Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35281 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35281 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ROMIS VINCENZO

Data Udienza: 16/07/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
DI SERIO PASQUALE N. IL 20/07/1979
inoltre:
DI SERIO PASQUALE N. IL 20/07/1979
avverso la sentenza n. 3081/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
30/09/2013

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2014 la relazione fatta dal
—,
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dptt.r11.A.M ,14.3f-P A tu-aAg
che ha concluso per 9_4A AA.A.^. 2,CALLAW

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RITENUTO IN FATTO

1. Di Serio Pasquale veniva condannato in primo grado per detenzione illegale di sostanza stupefacente del tipo marijuana ed episodi di cessione di hashish e marijuana, con l’aggravante di
cui all’art. 80, secondo comma, del d.P.R. n. 309/90 (ingente quantità) e per ricettazione di
pacchetti di sigarette di provenienza illecita: veniva disposta altresì la confisca di un’auto Fer-

2. A seguito di gravame ritualmente proposto dall’imputato, la Corte d’Appello di Roma con la
sentenza di cui in epigrafe assolveva il Di Serio dal reato di ricettazione muovendo dal rilievo
della mancanza di prova circa la provenienza da delitto delle sigarette – e comunque circa la
consapevolezza del Di Serio della eventuale provenienza da reato delle sigarette, certamente
non oggetto di contrabbando – ed escludeva la contestata aggravante dell’ingente quantitativo
in relazione al reato concernente gli stupefacenti, perché anche al riguardo non sarebbe stata
raggiunta la prova della consapevolezza da parte del Di Serio dell’effettivo quantitativo di principio attivo contenuto nello stupefacente rinvenuto nel locale in cui la sostanza era custodita,
non essendovi tra l’altro elementi per escludere che il Di Serio detenesse e negoziasse lo stupefacente per conto e nell’interesse di terze persone: anzi, quest’ultima ipotesi, osservava la
Corte, poteva essere avallata dal fatto che non erano state accertate in capo al Di Serio disponibilità economiche tali da consentirgli un investimento in un cospicuo quantitativo di droga,
nonché dalla circostanza che il Di Serio non si serviva di altri per la vendita ma vi provvedeva
personalmente con modalità tipiche di cessioni di droga da strada a piccoli consumatori. Venivano confermate infine le statuizioni relative alla confisca.

3. Ricorrono il Procuratore Generale distrettuale e l’imputato.
3.1. Il primo denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione degli elementi fattuali acquisiti, osservando che gli stessi, a suo avviso, smentirebbero
l’ipotesi formulata dalla Corte territoriale circa la mancanza dell’elemento psicologico nella condotta del Di Serio, sia per quanto riguarda il quantitativo di droga che per la provenienza delittuosa delle sigarette.
3.2. L’imputato evidenzia la necessità di rivalutare il trattamento sanzionatorio alla luce della
sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ed aggiunge ancora che vi sarebbe stata reformatio in pejus da parte della Corte d’Appello in ordine alla determinazione della pena a seguito dell’esclusione dell’aggravante ex art. 80 del d.P.R. n. 309/90, e pur volendo considerare
anche l’aumento della continuazione per gli episodi di cessione; si osserva in proposito con il
ricorso che, muovendo dalla pena base di anni sei di reclusione determinata dal primo
giudice – e non anni nove, quale erroneamente indicata, tenuto conto dei calcoli intermedi poi
seguiti dal giudice – la pena finale detentiva avrebbe dovuto essere di anni quattro e mesi
quattro e non anni cinque di reclusione, applicando la diminuente per la scelta del rito: dun2

rari e della somma di euro 650,00 ai sensi dell’art. 12 sexies del d.l. n. 306/92.

que, ad avviso del ricorrente, la pena di anni cinque di reclusione ed euro 20.000,00 sarebe
stata determinata in violazione del principio del divieto della reformatio in pejus; con il ricorso
si denuncia poi vizio di motivazione in ordine alla confisca della Ferrari e della somma di euro
650,00, disposta ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. 306/92, tenuto conto delle capacità patrimoniali della moglie del Di Serio, sig.ra Palombi, soda di minoranza della società immobiliare
“Tecnocasa” in Roma nella zona Monteverde-Casaletto: in particolare, la somma di 650,00 euro – rinvenuta dai verbalizzanti nell’abitazione del Di Serio dove, contrariamente all’affermazio-

pochi giorni prima come da certificazioni di prelievo autenticate dall’istituto di credito.

4. La difesa dell’imputato ha poi depositato memoria con argomentazioni finalizzate a contrastare il ricorso del P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Procuratore Generale deve essere rigettato per l’infondatezza delle censure dedotte.
Il collegio ricorda che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente analizzato e descritto
le coordinate ed i limiti entro cui deve svolgersi il controllo sulla motivazione dei provvedimenti
giudiziari (cfr. al riguardo, tra le pronunce delle Sezioni Unite, Cass. Sez. Un. sent. n. 12 del
23.6.2000; Cass. Sez. Un. sent. n. 6402 del 2.7.1997; Cass. Sez. Un. sent. n. 930 del
29.1.1996 e, successivamente alle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006 all’art. 606
c.p.p., lett. e), Cass. 6^, sent. n. 10951 del 5.3.2006 e Cass., 6^, sent. 14054 del 24.3.2006).
In particolare è stato più volte chiarito che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso
giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, ed esenti
da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro. Occorre inoltre che la motivazione non
sia logicamente inconciliabile con “atti del processo” – specificamente indicati e rappresentati
dal ricorrente – che siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale
che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini
al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua
o contraddittoria la motivazione. In altri termini – in aderenza alla previsione normativa che attribuisce rilievo solo al vizio della motivazione che risulti “dal testo del provvedimento impugnato” o da “altri atti del processo” specificamente indicati e rappresentati nei motivi di gravame – il controllo di legittimità si appunta sulla coerenza strutturale della decisione, di cui
saggia la oggettiva “tenuta” sotto il profilo logico-argomentativo. Al giudice di legittimità è invece preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti mag-

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ne dei giudici di merito, non era stata trovata sostanza stupefacente – sarebbe stata prelevata

giormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione
dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Esaminata in quest’ottica, la decisione impugnata, nella parte in cui ha escluso la colpevolezza

gente quantità relativamente all’addebito concernente la violazione della legge sugli stupefacenti, si sottrae alle censure che le sono state mosse dal ricorrente Procuratore Generale perché la Corte d’Appello ha dato conto di tale convincimento con le argomentazioni sopra ricordate nella parte narrativa (e da intendersi qui richiamate onde evitare superflue ripetizioni) che si
presentano all’evidenza esenti da vizi logici e da interne contraddizioni.
1.1. Il rigetto del ricorso del Procuratore Generale rende ovviamente superfluo l’esame delle
argomentazioni di cui alla memoria difensiva finalizzate a contrastare le tesi prospettate dallo
stesso P.G. ricorrente; per completezza espositiva va tuttavia evidenziato l’errore in cui è incorsa la difesa dell’imputato laddove nella citata memoria ha indicato in 1.000 il moltiplicatore
ai fini dell’aggravante dell’ingente quantitativo: detto moltiplicatore è infatti pari a 500 posto
che bisogna tener conto della sentenza del TAR del Lazio n. 2487 del 2007, come precisato da
questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 2294/2013).

2. Quanto al ricorso dell’imputato, lo stesso merita accoglimento nei limiti di seguito precisati.
2.1. E’ innanzi tutto fondata la prospettazione della necessità di una riconsiderazione del trattamento sanzionatorio alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.
La citata decisione del Giudice delle leggi, per quanto qui rileva, ha dichiarato la illegittimità
costituzionale dell’art. 4 bis della legge 21 febbraio 2006 n.49, entrata in vigore il 28.2.2006,
nella cui vigenza sono stati commessi i fatti concernenti la violazione della legge sugli stupefacenti, relativamente a sostanza del tipo hashish e marijuana, contestati all’imputato; in relazione a tali fatti, a seguito della citata dichiarazione di incostituzionalità, e come dalla Corte
costituzionale espressamente affermato, trova applicazione l’art. 73 del DPR 309/90 e relative
tabelle nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni ritenute incostituzionali, con il ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le
droghe leggere e le droghe pesanti; l’intervento abrogativo della Corte costituzionale ha riguardato non tanto la norma incriminatrice ma il trattamento sanzionatorio applicabile, che
per le c.d. droghe “leggere” risulta modificato in senso senz’altro più favorevole sia perché
quello che era il precedente minimo edittale è divenuto il massimo consentito, sia perché lo
stesso determina un più favorevole computo del termine di prescrizione del reato; a norma
dell’art. 136 della Costituzione, quando una norma è dichiarata incostituzionale la stessa cessa
di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, disposizione che tro4

u/uP

dell’imputato in ordine al reato di ricettazione ed ha ritenuto insussistente l’aggravante dell’in-

va un limite solo nel caso di rapporti esauriti; la modifica del quadro normativo così intervenuta richiede la valutazione delle concrete situazioni giudicate ed oggetto di ricorso davanti a
questa Corte alla luce dei principi relativi alla successione di leggi nel tempo dettati dagli artt.
25 Costituzione, 7, par. 1, Convenzione europea sui diritti dell’Uomo e 2 codice penale (occorrendo, in particolare, tenere presente i’ interpretazione della Corte EDU del predetto art.
7, par. 1, della citata Convenzione europea, secondo cui il medesimo è comprensivo anche
del diritto dell’imputato di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato
che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza [sentenza Scoppola

ricorso atteso che, secondo un condivisibile orientamento di questa Corte, nel giudizio di cassazione è rilevabile di ufficio, nonostante la inammissibilità del ricorso, anche la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena (sez. VI, n. 21982 del 2013, Rv. 255674), ed essendosi
altresì ritenuto che, a seguito di declaratoria di incostituzionalità di norma concernente la determinazione della pena, anche in caso di sentenza passata giudicato è possibile rimodulare il
trattamento sanzionatorio ad opera del giudice dell’esecuzione (sez. I, n. 977 del 2011, Rv.
252062: conf., Sez. 1, n. 19361 del 24/02/2012 Cc. – dep. 22/05/2012 – Rv. 253338; si veda
anche Sez. Un. n. 18821 del 24/10/2013 Cc. – dep. 07/05/2014 – imp. Ercolano).
Da quanto sopra detto deriva che per i reati commessi dopo il 28.2.2006 (data di entrata in
vigore della n.49/2006 c.d. legge Fini-Giovanardi) – e, con riferimento all’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 che qui non rileva, prima del 24.12.2013 [data di entrata in vigore dell’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, in I. 21
febbraio 2014 n.10, cui ha fatto seguito poi il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 (in Gazz. Uff. n. 115 del 20 maggio 2014, Serie Generale)] – dovrà essere applicata: 1) nel caso di reati concernenti le droghe pesanti, la norma
dichiarata incostituzionale (ossia l’art. 73 co. 1, nella formulazione della legge del 2006, c.d.
Fini-Giovanardi) in quanto la stessa prevede una pena (da 6 a 20 anni) inferiore nel minimo a
quella (da 8 a 20 anni) della precedente legge del 1990, c.d. Iervolino -Vassalli ed è pertanto
più favorevole per l’imputato; 2) nel caso di reati concernenti le droghe leggere, la legge Iervolino-Vassalli in quanto la pena per tali ipotesi previste (da 2 a 6 anni) è inferiore a quella (da
6 a 20 anni) prevista dalla legge Fini-Giovanardi del 2006; occorre sottolineare che con riguardo a tale ipotesi quello che era il precedente massimo edittale è divenuto ora il minimo e che la
modifica comporta la applicazione di un diverso e più breve termine di prescrizione del reato.
Muovendo da tali premesse, e venendo alla situazione in esame – ferma restando l’affermazione di colpevolezza pronunciata nei confronti del ricorrente, con conseguente irrevocabilità di
detta statuizione ai sensi dell’art. 624 c.p.p. – l’impugnata sentenza deve essere dunque annullata nei confronti del Di Serio in ordine al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo esame sul punto. Resta assorbita la doglianza

5

C/Italia; Corte cost.210/2013]). A ciò non sarebbe di ostacolo nemmeno la inammissibilità del

relativa alla denuncia di re formato in pejus dovendo il giudice del rinvio rivalutare il trattamento sanzionatorio.

3. Quanto alle censure concernenti la confisca, è infondata quella relativa alla confisca dell’auto
Ferrari, peraltro formulata con argomentazioni che sostanzialmente tendono ad una rivalutazione delle risultanze probatorie non consentita in sede di legittimità. Vero è che al riguardo la
Corte territoriale ha reso motivazione estremamente sintetica richiamando la sentenza di primo
grado ed evidenziando la sproporzione tra il valore del bene ed il reddito personale dell’imputa-

to; ma è altresì vero che il primo giudice aveva reso al riguardo ampia ed articolata motivazione sottoponendo ad attento vaglio le deduzioni difensive e disattendendo motivatamente le
prospettazioni della difesa circa le asserite disponibilità economiche della moglie de Di Serio:
dunque, con l’appello il Di Serio si era limitato alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice. Orbene è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppie statuizioni conformi, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, “ex plurimis”,
Ud. -dep. 23/04/1994 – Rv. 197497; conf.

Sez.

Sez.
2, n.

3, n.

4700

11220

del 14/02/1994
del

13/11/1997

Ud. – dep. 05/12/1997- Rv. 209145).
Il primo giudice aveva accertato in punto di fatto che il valore dell’autovettura risultava sproporzionato rispetto alle capacità reddituali dell’imputato e della moglie. Va sottolineato che nella concreta fattispecie la confisca dell’auto è stata disposta ai sensi dell’art. 12 sexies della legge n. 356/92, e quindi a prescindere dall’eventuale utilizzo dell’auto quale mezzo per la consumazione del reato. In forza della norma appena citata, in presenza del reato previsto
dall’art. 73 del D.P.R. n. 309/90, ed ove non sia ritenuta configurabile l’ipotesi attenuata di cui
al quinto comma di tale ultimo articolo (situazione perfettamente corrispondente a quella in
esame), deve essere obbligatoriamente disposta dal giudice la confisca dei beni sequestrati
della cui provenienza non sia fornita giustificazione, e che risultino sproporzionati rispetto alle
condizioni reddituali dell’imputato (come nel caso di specie). Ne deriva che, nella concreta fattispecie, e con specifico riferimento all’auto, avendo i giudici di merito ritenuto accertato che
l’auto aveva un valore economico sproporzionato rispetto al reddito del Di Serio (ed alle capacità economiche della moglie) sarebbe stato onere dell’imputato fornire la prova positiva della

liceità della provenienza dei mezzi finanziari utilizzati per l’acquisto del bene in parola (cfr. in
tal senso: Sez. Un., n. 920/04, Montella, RV. 2264491; Sez. 5, n. 27656/01, Corso, RV.
220228): il che non è stato.
3.1. E’ viceversa fondata la censura di vizio motivazionale relativa alla confisca del denaro posto che la Corte territoriale non ha in alcun modo preso in considerazione e vagliato le specifiche e documentate deduzioni dell’appellante circa il prospettato prelievo della somma in argomento con operazione bancaria; né il primo giudice aveva specificamente affrontato il tema
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della confisca del denaro.
L’impugnata sentenza deve quindi essere annullata per quel che riguarda la confisca del denaro con rinvio per nuovo esame anche su tale punto.
3.2. Conclusivamente, per quel che riguarda il ricorso dell’imputato, l’impugnata sentenza deve
essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla confisca del denaro, con
rinvio per nuovo esame su tali punti ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma; il ricorso
va nel resto rigettato.

Rigetta il ricorso del P.G. territoriale. Nulla per le spese.
Annulla l’impugnata sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla confisca della
somma di euro 650,00.
Rigetta nel resto il ricorso di Di Serio Pasquale. Fermo r4 resto ex art. 624 c.p.p.
Roma, 16 luglio 2014
Il Co sigliere estensore

Il Presidente
( Gaetanino ecca )

(Vincenzo Romis)

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

P. Q. M.

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