore

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