Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3529 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3529 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini

avverso la sentenza del Gip del Tribunale di Rimini del 26/02/2013, nel
procedimento penale a carico di PACI Roberto, nato a Cesena il 30/10/1967;

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Roberto Paci era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Rimini, dei
reati di seguito indicati:
a) ai sensi degli artt. 81, cpv, 56 e 624 bis, come secondo e terzo, cod.pen., in
relazione all’art. 625, comma primo nn. 4) e 7) cod.pen., posto che, a scopo di
ingiusto profitto e con azione repentina, prima tentava di strappare dal collo di
Stanescu Lacramioara una catenina d’oro (l’azione non si consumava posto che la
donna si allontanava); successivamente cercava di strappare, tirandolo, il borsello

Data Udienza: 30/10/2013

che Stanescu Lacramioara portava legato alla cintura dei pantaloni (il furto non si
consumava posto che il borsello era assicurato ad una cintura che resisteva
all’azione del Paci); con l’aggravante della destrezza e su cose esistenti in edifici
pubblici, in quanto il fatto era stato commesso all’interno dell’ospedale “Infermi” di
Rimini; con la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale, ex art. 99 comma
quarto; con la contestazione dell’abitualità nel delitto ex art. 103 cod.pen.
b) ai sensi dell’art. 624 cod. pen., in relazione all’art. 625 comma primo nn. 4)

repentina, si appropriava di una borsa similpelle – colore rosso marca Dulond con
finiture nere contenente una Bibbia in lingua romena, un altro libro sempre in lingua
romena, documentazione medica Ospedale Infermi di Rimini ed oggetti per la cura
della persona – che Stanescu Lacramioara teneva tra le gambe; con l’aggravante
della destrezza e su cose esistenti in edifici pubblici, in quanto il fatto era stato
commesso all’interno dell’ospedale “Infermi”; con la recidiva specifica reiterata ed
infraquinquennale, ex art. 99 comma quarto; con la contestazione dell’abitualità nel
delitto ex art. 103 cod.pen.
Con la sentenza indicata in epigrafe il GUP del Tribunale di Rimini,
pronunciando con le forme del rito abbreviato, dichiarava il Paci colpevole dei reati
a lui ascritti ai campi a) e b) qualificati come delitti di cui agli artt. 624 625 nn. 4)
e 7) cod. pen. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed alla
recidiva correttamente contestata, esclusa l’abitualità nel delitto per mancata
declaratoria in tal senso, ritenuta la continuazione fra i reati con la diminuente del
rito, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione e C 180,00 di multa, oltre
consequenziali statuizioni.

2. Avverso l’anzidetta pronuncia il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Rimini proponeva ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con unico motivo d’impugnazione il PM ricorrente deduce erronea
applicazione della legge penale nonché illogicità manifesta della motivazione,
dolendosi, essenzialmente, del mancato riconoscimento della delinquenza abituale
e della concessione delle attenuanti generiche. Contesta, in particolare, la ritenuta
inapplicabilità dell’istituto dell’abitualità sulla base dell’erroneo assunto che la
stessa postulasse una formale declaratoria, non essendo sufficiente il richiamo ai
numerosi e specifici precedenti penali dell’imputato, che, seppur significativi, nulla
dicevano, per la loro risalenza nel tempo, in ordine all’attualità della pericolosità
sociale. Rileva che, trattandosi nel caso di specie di abitualità ritenuta dal giudice,

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e 7) ed ultimo cod. pen., posto che, a scopo di ingiusto profitto e con azione

ex art. 103 e non di abitualità presunta dalla legge, ex art. 102, il giudice avrebbe
dovuto tener conto della prima disposizione normativa e considerare i precedenti
penali dell’imputato, precisamente otto condanne per furto, oltre a condanne per
tentato omicidio, incendio, evasione, resistenza a pubblico ufficiale; nonché
l’assenza di una stabile dimora e di illecita attività lavorativa e la mancata
resipiscenza. Era, pertanto, assai probabile che l’imputato, per il futuro, potesse
commettere ulteriori reati. Incongrua, inoltre, era la motivazione con cui il
giudicante aveva concesso le attenuanti generiche, considerato che la restituzione

in mancanza di qualsivoglia segno di pentimento.

2. E’ certamente fondata la ragione di doglianza riguardante il mancato
riconoscimento dell’abitualità a delinquere, che rappresenta il nucleo essenziale
della censura del PM ricorrente, come è fatto palese dal chiaro

petitum

dell’impugnazione. Ed invero, l’assunto motivazionale del giudice a quo, secondo cui
il riconoscimento dell’abitualità postula una formale declaratoria, non essendo
sufficiente il richiamo ai numerosi e specifici precedenti penali dell’imputato, è
evidente frutto di errore di diritto in ordine all’istituto richiamato.
È risaputo, in proposito, che l’abitualità a delinquere, prevista dall’art. 102 cod.
pen., é ipotesi, concettualmente e strutturalmente, diversa dall’abitualità ritenuta
dal giudice, disciplinata dal successivo art. 103. La prima, infatti, è operante
obbligatoriamente ed autonomamente per presunzione di legge, senza bisogno di
previa declaratoria o di accertamento del giudice; la seconda, invece, è rimessa al
potere discrezionale del magistrato, richiedendosi, come presupposto inderogabile,
che il soggetto, già condannato per due delitti non colposi, venga ulteriormente
condannato per altro delitto non colposo e che sia, altresì, accertata, la sua
pericolosità sociale, desunta dalla valutazione complessiva della condotta da lui
tenuta (senza che rilevino termini o periodi prefissati entro i quali siano stati
commessi i reati), nonché dalla qualità dei fatti commessi e dei beni giuridici offesi,
elementi tutti che, in uno alla reiterazione delle condotte illecite, sono indicativi
della pervicacia del reo nel delinquere (cfr. Cass. Sez. 1, 5 marzo 2009, n. 14508,
rv. 243146; cfr. id.Sez. 2, n. 1423 del 14/12/2012, dep. 11/01/2013, Rv. 254187,
secondo cui in tema di abitualità del reato, mentre in quella presunta dalla legge il
giudice deve limitarsi ad accertare i soli elementi necessari e sufficienti,
tassativamente determinati dal legislatore, nell’ipotesi di abitualità ritenuta dal
giudice, quest’ultimo, in aggiunta ai primi, deve anche compiere una valutazione
discrezionale in ordine ad altri elementi indicati dal legislatore).
Orbene, nel caso di specie, il giudice ha, erroneamente, respinto la richiesta
di declaratoria di abitualità nel delitto, ai sensi dell’art. 103 cod. pen., reputando
necessaria la contemporanea sussistenza sia dei presupposti indicati dall’art. 102 e

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della refurtiva era stata soltanto parziale e compiuta con modi offensivi e sgarbati,

della concreta pericolosità del soggetto, da apprezzare in termini di attualità, non
reputando all’uopo sufficiente i “numerosi gravi precedenti penali del soggetto” che
non consentivano di formulare un giudizio di probabilità sulla futura commissione di
nuovi reati né, tantomeno, un giudizio di attuale pericolosità.
Invece, alla stregua del perspicuo disposto normativo, da ultimo richiamato,
il giudice di merito avrebbe dovuto limitarsi alla verifica dei soli presupposti richiesti
della legge ai fini del discrezionale apprezzamento richiesto dalla stessa norma.

casellario giudiziale in atti, l’imputato aveva subito ben otto condanne per furto,
oltre a condanne per tentato omicidio, incendio, evasione, resistenza a pubblico
ufficiale; e risultava, inoltre, privo di stabile dimora e di lecita attività lavorativa.
Dunque, vi erano in atti sufficienti elementi per la richiesta valutazione prognostica,
in funzione del giudizio di inclinazione al delitto, specie alla stregua delle ripetute
condanne per furto e, quindi, per tipologia di reato omogenea a quella dei fattireato oggetto del presente giudizio.
Infine, è fondata anche la doglianza relativa alla concessione delle attenuanti
generiche, motivata dal giudice a quo in maniera palesemente incongrua, con
riferimento alla riferita, seppur parziale, restituzione della refurtiva. Come
esattamente considerato in ricorso quel giudice non aveva considerato, a parte la
personalità dell’imputato desumibile dai plurimi precedenti a suo carico e dalle sue
condizioni di vita, l’atteggiamento di protervia e iattanza che aveva caratterizzato la
restituzione della sola borsa, già svuotata del suo contenuto, in assenza peraltro di
qualsivoglia segno di resipiscenza.
Resta inteso che, ove mai il giudice del rinvio dovesse ritenere l’imputato non
meritevole del beneficio delle generiche, dovrà provvedere alla rideterminazione del
trattamento sanzionatorio.

2. Per quanto precede, l’impugnata sentenza deve essere annullata perché il
giudice del rinvio proceda a nuovo esame sui punti indicati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata declaratoria di
abitualità nel delitto ex art. 103 cod. pen. ed alla concessione delle attenuanti
generiche, oltre che in riferimento al complessivo trattamento sanzionatorio, con
rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo giudizio sui punti anzidetti.
Così deciso il 30/10/2013

Sulla base di quanto riferito dal PM ricorrente e risultante dal certificato del

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