Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35277 del 05/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35277 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEZI FEDERICO N. IL 18/10/1986
avverso l’ordinanza n. 972/2012 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
11/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/06/2013

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Alberto Biffani, che chiede l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 11 febbraio 2013, il Tribunale per il riesame di Roma

proc. pen.) dalla difesa di Dezi Federico, avverso l’ordinanza del 25 ottobre
2012, reiettiva dell’istanza di “richiesta di esaminare separatamente le questioni
relative agli avvisi di accertamento per gli anni 2009 – 2010, rispetto al semplice
processo verbale di constatazione per l’anno 2011; richiesta all’amministratore
giudiziario, con riferimento agli avvisi di accertamento per gli anni 2009 – 2010,
di presentazione di richiesta accertamento con adesione, al fine di verificare in
contraddittorio quanto affermato dall’Erario, in considerazione delle palesi e
plurime incertezze ed inesattezze”.
1.1 In punto di fatto il Tribunale premetteva che il Dezi, nell’ambito di un
procedimento penale in relazione a fatti di bancarotta per distrazione commessi
in concorso con membri di una contestata associazione per delinquere, ha subito
il sequestro preventivo delle quote della società Daf s.r.I., con nomina di un
amministratore giudiziario; con l’istanza rigettata la difesa sollevava questioni
inerenti l’operato dell’amministratore, che non aveva ritenuto di dare seguito alle
istanze relative agli avvisi di accertamento ed ai processi verbali di constatazione
per gli anni 2009 – 2010 dell’Agenzia delle Entrate.
1.2 L’ordinanza perviene ad una dichiarazione di inammissibilità dell’appello, sul
presupposto che i provvedimenti relativi all’operato dell’amministratore sono
provvedimenti di esecuzione del sequestro e, pertanto, non riguardando
l’applicazione o la persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento del
vincolo, appartengono alla cognizione del giudice dell’esecuzione, ex art. 666
cod. proc. pen., poiché “si tratta di questioni che attengono alla conservazione e
gestione dei beni in sequestro e alla esecuzione di tale provvedimento. Esse,
infatti, discendono dal fatto che, essendo i beni in sequestro (quote sociali di
società) cose che devono essere amministrate secondo scelte imprenditoriali,
sono – per definizione – questioni che si riferiscono a provvedimenti esecutivi
della ordinanza che, con la imposizione vincolo del sequestro, ha nominato un
custode ai sensi dell’art. 259 cod. proc. pen. (è ormai acquisito nella
giurisprudenza che al sequestro preventivo si applicano le disposizioni del

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dichiarava l’originaria inammissibilità dell’appello proposto (ex art. 322 bis cod.

sequestro probatorio, in virtù del richiamo operato dall’art. 104 disp. att. c.p.p.).
Ora, giudice competente per conoscere della esecuzione di un provvedimento è,
ai sensi dell’art. 665, primo comma, c.p.p., il giudice che lo ha deliberato,
secondo il procedimento di cui all’art. 666 c.p.p.”.
2. Con l’odierno ricorso viene dedotto un unico motivo di impugnazione, relativo
alla violazione dell’art. 606, lettera B, cod. proc. pen., per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 322 bis cod. proc.
pen., poiché a giudizio del ricorrente (confortato da alcune pronunce di questa

suo ambito tutte le ordinanze in materia di sequestro preventivo, senza alcuna
distinzione, ad eccezione solamente di quella applicativa del vincolo, soggetta a
riesame.
Né a diverse conclusioni si perviene sulla scorta dell’art. 104 disp. att. cod. proc.
pen., che si limita a prevedere la figura dell’amministratore giudiziario, senza
nulla dire in ordine agli strumenti processuali utilizzabili per il controllo dei suoi
provvedimenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 II ricorrente richiama alcune decisioni secondo le quali l’appello al Tribunale
del riesame è rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti diversi da
quello impositivo della misura cautelare reale (Sez. 3, n. 39715 del 06/10/2010,
Pignatelli, Rv. 248624); l’esegesi dell’art. 322 bis suggerisce che la disposizione
fu introdotta al fine di evitare che, esaurita la fase di controllo sul provvedimento
cautelare (soggetto a controllo mediante istanza di riesame ai sensi dell’art. 322
cod. proc. pen.), le successive vicende del sequestro e dei beni ad esso
assoggettati rimangano esclusi da ogni forma di controllo, non essendo
pacificamente ad esse applicabile nella fase cautelare l’intervento del giudice
delle esecuzioni. Tale finalità è resa esplicita dal testo del cit. art. 322 bis cod.
proc. pen., che individua come atti sottoponibili ad appello non solo “il decreto di
revoca del sequestro” emesso dal P.M., ma anche (tutte) le ordinanze in materia
di sequestro preventivo (Sez. 3, n. 36064 del 07/07/2009, Iannotta, Rv.
244608).
2. La giurisprudenza richiamata dal ricorrente non è applicabile al caso di specie.
2.1 Come questa Sezione ha affermato in una recente decisione (Sez. 5, n.
30596 del 17/04/2009, Cecchi Gori, Rv. 244477), l’esecuzione del sequestro, al

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Corte, le cui massime sono riportate) la norma del codice di rito ricomprende nel

di là della comune accezione terminologica del termine, che allude ad attività di
mera attuazione, implica, necessariamente, anche l’adozione di tutti quei
provvedimenti funzionali a porre in essere e rendere operativo il vincolo
cautelare, tra cui la nomina del custode giudiziario, peraltro espressamente
prevista dall’art. 259 cod. proc. pen.. Contestuale alla nomina, per ineludibili
esigenze di economia e razionalità sistematica, deve essere il conferimento,
immediato, dei compiti di gestione che, ordinariamente, di mera conservazione
(all’atto della consegna, il custode è avvertito dell’obbligo di conservare e di

menzionato art. 259 cod. proc. pen., comma 2), potranno anche essere di
amministrazione nei casi anzidetti, come quello di specie.
2.2 Per quanto concerne la competenza a provvedere sulle questioni relative ai
poteri del custode, all’ambito degli stessi ed al loro concreto esercizio, nel corso
della fase delle indagini preliminari spetta al giudice che dispone il sequestro
preventivo nominare il custode dei beni sequestrati e risolvere le questioni
concernenti la gestione dei beni in sequestro, in quanto egli è il giudice
funzionalmente competente in ordine alla costituzione, alle vicende ed
all’esecuzione della misura cautelare in base alla disposizione dell’art. 665 cod.
proc. pen., che individua anche il giudice competente a provvedere sulle
medesime questioni nel caso in cui la permanenza del sequestro si protragga
oltre la fase delle indagini preliminari.
2.3 II principio è ormai consolidato ed è stato recentemente confermato anche
dalla Prima Sezione (Sez. 1, n. 9139 del 16/01/2013, Confl. comp., Rv. 254956)
in materia di sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 12 sexies del D.L. n.
306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992; la decisione ha ricordato che
all’amministrazione, spesso complessa, dei beni sovraintende il giudice che ha
disposto il sequestro il quale, pertanto, è già a conoscenza dell’origine, della
consistenza e delle problematiche del patrimonio in sequestro e, quindi, può
impartire sollecitamente le opportune direttive. Non appare contraria a dette
finalità – come si è detto – la circostanza che la celebrazione del processo nel
quale è stato disposto il sequestro dei beni avvenga dinanzi ad un giudice
diverso, competente a decidere anche sulla eventuale revoca del sequestro della
quale potrà dare semplice comunicazione. Nè la trasmissione degli atti al giudice
competente per la fase del giudizio comporta anche la trasmissione degli atti
dell’amministrazione giudiziaria dei beni in sequestro.
3. Consegue da quanto sopra l’inammissibilità del ricorso; alla declaratoria di
inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle

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presentare le cose a ogni richiesta dell’autorità giudiziaria come recita il

spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile
alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n.
186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende,
di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in €1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Ammende.
Così deciso in Roma il 5 giugno 2013
Il consigliere estensore

ente

spese processuali e della somma di €1.000,00 in favore della Cassa delle

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