Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35266 del 12/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35266 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Galli Sergio, nato a Baveno il 18.6.1948, avverso la ordinanza pronunciata
in data 4.12.2012 dal tribunale del riesame di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale
dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente, il difensore di fiducia, avv. Antonello Riccio, che ha
concluso riportandosi ai motivi di ricorso, di cui chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 12/03/2013

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza emessa il 4.12.2012, il tribunale del riesame di Milano, adito
ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Varese aveva applicato la misura cautelare

arresti domiciliari, nei confronti, tra gli altri, di Galli Sergio.
Al Galli viene contestata la partecipazione, in qualità di organizzatore, ad
un sodalizio criminale dedito alla perpetrazione di un numero
indeterminato di delitti di falsità ideologica in atto pubblico e corruzione.
Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso il
Galli, articolando distinti motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di ricorso, il Galli lamenta i vizi di cui all’art. 606, co. 1,
lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 416, c.p. e 192, co. 2, c.p.p., in
quanto, da un lato il tribunale del riesame lato non ha spiegato per quale
motivo nella condotta del Galli si debbano ravvisare gravi indizi di
colpevolezza in ordine alla sua partecipazione all’associazione per
delinquere di cui all’art. 416 c.p., dall’altro la motivazione dell’ordinanza
impugnata si presenta illogica ovvero contraddittoria, nella parte in cui
afferma che un soggetto, quale il Galli, che abbia intrattenuto rapporti
criminosi, sia pure continuati, con un solo altro soggetto, possa essere
considerato partecipe di un’associazione a delinquere, in assenza di una
pur minima

affectio societatis scelerum,

procedendo, nel prosieguo

dell’illustrazione di tale motivo di impugnazione, ad una critica degli
elementi su cui il tribunale del riesame ha fondato il suo convincimento.
Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta i vizi di cui
all’art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 274, lett. c) e
275, c.p.p., in quanto la motivazione del tribunale del riesame, nella parte
in cui individua a carico del Galli l’esigenza cautelare del pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie, non tiene conto di una serie di

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della custodia in carcere, successivamente sostituita con quella degli

circostanze, tali da rendere insussistente l’esigenza di tutela della
collettività ovvero la necessità di tutelarla con la misura degli arresti
domiciliari, ed, in particolare: 1) che il Biason ormai è stato reso
inoffensivo, per cui il Galli, avendo avuto rapporti solo con quest’ultimo,
non è in condizione di rivolgersi ad altri pubblici ufficiali per reiterare i

frequentare il settore degli autotrasportatori; 2) che l’attività criminosa
posta in essere dal ricorrente, come riconosciuto dagli stessi giudici di
merito, non ha assunto una particolare rilevanza, anche sotto il profilo
della sua estensione temporale, risalendo, peraltro, l’ultimo episodio
corruttivo al marzo 2012, per cui il Galli non può considerarsi persona
dedita al crimine, anche in considerazione della minima gravità dei
precedenti penali da cui lo stesso risulta gravato; 3) che la prova
dell’attività lavorativa svolta dal Galli, dimostra come egli non abbia
bisogno di commettere reati per mantenere se stesso e la propria famiglia,
per cui la somma di 50,00 euro riconosciutagli dai privati per ogni “favore”
ottenuto, va intesa come il frutto di un semplice atto di liberalità.
Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta i vizi di cui
all’art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 274, lett. a) e
292, co. 2, lett. d), c.p.p., avendo omesso il tribunale del riesame, in
motivazione, di indicare espressamente le circostanze di fatto dalle quali
desumere la sussistenza di specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle
indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazioni a situazioni di
concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova,
nonché di disporre un termine di efficacia della misura, avendo, peraltro, il
Galli reso ampia confessione in ordine agli episodi che gli vengono
contestati, per cui egli non ha più nessun interesse a depistare le indagini
in corso.
Con memoria depositata il 7 marzo 2013, il difensore del Gallo
rappresentava che al proprio assistito era stato notificato l’avviso di

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reati, essendo irrilevante, per tale motivo, che egli possa continuare a

conclusione delle indagini ex art. 415 bis, c.p.p., in cui, per i reati oggetto
della menzionata ordinanza cautelare, il pubblico ministero procedente
aveva formulato una proposta di applicazione della pena nella misura di
anni due mesi dieci di reclusione, che il Galli non accettava, avanzando, a
sua volta, istanza di patteggiamento nella misura di anni uno mesi quattro

revoca ovvero di attenuazione della misura cautelare in esecuzione, che
veniva rigettata con ordinanza impugnata ex art. 310 del codice di rito.
Tanto premesso, il ricorso non può essere accolto, perché inficiato da
plurimi profili di inammissibilità.
Al riguardo si osserva che i motivi di ricorso prospettati (e le ulteriori
“comunicazioni” portate a conoscenza del Collegio con la memoria
depositata il 7.3.2013) si risolvono, da un lato, in censure di fatto non
consentite in sede di legittimità, che, nella prospettiva del ricorrente, viene
indebitamente considerata una sorta di terzo grado del giudizio di merito,
dall’altro in mera ed acritica riproposizione di questioni già diffusamente
disattese dai giudici del tribunale del riesame.
Come è noto, infatti, in tema di impugnazione dei provvedimenti in materia
di misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni
della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure
che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr.
Cass., sez. V, 8/10/2008, n. 46124, rv. 241997).
Ed invero, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione
non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione
delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari
e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito

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7i-

di reclusione (su cui non si formava il consenso delle parti) e richiesta di

rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato
la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi
circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da
un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro,
l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni

3/2/2011, n. 14726, D.R.; Cass., sez. IV, 06/07/2007, n. 37878
C. e altro).
Ne consegue che quando, come nel caso in esame, viene denunciato il
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di
Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura
del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto
ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione
degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto
che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli
adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia
cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento
non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza,
oltre che all’esigenza di completezza espositiva” (cfr. Cass., sez. V,
20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
Orbene nel caso in esame l’indagine compiuta dal Collegio consente di
giungere ad un giudizio assolutamente positivo sulla congruenza dell’ordito
motivazionale dell’ordinanza oggetto di ricorso.
Con motivazione approfondita ed immune da vizi logici, infatti, i giudici di
merito, sulla base degli elementi acquisiti nel corso delle indagini
preliminari (costituiti dagli esiti delle intercettazioni delle conversazioni
disposte dall’autorità giudiziaria procedente; dai tabulati telefonici, dai

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rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. IV,

riscontri documentali e dalla parziale ammissione di responsabilità
effettuata dal ricorrente, con riferimento ai reati-scopo, in sede di
interrogatorio di garanzia), si sono soffermati, descrivendone il
funzionamento, sulla struttura organizzativa dell’associazione criminosa di
cui si discute, incentrata su tre ingegneri dell’Ufficio motorizzazione di

rilascio, su richiesta di privati, di una serie di atti di competenza della
motorizzazione (quali attestazioni, con riferimento al settore veicoli, di
revisione e di regolare visita di prova ovvero attestazioni, in relazione al
settore conducenti, di idoneità al conseguimento di patente di guida),
rilascio che avveniva in assenza di un effettivo controllo dei requisiti
necessari e dietro corresponsione, da parte del privato corruttore, di
importi determinati attraverso un vero e proprio tariffario, che variava a
seconda della natura della prestazione richiesta”.
In questo contesto, secondo i giudici di merito, si inserisce in qualità di
semplice partecipe, il Galli, il quale, al pari di altri soggetti che fungevano
da intermediari tra i funzionari infedeli ed i loro “clienti”, in diverse
occasioni, nell’arco di tempo intercorrente tra l’aprile 2010 ed il marzo
2012, aveva contattato il Biason “nell’interesse di imprese di autotrasporti
per ottenere false visite di prova o di revisione ovvero – nell’ultimo
episodio – il rilascio di una patente di guida di categoria C”, pur non
potendo egli ritenersi uno degli organizzatori del sodalizio criminoso.
Inoltre, in motivazione, con un percorso argomentativo ineccepibile, è
stato specificamente disatteso l’assunto difensivo (acriticamente riproposto
nei motivi di ricorso), secondo il quale il Galli si sarebbe limitato a svolgere
una semplice attività di illecita intermediazione con il pubblico ufficiale
Biason, rendendosi responsabile di cinque episodi criminosi, commessi a
distanza di tempo l’uno dall’altro (quelli di cui ai capi 8; 4; 5; 2; 3; 6; 7 e
30 dell’imputazione provvisoria), senza che sia possibile dimostrare la
consapevolezza da parte del Galli della esistenza di una vera e propria

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Varese, Biason Alessio, Torneo Carmine e Pacifico Giuseppe, “dediti al

associazione per delinquere dedita alla commissione di falsi nelle attività di
competenza della motorizzazione, come si evince dalla circostanza,
sottolineata dalla difesa, che tutti i reati-scopo attribuiti al Galli riguardano
false revisioni rilasciate personalmente dallo stesso ingegnere Biason,
mentre solo la patente di guida ottenuta da Barbieri Alessandro (episodio

svolto dal Biason e ad una prova pratica condotta da altro funzionario della
motorizzazione, l’ingegnere Altamura.
Il tribunale del riesame, infatti, ha correttamente evidenziato, anche alla
luce di quanto affermato dal ricorrente nel corso dell’interrogatorio di
garanzia, come la reiterazione delle condotte illecite poste in essere dal
Galli appaiono sintomatiche di una consolidata prassi illecita, che consente
di affermare lo stabile inserimento del ricorrente all’interno del sodalizio
criminoso, nella piena consapevolezza di quest’ultimo di operare,
unitamente al Biason, all’interno di un meccanismo più ampio che
richiedeva “necessariamente la collaborazione e il coinvolgimento di più
soggetti interessati alla pratica, spesso complessa e articolata”, come
appare evidente nel caso della patente rilasciata in favore del Barbieri, in
cui il pubblico funzionario, come emerge dalle conversazioni intercettate,
rassicura il Galli del suo fattivo interessamento, pur non essendo egli
l’esaminatore incaricato per la prova pratica, che “richiede il
coinvolgimento e la collaborazione di più ingegneri” (nel caso di specie
l’Altamura, soggetto, peraltro già condannato per reati in materia di falso e
di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, senza la cui complicità
non sarebbe stato possibile assicurare al Barbieri il superamento della
prova pratica) “e della stessa autoscuola presso cui è iscritto il richiedente”
ovvero in quello di cui ai capi 8) e 9), relativo “alla immatricolazione di un
autocarro di provenienza estera, operata in modo tale da occultare la
provenienza extra UE, trattandosi di veicolo acquistato in Svizzera, e
connotata da ben trentotto tentativi di inserimento della procedura nel

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contestato al capo 30) è stata rilasciata in seguito ad un esame orale

sistema informatico, adoperati con la matricola di un assistente
amministrativo contabile” della motorizzazione.
Né va taciuto che, come pure evidenziato in motivazione attraverso la
trascrizione del relativo passaggio, durante l’interrogatorio di garanzia il
Galli, pur negando di conoscerne l’ampiezza, ammetteva, tuttavia, di

svolta all’interno dell’ufficio della motorizzazione civile di Varese non solo
dal Biason, ma anche da altri soggetti, che, dietro pagamento di una
somma di denaro, si sarebbero adoperati per il buon esito delle pratiche.
La valutazione compiuta al riguardo dal tribunale del riesame appare,
dunque, non solo logicamente coerente, ma anche assolutamente
conforme ai principi affermati da tempo nella giurisprudenza di legittimità,
condivisi dal Collegio, secondo cui in tema di associazione per delinquere
ex art. 416 c.p., non è necessaria la conoscenza reciproca di tutti gli
associati, poiché quel che conta è la consapevolezza e volontà di
partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa
consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e
finalizzata secondo lo schema legale (cfr. Cass., sez. VI, 20/07/2011, n.
34406, C.A. e altro), senza che si richieda, peraltro, una personale
conoscenza delle persone dotate della stessa consapevolezza e volontà del
singolo partecipe, essendo sufficiente che quest’ultimo ne conosca
l’esistenza ed il contributo da esse fornito al perseguimento dei fini intorno
ai quali è sorto il pactum sceleris.
Anche in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e della
adeguatezza della misura cautelare in esecuzione, il tribunale del riesame
ha reso una motivazione esaustiva ed immune da vizi logici, evidenziando,
conformemente ai principi affermati in subiecta materia dal Supremo
Collegio, da un lato come la pericolosità sociale del Galli trovi fondamento
nella gravità delle condotte poste in essere, tali da denotare, unitamente ai
plurimi precedenti penali da cui risulta gravato, tra cui due condanne per

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essere a conoscenza del fatto che l’attività illecita di cui si discute venisse

furto, una indiscutibile personalità negativa del ricorrente, rispetto alle
quali la “neutralizzazione” del Biason non assume rilevanza, proprio in
considerazione dell’articolata struttura del sodalizio criminoso, i cui
componenti non sono stati tutti individuati e possono essere ancora
operativi, al pari del dedotto svolgimento di attività lavorativa da parte del

commesso i reati per cui si procede proprio mentre era impegnato in
un’attività lavorativa di tal genere, che, anzi, gli consentiva di contattare
potenziali “clienti”; dall’altro come il pericolo di inquinamento probatorio
sia giustificato non da mere congetture, ma dagli accertati contatti avuti
dal ricorrente con il Biason in occasione del controllo effettuato dalla polizia
giudiziaria presso l’autoscuola Vidale per verificare la legittimità della
pratica relativa al rilascio della patente in favore del Barbieri, finalizzati a
concordare “una versione comune da fornire alle forze dell’ordine ed a
regolarizzare, almeno in apparenza, la relativa documentazione”.
Manifestamente infondato, infine, e meramente ripetitivo di una doglianza
già disattesa dal tribunale del riesame, è il rilievo sulla omessa indicazione
della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere,
ai sensi dell’art. 292, co. 2, lett. d) posto che, come da tempo affermato in
sede di legittimità, è inammissibile per difetto d’interesse l’impugnazione
con la quale si tenda a far valere la nullità derivante, ex art. 292 comma 1
lett. d) c.p.p., dalla mancata fissazione della data di scadenza della misura
cautelare, in relazione alla esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. a)
c.p.p., quando, come nel caso in esame, detta misura sia stata disposta
anche sulla base di esigenze cautelari diverse (cfr. Cass., sez. III,
14/01/1997, n. 56, Tagliamonte).
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse di
Galli Sergio va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna di
quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento, nonché in favore della cassa delle ammende di una somma

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Galli presso una cooperativa di trasporti, tenuto conto che quest’ultimo ha

a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00,
tenuto conto della evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile
dal difensore del ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da
colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 12.3.2013

P.Q.M.

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