Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35287 del 18/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35287 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
Nei confronti di:
IANNOTTA RAFFAELE

N. IL 11.04.1949

avverso la sentenza del GIUDICE DI PACE DI MARCIANISE in data 13.11.2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI,
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Eduardo Scardaccione che ha
chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli ricorre per
cassazione avverso la sentenza con la quale il Giudice di Pace di Marcianise ha
dichiarato non doversi procedere nei confronti di Iannotta Raffaele, in ordine al reato di
lesioni personali colpose per essere il reato estinto per remissione di querela.
Assume l’esponente che il giudice è incorso in violazione di legge ritenendo che la
reiterata mancata comparizione della persona offesa, previamente avvisato che la sua
assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della
querela, costituisca fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
Siffatto orientamento, aggiunge il ricorrente, è contrario all’indirizzo giurisprudenziale
maggioritario e nel caso di specie consta anche che la persona offesa si è costituita
parte civile
CONSIDERATO IN DIRITTO.
2. Il ricorso è fondato. Come esattamente dedotto, la decisione impugnata si rifà ad un
indirizzo giurisprudenziale ormai superato da questa Corte di legittimità, con altro

Data Udienza: 18/07/2014

Va osservato che la sanzione dell’improcedibilità per mancata presenza del querelante
nel processo è positivamente disciplinata nell’ordinamento vigente solo nel caso
previsto dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3 (disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace). L’ipotesi è quella della mancata comparizione delle persone
offese, alle quali il decreto di comparizione delle parti – che ha nelle sue premesse il
ricorso immediato della persona offesa – sia stato regolarmente notificato ai sensi
dell’art. 27, comma 4; per espressa previsione normativa, la mancata comparizione
equivale a rinuncia al diritto di querela ovvero alla remissione della querela, qualora sia
stata già presentata. Nel caso che occupa, l’imputato è stato tratto a giudizio con atto di
citazione emesso dal P.M., sicché si è fuori del campo di applicazione dell’istituto della
rimessione disciplinato dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 28, comma 3.
Oltre il perimetro di tale specifica ipotesi positivamente disciplinata e, pertanto, sotto il
generale profilo delineato dall’art. 152 cod. pen. (al quale il giudice ha fatto esplicito
riferimento), non è affatto previsto dalla legge che la mancata presentazione nel
processo, pur in presenza di espresso avviso del giudice in tal senso, possa comportare
l’improcedibilità dell’azione penale per ritenuta remissione tacita della querela. Com’è
noto, infatti, l’art. 152 c.p., comma 2, dopo aver premesso che “la remissione è
processuale o extraprocessuale”, dispone che “la remissione extraprocessuale è
espressa o tacita” e che “vi è remissione tacita quando il querelante ha compiuto fatti
incompatibili con la volontà di persistere nella querela”. È, quindi, evidente che deve
trattarsi di “fatti” cioè di comportamenti che rilevano nel mondo esterno, che come
opportunamente precisa la sentenza delle S.U. innanzi richiamata, “non rimangano
confinati nel limbo di eventuali stati d’animo, di meri orientamenti eventualmente
internamente programmati”.
Può aggiungersi, che la natura extraprocessuale della remissione implica che essa non
può consistere in atti o comportamenti “nel procedimento” di cui trattasi, dovendo
appunto essersi concretizzati all’esterno di tale procedimento.
Il principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia impone senz’altro
l’efficienza nella trattazione del processo; tuttavia la giurisprudenza costituzionale ha
precisato che il vincolo derivante dall’art. 97 Cost., proiettato sull’oggetto in parola,
riguarda esclusivamente le leggi che regolano l’ordinamento degli uffici giudiziari ed il
loro funzionamento e quindi non anche l’esercizio della funzione giurisdizionale (da
ultimo, C. cost. ord. 4.2.2000, n. 30). A chiamare in causa proprio l’esercizio della
giurisdizione è il principio della “ragionevole durata del processo”, fatto proprio nel
nostro ordinamento dall’art. 111 Cost. (ancorché ne risulti ancora controversa la
matrice, ovvero se esso debba essere inteso quale espressione e funzione del diritto di
difesa piuttosto che quale esigenza della giurisdizione). Questa Corte ne ha indicato le
funzionalità: esso va utilizzato dall’interprete sia per valutare la resistenza
costituzionale di norme esistenti e quindi, se del caso, per sollecitare la dichiarazione di
incostituzionalità di una disposizione, sia nell’interpretazione della legge (vd., da ultimo,
Sez. 3, Sentenza n. 47878 del 19/07/2012, Sozzi, Rv. 254067).
Ciò posto, va però rimarcata la necessità di evitare che l’invocazione di tale principio
possa tradursi nella previsione di oneri processuali a carico delle parti non altrimenti
ancorati a disposizioni di legge, posto che in ogni caso tale principio assicura che il
processo duri per il tempo necessario a consentire un adeguato spiegamento del
contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa (Corte cost. sent. n. 281 del 2010),
mentre non permette una identificazione a priori della durata ragionevole del processo.
È possibile registrare, anche nella giurisprudenza di questa Corte, una prospettiva

orientamento autorevolmente avallato dalle Sezioni Unite, le quali hanno statuito che
“nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta
dal PM, D.Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 20 la mancata comparizione del querelante – pur
previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso
della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la volontà
di persistere nella stessa, sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell’art. 152 c.p.,
comma 2 (S.U. n. 26 del 30.10.2008, PG c/o Viele, Rv. 241357 e, recentemente, Sez.
4, n. 18187 del 28/03/2013, Rv. 255231 ).

Nella specie, secondo quanto si rileva dall’impugnata sentenza, l’unico comportamento
venuto in rilievo è la mancata comparizione in udienza del querelante, ossia un fatto
che va correttamente situato nel processo e solo in questo; oltre a siffatto dato, di
natura processuale, non risulta alcun altro “fatto” che sia stato allegato, assodato,
comprovato dal quale dedurre che la mancata comparizione va considerata come
effetto, consequenziale e logico di remissione.
3. Ne deriva l’annullamento con rinvio dell’impugnata al Giudice di pace di Marcianise.

P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice di Pace di Marcianise per nuovo esame,

Così deciso nella camera di consiglio del 18 luglio 2014
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

interpretativa (non sempre esplicitamente dichiarata) che tende a rimuovere
ricostruzioni giuridiche indifferenti alle ricadute sulla ragionevole durata del processo;
ciò non di meno va ribadito, insieme ad attenta dottrina, che l’attuazione del principio in
parola è riservata al Parlamento. Con l’ulteriore corollario della ammissibilità di
interpretazioni orientate alla “implementazione” del principio solo in caso di lacuna
normativa.
Pertanto, sino a quando sarà mancante la definizione normativa del processo di durata
ragionevole e la previsione di poteri giurisdizionali in grado di assicurare il
conseguimento dell’obiettivo, il principio in parola non può legittimare interpretazioni di
discipline positive che finiscono per comprimere l’esercizio di facoltà attribuite alle parti
(anche alla persona offesa: il rilievo che merita la posizione della vittima del reato nel
processo penale non richiede ormai particolare illustrazione);
potrà invece fondare interpretazioni che, si ripete, intervengono a colmare lacune
normative.
Va, perciò, riaffermato il principio di diritto secondo cui, all’infuori dell’ipotesi
espressamente e specificamente disciplinata dal D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 21, 28 e
30, la mancata comparizione del querelante nel processo, nonostante la sollecitazione a
comparire fattagli dal giudice procedente, non configura una remissione tacita di
querela, esclusa del resto quella espressa per assoluta mancanza dei relativi requisiti di
legge.

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