Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35290 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35290 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO VINCENZO N. IL 13/08/1957
avverso l’ordinanza n. 58/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
23/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
rlettdserriite le conc usioni del PG Dott. eWl.A‘c-d
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Data Udienza: 03/06/2014

La Corte di Appello di
Bologna, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 23.03.2012 liquidava ad
Esposito Vincenzo la somma di euro 2596,00 a titolo di
riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal
18.03.2010 al 29.03.2010 in regime di custodia in
carcere perché sospettato dei reati di estorsione e
lesioni
personali,
aggravati
dall’appartenenza
all’organizzazione camorristica “Clan dei Casalesi”,
reati da cui era stato assolto in sede di giudizio
abbreviato dal giudice delle indagini preliminari.
Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso
per Cassazione Esposíto Vincenzo, a mezzo del suo
difensore, e concludeva chiedendo di volerla annullare.
La difesa lamentava vizio di motivazione, perché la
somma indicata a titolo di riparazione per l’ingiusta
detenzione, stabilita equitativamente sulla base del
mero parametro aritmetico, era eccessivamente esigua,
tenuto conto delle conseguenze negative sulla vita del
ricorrente determinate dalla sofferta carcerazione.
Lamentava altresì che la Corte territoriale avesse
compensato le spese senza addurre alcuna motivazione.
Rilevava poi che errato era il calcolo dei giorni di
ingiusta detenzione subita, che erano stati 12 e non già
11, come si legge nell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
Deve preliminarmente osservarsi che sussiste l’errore
materiale rilevato dalla difesa con riferimento al
conteggio dei giorni di detenzione, indicati in 11
invece che in 12 e pertanto l’indennizzo deve essere
rideterminato in euro 2832,00.
Per il resto il ricorso non è fondato.
Tanto premesso si osserva che il diritto a equa
riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dagli
artt. 314 e ss. cod.proc.pen., trova fondamento nella
condizione soggettiva della persona sottoposta a
detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile
ma non è quello dell’art. 2043 cod.civ. che appresta
sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno
ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto
quello della riparazione legata ad eventi che producono
il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà
e di giustizia distributiva, di responsabilità da atto
lecito ( la distinzione tra responsabilità per danno
ingiusto ex art. 2043 cod.civ. e responsabilità per atto
lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n.
9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova

Ritenuto in fatto

civile ex art. 2697 c.c.
posto che il
procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti percio’
il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è
tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con
la conseguenza che l’istante ha l’onere di provare
i fatti costitutivi della domanda, la custodia
cautelare subita e la successiva assoluzione ( Corte
Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 20/05/2004 ).
La liquidazione del danno, che dunque deve essere
provato nella sua esistenza dalla parte che lo reclama,
a fronte della natura riparatoria e indennitaria della
misura apprestata dall’ordinamento, avviene secondo
criteri di equità. Infatti in tema di riparazione
per ingiusta detenzione, il parametro equitativo
per la liquidazione dell’indennizzo – valutato sulla
base delle conseguenze personali e familiari subite e’ funzionale alla modulazione concreta dello stesso
all’interno del rapporto tra i parametri aritmetici
previsti, ma non consente al giudice di superare
il tetto massimo della liquidazione, scaturente
dai parametri aritmetici.
I richiamati criteri di equità
riguardano ovviamente
non la prova dei danni patiti,
ma la mera
quantificazione dell’indennizzo
spettante a fronte
della loro variegata natura.
In definitiva la liquidazione dell’indennizzo previsto
a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione va
disancorata da criteri o parametri rigidi e deve,
al
riguardo, procedersi con equità, valutandosi la
durata della custodia cautelare e, non marginalmente,
le conseguenze personali, familiari, patrimoniali,
morali, dirette o mediate, che siano
derivate dalla
privazione della liberta’. A tal riguardo,
ato di
partenza
della
valutazione indennitaria, ,
va
necessariam
e •uantomeno ome dato
_dj4D
, e’ costituito dal parametro
-Untmetico
cos itui o
dal
rapporto tra il tetto massimo
dell’indennizzo
di
cui all’art. 315, comma secondo,
cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia
cautelare di cui all’art. 303, comma quarto, cod.
proc. pen., espresso in giorni, moltiplicato per il
periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta
detenzione subita, dovendosi poi procedere alla
liquidazione dell’indennizzo, entro il tetto massimo
del quantum liquidabile, con apprezzamento di tutte le
conseguenze pregiudizievoli che la durata della
custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato
per l’interessato (Cass. Sez. 4^ sent. N. 30317 del
21/06/2005).

Nella fattispecie di cui è processo il provvedimento
impugnato applica correttamente i sopra indicati
principi.
In particolare la Corte di Appello di Bologna ha
rilevato come nel caso di specie l’indennità non possa
essere concessa nella massima misura possibile perché
non sono emerse prove documentali di ulteriori
conseguenze patrimoniali, derivanti da una perdita di
redditività pregressa subita per colpa della detenzione.
A fronte di tale liquidazione effettuata in via
equitativa, peraltro entro la prospettiva di una
valutazione solidaristica e riparatoria al di fuori di
ogni criterio risarcitorio, il ricorso non propone
specifiche censure limitandosi a rilevare, in termini
del tutto teorici, che la Corte di appello non offre
alcun dato obiettivo analiticamente valutabile, atto a
giustificare come sia stata determinata la somma
liquidata.
La
determinazione
conse gue
ad
una
valutazione
caratterizzata da logicità ed adeguata motivazione ,
effettuata con criteri non censurabili in questa sede,
perché né irragionevoli, né frutto di macroscopica
violazione del criterio base, unica ipotesi nelle quali
è possibile un intervento correttivo del giudice di
legittimità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte,infatti, (cfr,
cass., sez.4, sent. n.10690 del 25.02.2010, Rv.245424)
“In tema di ingiusta detenzione il controllo sulla
congruità della somma liquidata a titolo di riparazione
è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto
verificare se il giudice di merito abbia logicamente
motivato il suo convincimento e non sindacare la
sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a
meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri
usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato
criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero
abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta”.
Per quanto poi attiene al motivo concernente la
compensazione delle spese di giudizio, si osserva che la
stessa è stata disposta sulla base della costante
giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., sez.4, sent.
n.46777 del 13.11.2007, Rv.238363).
PQM
Ridetermina l’indennizzo liquidato dalla impugnata
ordinanza, in finali euro 2832,00.
Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma il 3.06.2014.

(.4

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