Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35294 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35294 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CALO’ LORENZO, N. IL 30/3/1963,
avverso la sentenza n. 92/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Potenza
del 4/10/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Giovanni D’Angelo, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. Gervasio Cicoria, il quale
insiste per l’accoglimento di ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Potenza ha
confermato la condanna inflitta a Calò Lorenzo dal Tribunale di Potenza in data
1.6.2011, perché giudicato responsabile del reato di cui agli artt. 73 e 80, co. 2
T.U. Stup.
Il 3.10.2007 l’imputato veniva arrestato in flagranza di reato perché colto
nel mentre trasportava sulla propria autovettura, celata in una cassetta di frutta,
sostanza stupefacente del tipo hashish per un quantitativo complessivo pari a kg.
9,760, con principio attivo pari a gr. 373,024. Il controllo sul Calò era stato
operato sulla scorta delle dichiarazioni rese da Cosentino Giovanni Luigi,
collaboratore di giustizia, che il giorno precedente aveva riferito agli inquirenti di
un ordine di dieci chili di droga che la propria fidanzata Rosa Paola avrebbe fatto

Data Udienza: 23/04/2013

il 3 ottobre a tale Mancini Donato, con il quale ella si sarebbe dovuta incontrare
presso un distributore di benzina. A seguito delle osservazioni condotte dagli
investigatori, si era proceduto all’arresto del Mancini e del Calò, che era stato
scorto sopraggiungere sul luogo dell’appuntamento a bordo di una diversa
autovettura a seguito di quella condotta dal Mancini, intrattenersi con questi
sino all’arrivo della donna e poi rimettersi in viaggio contestualmente al Mancini
medesimo.

avv. Gervasio Cicoria.
2.1. Con un primo motivo -che denuncia “mancanza e/o illogicità della
motivazione – travisamento del fatto – mancata assunzione di una prova
decisiva” – si lamenta che la Corte di Appello ha evidenziato da un canto che
l’imputato aveva criticato il giudizio relativo al dolo e dall’altro ha affermato che
quest’ultimo non era oggetto di obiezione difensiva. Per l’esponente, inoltre,
ricorre un duplice ‘travisamento del fatto’, ravvisato laddove la Corte di Appello
ha affermato che la Rosa aveva incontrato anche il Calò, mentre nella sentenza
di primo grado si menziona unicamente un contatto tra la donna ed il Mancini.
Si assume che nel complesso quadro probatorio il rigetto della rinnovazione
parziale dell’istruttoria dibattimentale, con l’escussione del Cosentino, costituisce
violazione del diritto di difesa.
2.2. Con un secondo motivo ci si duole della mancanza o illogicità della
motivazione in relazione alla statuizione relativa all’aggravante di cui all’art. 80,
co. 2 T.U. Stup., ritenendo questa ‘non rimediabile’ nemmeno attraverso
l’applicazione, in favore dell’imputato, del principio posto dalle S.U. in ordine ai
quantitativi in grado di concretare la menzionata aggravante.
2.3. Con un terzo motivo si censura il giudizio di esclusione dell’attenuante
di cui all’art. 114 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.
4.1. Il primo motivo di ricorso è aspecifico. Per il primo aspetto
(affermazione contraddittoria della Corte di Appello in punto di posizione
difensiva rispetto all’accertamento del dolo), non appare inutile rammentare che
la motivazione è contraddittoria o perplessa allorquando in sentenza si
manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più
ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a
base del suo convincimento (Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010 – dep.
29/03/2010, Olmastroni, Rv. 247229). Pertanto, non ogni caduta di coerenza
argomentativa è in grado di dare vita al vizio motivazionale in parola, dovendosi

2. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia

pur sempre trattare di contraddittorietà che pregiudica l’intera struttura
motivazionale, sia pure relativa ad uno specifico punto della decisione. Nel caso
che occupa, la discrasia esaltata dal ricorso è del tutto priva di rilievo, posto che
la Corte di Appello ha espressamente motivato sul punto della consapevolezza
nel Calò della presenza dello stupefacente. Tale motivazione non è
manifestamente illogica ed è quindi incensurabile in questa sede.
Con i motivi di appello l’imputato si era doluto della violazione dell’art. 192
cod. proc. pen. operata dal primo giudice, ove questi aveva ritenuto provata la

nell’autovettura del Calò medesimo. Si assumeva il valore neutro delle
circostanze ritenute concretanti indizi di reità a carico del prevenuto, mentre
altre avrebbero dovuto essere valutate alla luce del fatto che il Calò non
conosceva né Rosa Paola né il suo accusatore, il Cosentino, il quale peraltro non
aveva fatto riferimento al ricorrente. Ed era “per meglio delineare il concreto
apporto del Calò” che si era richiesta l’integrazione probatoria.
La Corte di Appello ha ritenuto che il consapevole coinvolgimento del Calò
fosse provato alla luce delle affermazioni del Cosentino, il quale aveva parlato di
un accordo con il Mancini per la vendita al Cosentino di dieci chili di droga,
perfezionato attraverso la mediazione della propria convivente, Rosa Paola;
dell’incontro che questa aveva avuto con il Mancini ed il Calò e delle cautele
assunte durante il trasporto (staffetta del Mancini, occultamento dello
stupefacente sotto della frutta); circostanze dalle quali traeva la prova del dolo
del Calò, nemmeno omettendo di considerare che questi non aveva mai riferito
di essere all’oscuro della presenza della droga.
A fronte di ciò lo stesso ricorrente prospetta l’esistenza di una ricostruzione
alternativa a quella fatta propria dalla Corte distrettuale, resa possibile da una
diversa interpretazione della relazione di parentela corrente tra il Calò ed il
Mancini e della presenza sul divano posteriore del veicolo della cassetta di frutta.
Tuttavia, compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza
conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia
riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale
della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza
di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero
dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente
dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati
inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che
siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro

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consapevolezza dell’imputato di quanto trovavasi occultato nella cassetta posta

rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).

4.2. Più volte il ricorrente fa riferimento ad un asserito travisamento del

apportata all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla I. n. 46 del 2006, resta non
deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la
preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle
risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6,
n. 25255 del 14/02/2012 – dep. 26/06/2012, Minervini, Rv. 253099).
Ove si sia inteso evocare il travisamento della prova, assumendo che la
Corte territoriale ha errato sul significante (testimonianza dell’ispettore Rosa) e
non sul significato, deve comunque concludersi per l’inammissibilità del motivo,
non risultando rispettato il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione,
non essendo stata indicata la citazione saliente della prova operata dai giudici di
merito ed inserita nel corpo del ricorso la riproduzione xerografica dello stralcio
della trascrizione della testimonianza medesima, in modo da consentire l’effettivo
apprezzamento del vizio dedotto (così, Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012 – dep.
04/07/2012, P.G. in proc. Massaro, Rv. 253017).
Né va omesso di rilevare che la sentenza di primo grado – a pg. 5 – descrive
lo svolgimento dei fatti in termini che fanno chiaramente intendere la simultanea
presenza presso l’area di servizio di tutti i soggetti interessati alla transazione;
ovvero il Cosentino, la Rosa, il Mancini ed il Calò.

5. Parimenti inammissibile è il terzo motivo di ricorso.
Esso è aspecifico, giacché non risulta formulata alcuna critica della
motivazione resa dalla Corte di Appello per la quale il Calò ha avuto nella vicenda
un ruolo essenziale, non fungibile (comportamento di primaria importanza,
avendo il Calò ricevuto, custodito e trasportato la droga in vista della consegna).
A tanto il ricorso oppone affermazioni meramente assertive.

6. Fondato è, per contro, il secondo motivo di ricorso.
La Corte di Appello ha affermato che “nessun motivo di appello risulta
avversare l’aggravante dell’ingente quantità ex art. 80 c. 2 T.U. Stup.
309/1990”. Per contro, la lettura dell’atto di appello lascia emergere che

fatto. E’ quindi necessario rammentare che anche a seguito della modifica

l’appellante si era doluto anche della violazione degli artt. 59, 70 e 118 cod. pen.
in relazione all’art. 80, co. 2 T.U. Stup. ritenendo che non vi fosse prova che egli
sapesse della natura e della quantità dello stupefacente trasportato; sicché per
l’esponente risultava violata la disciplina richiamata perché la circostanza
dell’ingente quantità era stata posta a carico dell’imputato nonostante non si
fosse raggiunta la certezza che egli la conoscesse.
Orbene, se è vero che in tal modo l’appellante non ha posto direttamente in
discussione la sussistenza obiettiva della circostanza aggravante della ingente

ritenersi logicamente estranea, perché legata da connessione essenziale, anche
quella sulla qualificazione giuridica del fatto, sempre richiamata quando sia
dedotta l’insussistenza del fatto sotto qualsiasi profilo, sia oggettivo che
soggettivo.
Pertanto la Corte di Appello avrebbe dovuto previamente motivare in ordine
alla corretta qualificazione giuridica del fatto, in relazione all’art. 80, co. 2 T.U.
Stup., essendo peraltro sopraggiunta alla decisione di primo grado quella delle
S.U. di questa Corte che ha delineato i contenuti del concetto di ‘ingente
quantità’ (“In tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze
stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma
secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità
sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia),
determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006,
ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale
quantità sia superata: Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012 – dep. 20/09/2012, P.G.
e Biondi, Rv. 253150).
Si impone, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente
alla ritenuta esistenza dell’aggravante prevista dall’art. 80 comma 2 d.p.r.
309/1990. Tale annullamento deve essere disposto senza rinvio, atteso che, in
applicazione dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen., il rinvio appare superfluo, in
considerazione del fatto che l’entità dello stupefacente caduto in sequestro (Kg.
9,760 di hashish, con principio attivo puro pari a gr. 373,024) è certamente
inferiore alla soglia individuata dalle S.U. come condizione necessaria (ma non
sufficiente) per l’integrazione dell’aggravante in parola. Infatti, nella specie è
evidente il mancato superamento del limite di 2000 volte la soglia di riferimento
(pari a 500 mg. di cui al D.M. 4 agosto 2006), ovvero un chilogrammo di
principio attivo.
Essendo stata determinata la pena complessiva individuando in anni sei di
reclusione ed euro 26.000 di multa la pena base, sulla quale si è apportato
l’aumento per effetto della circostanza aggravante in parola, questa Corte può

quantità, è pur vero che alla censura concernente l’elemento soggettivo non può

rideterminare la pena inflitta all’imputato in anni sei di reclusione ed euro
26.000,00 di multa.
P.Q.M.
annulla senza rinvio «Ma sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta
esistenza dell’aggravante prevista dall’art. 80 comma 2 d.p.r. 309/1990. Rigetta
il ricorso nel resto e determina la pena in anni sei di reclusione ed euro
26.000,00 di multa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23/4/2013.

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