Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35292 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35292 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sia ricorsi:h propostO da :
1. BAGLIONI ROBERTO N. IL 18.10.1965
2. TINININI MAURO N. IL 21.01.1970
3. PALATINI LIVIO N. IL 14.03.1969
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA in data 17 febbraio 2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
sentite le conclusioni del PG in persona del dott. Eduardo Vittorio Scardaccione che ha chiesto
il rigetto dei ricorsi e per Tininini Mauro, in sostituzione dell’avvocato Sergio Ambrosio,
l’avvocato Giorgio Luceri, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso

1.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 17 febbraio 2012 la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Brescia in data 6 aprile 2011, appellata da Baglioni
Roberto, Tininini Mauro e Palatini Livio, riduceva la pena loro inflitta a mesi otto di
reclusione, concedendo agli stessi il beneficio della non menzione. Questi erano stati
tratti a giudizio per rispondere del reato p. e p. dall’art. 589 c.p. con l’aggravante di cui
al 2 comma, perché, con condotte tra loro indipendenti e nelle rispettive qualità, per
colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché violazione di norme
previste dalla prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano la morte di Gaspari
Valentino. In particolare il Tininini quale amministratore unico della CORBAT S.p.A.,
incaricata di svolgere lavori di movimentazione terra e demolizione all’interno di un
capannone della MEDITERRANEO INVESTIMENTI S.r.l., non adottava misure tecniche ed
organizzative atte a garantire condizioni di sicurezza adeguate, scegliendo attrezzature
(l’escavatore) non adatte per dimensioni ai luoghi di lavoro e non adottando cautele per
evitare che i lavoratori a piedi si trovassero nella zona di attività o di passaggio
dell’escavatore (art. 35 D.Igs.vo n. 626/1994); non svolgeva nel POS la valutazione dei
rischi connessi all’uso dell’escavatore all’interno del capannone(art. 4 D.Igs.vo n.
626/1994; il Baglioni quale Presidente del C.d.A. della BAGLIONI COSTRUZIONI S.r.l.,
incaricata di svolgere lavori edili all’interno del citato capannone della MEDITERRANEO
INVESTIMENTI S.r.l., non impediva che le vie di circolazione e di passaggio fossero
ingombrate da materiali costituiti, nel caso in esame, da una catasta di rete metallica
elettrosaldata (art. 8 d.P.R. n. 547/1955; non attuava le indicazioni contenute nel POS

Data Udienza: 09/04/2013

CONSIDERATO IN DIRITTO

e

3. La prima censura formulata dalla difesa del Palatini (avente carattere logicamente
preliminare rispetto alle altre), con la quale è stata dedotta la nullità ex artt. 178, 179
e 161 c.p.p. del decreto di citazione per il giudizio d’appello, merita accoglimento.
Il suo esame impone una premessa metodologica: quando è dedotto, mediante ricorso
per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la
Corte di cassazione è “giudice anche del fatto” e per risolvere la relativa questione può e talora deve necessariamente – accedere all’esame dei relativi atti processuali (Sez.
Un. 31 n. 42792 del 31 ottobre 2001). Il necessario (e consentito per le ragioni

relative all’allestimento delle vie di circolazione di uomini e mezzi (art. 12 comma 3
D.Igs.vo n. 494/1996); il Palatini quale coordinatore per la sicurezza durante la
progettazione e la esecuzione dei lavori nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC)
individuava un’area destinata al passaggio dei mezzi ed allo stoccaggio dei materiali e
delle attrezzature interna al capannone senza considerare la presenza di un ostacolo
fisso (nel caso in esame costituito da una pesa inserita nel pavimento); non svolgeva
valutazioni in ordine ai requisiti dimensionali delle macchine da utilizzare (art. 12
D.Igs.vo n. 494/1996);ometteva di verificare l’applicazione delle disposizioni contenute
nel PSC nonché di aggiornare lo stesso PSC in relazione alla evoluzione dei lavori (art. 5
D.Igs.vo n. 626/1994),
2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso a mezzo dei rispettivi difensori :
2.1 Baglioni Roberto deducendo con un primo motivo l’inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale per non aver tenuto nel dovuto
conto del comportamento gravemente imprudente del conducente del
mezzo che operava, contrariamente a quanto disposto dal suo datore di
lavoro, con il braccio meccanico in posizione elevata, nonché della
circostanza che il mezzo utilizzato dal Marsi era di proprietà della
CORBAT. Sostiene quindi che la pronunciata condanna era intervenuta
“per una condotta tenuta da altri ovvero per la violazione di un precetto
che altri (il committente, il responsabile del cantiere ovvero il
coordinatore per la sicurezza in fase di4 progettazione e di esecuzione dei
lavori, ma non certo l’appaltatore) dovevano osservare; deduce altresì
l’omessa correlazione fra imputazione e fatto accertato dal giudice. Con
un secondo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del
nesso di causalità assumendo che l’infortunio si sarebbe comunque
verificato anche in presenza della condotta pretesa e che si è ritenuta
violata.
Mauro Tininini deduce la incongruità ed illogicità della motivazione della
2.2
sentenza impugnata che, partendo dal pacifico presupposto di una
imprudente condotta dell’operatore del mezzo non aveva tenuto nel
debito conto la circostanza, pur riconosciuta, che lo stato dei luoghi e
principalmente l’altezza della trave consentivano l’agevole passaggio del
cingolato a braccio convenientemente ritratto e dell’esistenza di una
regola di cautela che impone di procedere negli spostamenti tenendo il
braccio del mezzo in condizione ritratta. Sostiene comunque che la zona
deputata al transito del mezzo era assolutamente jdonea per juua
ampiezza sia alla percorrenza dei mezzi sia eventuarméntarersonale
che, per ineludibili necessità operative dovesse interagire co tali mezzi.
Deduce analogamente al Baglioni la insussistenza del nesso causale.
2.3 Palatini Livio con un primo motivo lamenta l’inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di nullità assoluta e concernenti l’intervento
dell’imputato in giudizio sostenendo che il decreto di citazione a giudizio
innanzi alla Corte d’appello sarebbe stato notificato con modalità tali da
rendere impossibile la costituzione del rapporto processuale. Con un
secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e la
manifesta illogicità della motivazione della sentenza in punto sussistenza
dell’elemento psicologico del reato; la carenza di motivazione in punto di
prova del rapporto di causalità

7

anzidette) esame degli atti processuali rende evidente che la questione sollevata dal
Palatini è pienamente fondata. Dall’esame dì questi emerge, infatti, che effettivamente
il decreto di citazione a giudizio davanti alla Corte d’appello di Brescia è stato
apparentemente notificato al Palatini, presso il difensore a suo tempo nominato nella
persona dell’avvocato Pierluigi Gerardi mediante trasmissione a mezzo telefax all’utenza
030294149 non più in uso a questi, in quanto cancellatosi dall’albo degli avvocati di
Brescia già in data 13 dicembre 2010, bensì all’avvocato Claudia Catani, privo di alcun
rapporto con l’odierno ricorrente (cfr. rapporto trasmissione telefax e certificazione
rilasciata dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia).
4. Conseguentemente la correlativa notificazione è inficiata da nullità assoluta, che investe
tutti gli atti processuali consecutivi alla invalida costituzione del rapporto processuale
(e, quindi, la stessa sentenza emessa nel giudizio di secondo grado ed ora impugnata
con l’esaminato ricorso per cassazione), non rilevando, in termini di determinatasi
sanatoria, la presenza del predetto difensore nel dibattimento, la formulazione di
conclusioni nell’interesse dello stesso imputato (rimasto contumace) e la mancata
precisazione di correlativa eccezione (cfr. Sez, 5, n.15529 del 01/12/2004, Cadelano,
Rv. 232155)
5. La sentenza impugnata va pertanto annullata nei confronti di Palatini Livio con rinvio
alla Corte d’appello di Brescia per la celebrazione nei suoi confronti del giudizio di
appello
6. Per quel che concerne i ricorsi del Baglìoni e Tininini, va premesso che la dinamica del
sinistro è stata così ricostruita dai giudici di merito : il 16 luglio 2007 Valentino Gaspari,
dipendente della Baglioni Costruzioni S,r.I., con mansioni di assistente di cantiere,
trovò la morte in un incidente sul lavoro verificatosi presso lo stabilimento della
MEDITERRANEA COSTRUZIONI S.r.l. in Nuvoleto. Nel capannone erano in corso
rilevanti lavori di ristrutturazione e ampliamento che prevedevano, tra l’altro, la
demolizione e la successiva ricostruzione dei pavimenti e dei basamenti in cemento
armato delle macchine di lavorazione del marmo; i lavori erano stati commissionati in
generale alla Baglioni Costruzioni S.r.l., salvo le operazioni di demolizione affidate
invece alla CORBAT S.p.A.
Il giorno dell’infortunio mortale all’inizio dell’attività lavorativa, Angelo Marsi,
dipendente della CORBAT, aveva messo in moto un escavatore cingolato parcheggiato
per la notte all’interno del capannone; si era spostato all’interno di quest’ultimo per
sostituire alla benna il martello demolitore per proseguire nelle operazioni di
demolizione e si era quindi avviato verso l’uscita allorchè ebbe a urtare con lo snodo
centrale del braccio meccanico una trave posta in senso perpendicolare alla sua
direzione, all’altezza di m, 5,22 dal pavimento. L’urto fece saltare i bulloni di fissaggio
del manufatto in cemento armato che, cadendo a terra investì i schiacciandolo i il Gaspari
che si trovava nei pressi.
Per tale vicenda il Marsi è stato processato separatamente ed ha patteggiato la pena
I motivi di ricorso del Baglioni e del Tininini concernenti il comportamento del Marsi ed il
nesso di causalità, in quanto comuni ad entrambi, possono essere trattati
congiuntamente.
Quanto al primo aspetto, va osservato innanzitutto che le norme antinfortunistiche,
avendo lo scopo di impedire l’insorgere di pericoli in qualsiasi fase del lavoro, sono
dirette a tutelare il dipendente anche dagli incidenti derivanti da imperizia, negligenza e
imprudenza del lavoratore stesso (o di suoi colleghi di lavoro), onde l’imprenditore (o
comunque chi si trova in una posizione di garanzia) è responsabile dell’incidente
occorso al prestatore d’opera, sia quando ometta di approntare le idonee misure
protettive, sia quando non si accerti e vigili che di queste misure i dipendenti facciano
uso.
Secondo la costante giurisprudenza di questa suprema corte, un comportamento
anomalo del lavoratore per acquisire, nel caso in cui vi sia anche una violazione del
datore di lavoro, il valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare
l’evento, deve essere imprevedibile perché assolutamente estraneo al processo
produttivo o alle mansioni attribuite al lavoratore (Cass. sez. IV, 4 ottobre 2001, n.
42978, Derks e altro, Rv. 220793; 5 febbraio 1997, n. 952, Maestrini; ecc.) e questo
perché la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore

non soltanto dai rischi derivanti da accidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono
scaturire da avventatezze, negligenze e disattenzioni, purché normalmente connesse
all’attività lavorativa, cioè non esorbitanti dal procedimento di lavoro.
Il datore di lavoro, al quale possa rimproverarsi di non aver fatto tutto ciò che la legge
gli impone di fare a tutela della incolumità di un lavoratore, non risponde, dunque, della
lesione di questa incolumità, dell’evento, solo nel caso in cui il lavoratore, addetto ad un
certo lavoro – e, quindi, esperto di quel dato lavoro rispetto al quale il datore di lavoro
non ha fatto, in termini antifortunistici, ciò che avrebbe dovuto fare – si dedichi, per
propria iniziativa, ad altro, si dedichi cioè ad altra macchina, ad altro settore, se
esorbiti, cioè, rispetto al procedimento di lavoro che gli è proprio e qui, per
avventatezza, negligenza, disattenzione, si provochi delle lesioni o addirittura determini
la propria o l’altrui morte. Solo in questo caso, infatti, non v’è alcun dubbio che la
condotta del lavoratore si ponga come causa sopravvenuta da sola sufficiente a
determinare l’evento, si ponga come serie causale autonoma rispetto alla precedente
condotta omissiva del datore di lavoro che non abbia informato o istruito quel
lavoratore sulle norme antinfortunistiche proprie del settore o del lavoro allo stesso
affidato o che non abbia vigilato o controllato che quel lavoratore osservasse quelle
norme. Le cose stanno, invece, diversamente allorché il lavoratore sia avventato,
imprudente o negligente mentre è dedito al lavoro affidatogli: in questo caso il datore di
lavoro può invocare l’imprevedibilità o abnormità del comportamento del lavoratore e,
quindi, indicare questo comportamento come causa sopravvenuta da sola sufficiente a
determinare l’evento soltanto se tef~provaté in modo certo e irrefutabile ette
to, ~se fatto tutto ciò che la legge gli impone in materia antinfortunistica perché
l’incolumità del lavoratore venga assicurata.
E ciò che la legge impone al datore di lavoro, i doveri che la legge esige che adempia,
sono in sintesi:
I – il dovere di prevenzione tecnica ed organizzativa, che gli impone di fornire al
lavoratore macchine, strumenti di lavoro privi di pericolo alla luce della migliore ricerca
tecnologica;
Il – il dovere di prevenzione informativa e formativa, il dovere, cioè:
Iv di rendere edotti i lavoratori dei pericoli che possono scaturire dall’usolcorrette delle
macchine o degli strumenti di lavoro; of di far loro presente che, per evitare gli infortuni,
non esistono accorgimenti alternativi a quelli indicati di volta in volta; # di pretendere
che i lavoratori acquisiscano la forma mentis antinfortunistica, che si formino, insomma,
come lavoratori consapevoli del dovere, 4 nei propri confronti t della collettività, di
rispettare le norme antinfortunistiche.
III – il dovere, infine, di controllare e vigilare che le norme antinfortunistiche vengano
scrupolosamente osservate; controllo e vigilanza che debbono essere assidui,
ininterrotti, anche avvalendosi del potere di delega, se il datore di lavoro ha soltanto il
sospetto che un lavoratore o gruppo di lavoratori possa non avere preso sul serio
l’obbligo del rispetto delle norme antinfortunistiche, controllo, vigilanza che, invece,
possono essere anche non così impegnativi qualora il datore di lavoro disponga di dati
concreti dai quali desumere la serietà antinfortunistica dei lavoratori. L’osservanza di
questo complesso di doveri è imposto al datore di lavoro non solo per ragioni etiche
facilmente comprensibili, ma perché dalla Carta costituzionale può con sicurezza
argomentarsi che il datore di lavoro, nello svolgimento della propria attività, deve
privilegiare, dedicandogli cure particolari, il lavoro, la persona che lavora, con la
consapevolezza che il lavoro, la persona che lavora, è il più rilevante tra i fattori della
produzione: che la salute è definita, dall’articolo 32 – sulla scia dell’articolo 3 che tratta
dei diritti inviolabili della persona – diritto fondamentale del cittadino e, nel momento
della esecuzione del lavoro, la salute può correre dei rischi, donde il complesso dei
doveri che gravano sul datore di lavoro. Il datore di lavoro, quindi, non potrà mai
eccepire che l’infortunio si è verificato per un comportamento imprevedibile del
lavoratore allorché possa rimproverarsi / e gli si possa rimproverare, di non aver
adempiuto quei doveri, dianzi descritti, impostigli dalla legge, doveri che mirano ad
evitare, appunto, l’imprevedibile, l’abnorme, ad evitare che il lavoratore, per eseguire il
proprio lavoro, si avvalga di accorgimenti diversi da quelli imposti dalla legge o
suggeriti, di volta in volta, dalla migliore ricerca. Il datore di lavoro potrà, ovviamente,

invocare l’imprevedibile, solo se è in grado di provare con certezza, senza ombra di
dubbio, come si è detto, di avere fatto tutto ciò che la legge gl’impone e, inoltre, di
avere elementi sicuri sulla pregressa affidabilità antinfortunistica di quel lavoratore o di
quei lavoratori.
Se questi sono i principi, nel caso di specie risulta, con certezza, che il Marsi nel
momento in cui si è verificato l’infortunio stava eseguendo il lavoro che gli era stato
affidato.
L’infortunio è avvenuto, come ricostruito dai giudici di merito,
per l’assenza di
qualunque accorgimento protettivo volto a evitare che i lavoratori a piedi si trovassero
in prossimità della zona di attività o di passaggio dell’escavatore, omissione di cui
rispondono sia il Baglioni quale datore di lavoro del soggetto che ha subito l’infortunio,
sia il Tinini anche quale estensore del P.O.S. di Corbat.
Quanto al nesso di causalità sul punto la Corte d’appello ha evidenziato, con
argomentazioni congrue, appropriate e coerenti con le risultanze emerse dall’istruttoria,
che l’omessa predisposizione di separazione fra la via di transito del mezzo ed il
passaggio dei lavoratori (dovuta alla violazione colposa di precise regole
antinfortunistiche e di elementari obblighi di diligenza, prudenza e perizia,
pacificamente gravanti su entrambi gli imputati) integrava incontestabile antecedente
causale dell’evento che, come risulta peraltro intuitivo, non si sarebbe verificato in
presenza dell’adozione della condotta attiva pretermessa, ancorché il conducente del
mezzo avesse certamente concorso nella produzione dell’evento lesivo, con la propria
condotta gravemente imprudente. Va inoltre evidenziato, in conformità
all’orientamento ripetutamente affermato da questa Corte, che deve escludersi che una
siffatta condotta del Marsi abbia comunque interrotto il nesso eziologico, quale causa
sopravvenuta di ordine eccezionale, esclusivamente determinante l’evento (art. 41 cod.
pen., comma 2) in quanto ché, per un verso, come già ricordato, le disposizioni
antinfortunistiche sono preordinate a prevenire anche il comportamento imprudente,
negligente o dovuto ad imperizia dello stesso o di altri lavoratori e, per l’altro, non si
trattò di comportamento abnorme, radicalmente ed ontologicamente lontano dalle
ipotizzabili e quindi prevedibili scelte nell’esecuzione del lavoro di guisa da porsi at, di
fuori di ogni possibilità di controllo ad opera di coloro che erano gravati dell’adozione
delle specifiche misure antinfortunistiche. Quanto in particolare alla posizione del
Baglioni è sufficiente osservare come lo stesso quale datore di lavoro del Gaspari fosse
il primo destinatario delle norme antinfortunistiche; come condivisibilmente già
ritenuto da questa Corte, se più sono i titolari della posizione di garanzia owero
dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela
impostogli dalla legge (Sez. 4, n. 18826 del 09.02. 2012, Pezzo, Rv. 253850; Sez. 4,
19.5.2004 n. 46515 riv. 230398) fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato
la costituzione della suddetta posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una
cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. Pertanto
del tutto irrilevante appare la circostanza che il mezzo condotto dal Marsi e che ha
causato l’incidente fosse di proprietà della CORBAT, atteso fra l’altro che proprio in virtù
di tale circostanza è stata elevata imputazione (e pronunciata condanna) anche a carico
del Tininini nella sua qualità appunto di amministratore unico della CORBAT S.p.A.,
Lo stesso Baglioni reitera poi la censura concernente la violazione del principio di
correlazione fra accusa e sentenza. Per smentire la fondatezza della censura, va
ricordato (con affermazioni di principio qui pertinenti) che, in tema di reati colposi, non
sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna
se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (se si fa,
in altri termini, riferimento alla colpa generica), essendo quindi consentito al giudice di
aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di
specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al
concreto esercizio del diritto di difesa. Analogamente, non sussiste la violazione
dell’anzidetto principio anche qualora, nel capo di imputazione, siano stati contestati
elementi generici e specifici di colpa ed il giudice abbia affermato la responsabilità
dell’imputato per un’ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata, ma
rientrante nella colpa generica, giacché il riferimento alla colpa generica, anche se
seguito dall’indicazione di un determinato e specifico profilo di colpa, pone in risalto che

Così deciso nella camera di consiglio del 9 aprile 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata, sicché
questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento
tenuto in occasione del fatto di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla
specifica norma che si assume violata (Sez. 4, 16 settembre 2008, Tomietto).
Quanto agli ulteriori motivi di ricorso del Tininini, le censure mosse sono aspecifiche e
non consentite nel giudizio di legittimità. Esse hanno riproposto anche in questa sede le
medesime doglianze in fatto rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel
giudice nonché da quello di primo grado disattese con motivazione compiuta e congrua,
immune da vizi ed assolutamente plausibile. Peraltro, la motivazione della sentenza
impugnata sui punti oggetto di censura s’appalesa congrua ed esente da vizi logici o
giuridici e le valutazioni di merito ivi svolte sono insindacabili nel giudizio di legittimità,
essendo il metodo di valutazione delle prove conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici
7. I ricorsi del Baglioni e del Tininini vanno quindi rigettati, con conseguente condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Palatini Livio e rinvia alla Corte d’Appello di
Brescia per la celebrazione del giudizio di appello. Rigetta i ricorsi di Baglioni Roberto e Tininini
Mauro che condanna al pagamento delle spese processuali_

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