Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35263 del 22/07/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35263 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAGGIANO SALVATORE N. IL 31/12/1960
RUGGIERO ANTONIO N. IL 13/01/1950
avverso la sentenza n. 1365/2006 CORTE APPELLO di BARI, del
29/11/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari, con sentenza del 28.5.2013, emessa a seguito
di annullamento con rinvio disposto dalla Seconda Sezione Penale di questa
Corte con sentenza n. 44879 del 2.12.2011, ha riformato la sentenza del
Tribunale di Foggia del 9.5.2005, appellata, tra gli altri, da

Salvatore

responsabilità nei confronti del primo per il residuo reato di cui al capo E) della
rubrica (estorsione aggravata, in San Giovanni Rotondo, fino alla fine del luglio
1990) e, nei confronti del secondo, per il residuo reato di cui al capo G)
dell’imputazione (tentata estorsione aggravata, in San Giovanni Rotondo, il
13.7.1991). Contestualmente, la Corte territoriale ha dichiarato non doversi
procedere, nei confronti di entrambi, per i reati di cui ai capi P) e Q) per essere gli
stessi estinti per intervenuta prescrizione, ha assolto il RUGGIERO dal reato
ascrittogli al capo F) per non aver commesso il fatto ed ha rideterminato la pena
originariamente inflitta dal primo giudice all’esito di un procedimento penale
conseguente ad indagini di polizia giudiziaria in merito ad una serie di estorsioni
tentate e consumate in danno di imprenditori edili, concretatesi in richieste di
denaro accompagnate da minacce telefoniche e successivi attentati dinamitardi
in danno dei cantieri e delle abitazioni delle vittime.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione
tramite i rispettivi difensori di fiducia.

2. Salvatore GAGGIANO deduce, con un primo motivo di ricorso, il vizio di
motivazione, rilevando che oggetto della contestazione rubricata al capo E)
dell’imputazione è l’estorsione aggravata ai sensi del comma 2 dell’art. 629 cod.
pen. la quale, seppure in mancanza di ulteriori specificazioni, era pacificamente
riferita all’ipotesi di cui all’art. 628, comma 3 n. 1 cod. pen., stante il riferimento
del Tribunale alla commissione del reato mediante l’uso di armi e da più persone
riunite.
Fatta tale premessa, osserva che, essendo stati assolti tutti i concorrenti nel
reato, tale aggravante avrebbe dovuto essere esclusa, essendo egli risultato
l’unico responsabile dei fatti all’esito del giudizio, ma la Corte territoriale avrebbe
ignorato tale evenienza, omettendo qualsiasi motivazione e formulando un
giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche riconosciutegli ed entrambe le
aggravanti originariamente contestate.
Aggiunge che l’omessa deduzione della censura nell’atto di impugnazione

1

GAGGIANO e Antonio RUGGIERO ed ha confermato l’affermazione di penale

‘,

non assumerebbe comunque rilievo, in quanto l’assoluzione dell’ultimo
concorrente nel reato (Michele LA FRATTA) è intervenuta soltanto al termine del
giudizio di appello, con la sentenza ora impugnata.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 597 cod.
proc. pen. e 69 cod. pen. affermando che il giudizio di comparazione sarebbe
stato erroneamente effettuato tra le circostanze attenuanti generiche e le due
circostanze aggravanti contestate, cosicché non potrebbe escludersi che, venuta

gravame avrebbero potuto pervenire ad un giudizio di prevalenza delle
attenuanti.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 133 cod.
pen., sostenendo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare, nel
rideterminare la pena, la condotta contemporanea e susseguente al reato
mantenuta dall’imputato, il quale avrebbe cambiato completamente stile di vita,
restando immune da ulteriori pregiudizi penali nei 23 anni successivi alla
commissione del fatto.
Rileva, infine, che il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche
determinerebbe la declaratoria di prescrizione del reato per decorso del termine
di 15 anni previsto dall’art. 157 cod. pen. nella formulazione previgente.

5. Antonio RUGGIERO deduce, con un primo motivo di ricorso, la nullità
della sentenza per travisamento del fatto, rilevando che la Corte territoriale ha
respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale finalizzata
all’esame del consulente tecnico di parte, il quale aveva posto in dubbio gli esiti
della perizia fonica disposta d’ufficio, che aveva ritenuto riconducibile
all’imputato la voce registrata nel corso di attività di intercettazione e che
costituirebbe l’unico elemento di prova a carico dell’imputato, non emergendo
altri

significativi

dati

probatori,

ritenuti

invece sussistenti,

del tutto

erroneamente, dai giudici del gravame.

6. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio
di motivazione in ordine alla determinazione della pena, che sarebbe stata
effettuata senza indicare su quale base il calcolo è stato effettuato e per il
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, caratterizzato
dalla omessa valutazione di alcune circostanze ritenute significative, quali la
irrilevanza dei precedenti penali, il comportamento processuale e la ritenuta
estraneità a gran parte dei reati contestatigli.

2

meno quella concernente il fatto commesso da più persone riunite, i giudici del

Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Entrambi i ricorsi sono infondati.
Va preliminarmente rilevato che il difensore di fiducia del

RUGGIERO,

8,45 del 22.7.2014, giorno fissato per la trattazione del presente procedimento,
una richiesta di rinvio per legittimo impedimento dovuto a malattia, documentata
con certificato allegato, redatto a seguito di visita medica domiciliare alle ore
20,30 del giorno precedente, all’esito della quale veniva diagnosticata una
«recidiva di colica reno-ureterale sinistra»

con febbre e necessità di riposo

assoluto ed impossibilità di lasciare il proprio domicilio per almeno cinque giorni,
salvo complicazioni.
Il Collegio, su conforme richiesta del Procuratore Generale, ha ritenuto di non
accogliere l’istanza, disponendo procedersi alla trattazione del procedimento.
Va a tale proposito ricordato come l’articolo 420-ter, comma 5, cod. proc.
pen. stabilisca che il giudice provvede al rinvio, a norma del primo comma, nel
caso in cui l’assenza del difensore sia dovuta ad assoluta impossibilità di
comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto già modo di precisare, in linea
generale, che la disposizione attribuisce al giudice una valutazione discrezionale
che, in quanto tale, deve essere sorretta da congrua e puntuale motivazione,
contemperando le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione (cfr. SS.UU.
n.29529, 17 luglio 2009).
Si è anche chiarito che la richiesta di rinvio deve, inoltre, essere corredata
dalla indicazione degli elementi giustificativi della assoluta impossibilità a
comparire e la impossibilità di avvalersi di un sostituto a sensi dell’art. 102 cod.
proc. pen..(Sez. VI n.11174, 22 marzo 2012; Sez. V n.43062, 21 novembre 2007;
Sez. VI n.48530, 18 dicembre 2003) e deve essere tempestiva (Sez. Il n.20693, 1
giugno 2010; Sez. I n.6234, 27 maggio 1994).
Quanto alla mancata nomina di un sostituto, si è poi precisato che è onere
del difensore fornire adeguata giustificazione di tale evenienza (Sez. III n. 26408,
18 giugno 2013; Sez. V n. 44299, 27 novembre 2008), che può riguardare la
difficoltà, delicatezza o complicazione del processo, l’esplicita richiesta
dell’assistito, l’assenza di altri avvocati nello studio del difensore, l’indisponibilità
di colleghi esperti nella medesima materia, ecc. (Sez. V n. 41148, 22 novembre

3

Avvocato Giuseppe Stefano PERRONE, ha fatto pervenire a mezzo fax, alle ore

2010).
Detti principi, enunciati con riferimento al legittimo impedimento per
concomitante impegno professionale, sono stati richiamati anche recentemente
(Sez. III n. 19458, 12 maggio 2014, non ancora massimata).
Considerato quanto appena evidenziato, deve dunque rilevarsi come
nell’istanza presentata manchi del tutto ogni riferimento all’impossibilità di
nominare sostituti processuali, difettando, così, uno dei necessari requisiti
individuati nelle menzionate pronunce.

malattia, si è pervenuti, in alcuni casi, ad opposte conclusioni, che non possono
essere, però, condivise.
Si è infatti sostenuto che l’onere di fornire specifica ragione dell’impossibilità
di nominare un sostituto ai sensi dell’art. 102, cod. proc. pen., che ricade sul
difensore qualora questi deduca impedimento per la concomitanza di altro
impegno professionale, non sussiste quando l’impedimento dedotto sia costituito
da serie ragioni di salute dello stesso difensore, comunicato al giudice e
debitamente documentato, a meno che si tratti di impedimento, ancorché non
evitabile, prevedibile (Sez. V n.29914, 17 luglio 2008).
La differente valutazione veniva giustificata rilevando come un simile onere
gravi sul difensore quando questi esercita una scelta tra un impegno
professionale ed un altro, mentre nei casi di forza maggiore una simile pretesa
non avrebbe senso e ragione, tranne nei casi in cui l’impedimento, per quanto
non evitabile, abbia avuto i caratteri della prevedibilità.
Tale affermazione veniva effettuata richiamando un precedente (Sez. V
n.35011, 19 ottobre 2006), riguardante un impedimento dovuto a lutto familiare,
ove il diniego del rinvio richiesto era stato ritenuto illegittimo perché sfornito di
congrua motivazione, osservando come i precedenti riferimenti giurisprudenziali
all’inadempimento dell’onere di giustificare l’impossibilità di nominare un
sostituto del difensore impedito riguardassero,
essenzialmente»,

«principalmente ed

la distinta ipotesi del concomitante impegno professionale

(altra decisione – Sez. VI n. 32949, 22 agosto 2012 – nel riconoscere che
l’assoluta impossibilità del difensore di comparire in udienza può essere
ascrivibile anche a situazioni gravi sotto il profilo umano e morale, in presenza
delle quali egli, come ogni altro prestatore d’opera, ha il diritto di essere
giustificato per l’assenza dal luogo ove la prestazione deve essere eseguita, non
ha preso espressamente in considerazione la questione concernente l’eventuale
nomina di un sostituto del difensore impedito, anche nella fattispecie, da lutto
famigliare).
A conclusioni non dissimili è pervenuta altra pronuncia (Sez. I n. 47753, 23

4

Non ignora il Collegio che, con riferimento all’impedimento dovuto a

dicembre 2008) attraverso il mero richiamo ad un precedente (Sez. III n.3072, 22
gennaio 2003) nel quale si sosteneva la insussistenza di un obbligo di nomina del
sostituto da parte del difensore impedito, essendo a quest’ultimo attribuita una
mera facoltà «in coerenza alla natura fiduciaria del rapporto di mandato corrente
fra l’imputato e il difensore da lui nominato».
Come è dato rilevare dalla lettura delle richiamate pronunce, la diversa
soluzione interpretativa risulta fondata, in via prevalente, su affermazioni
po

alrt”i

o uni

che non trovano, tuttavia, sufficiente

qualsivoglia distinzione sulle ragioni dell’impedimento, facendosi esclusivo
riferimento, riguardo al difensore (comma 5), alla assoluta «impossibilità di
comparire per legittimo impedimento», senza ulteriore specificazione.
Va inoltre ricordato come si sia affermato che la necessità per il difensore di
giustificare anche la mancata nomina di un sostituto è chiaramente desumibile,
oltre che da ragioni di ordine sistematico, dall’ultimo periodo dell’art. 420-ter,
comma 5 cod. proc. pen. (Sez. III n. 26408, 18 giugno 2013, cit., la quale a sua
volta richiama Sez. V n. 44299, 27 novembre 2008, cit.; Sez. V n. 44883, 3
dicembre 2007, non massimata).

8. Venendo all’esame delle singole impugnazioni proposte, va rilevato che il
primo ed il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse di Salvatore
GAGGIANO possono essere unitariamente trattati.
Risulta dall’imputazione riportata nella decisione di primo grado che la
contestazione riportata al capo E) riguarda, come pure riconosciuto in ricorso,
un’ipotesi estorsione aggravata dall’uso di armi ed esplosivi e dal fatto
commesso da più persone riunite con riferimento, dunque, all’art. 628, comma 3
n. 1 cod. pen. per effetto del richiamo operato dall’art. 629 cod. pen., ultimo
comma.
Nel valutare la suddetta aggravante, il primo giudice l’ha ritenuta
pienamente sussistente sulla base dei dati fattuali acquisiti nel corso del giudizio.
La Corte di appello, nell’impugnata sentenza, ha riconosciuto le circostanze
attenuanti generiche pervenendo ad un giudizio di equivalenza con le
«contestate aggravanti»

e di ciò si duole il ricorrente, per il fatto che

l’assoluzione di tutti i concorrenti nel medesimo reato, intervenuta nel corso del
giudizio di merito, porterebbe ad escludere la commissione del fatto da parte di
più persone riunite ed evidenzierebbe l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di
appello nell’effettuare la comparazione.

9. Tale assunto, tuttavia, non può essere condiviso dal Collegio, in quanto,

5

riscontro nel testo normativo, mancando nell’art. 420-ter cod. proc. pen.

come già si è avuto modo di rilevare, le aggravanti ad effetto speciale di cui
all’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen., pur avendo individualità autonoma, che
comporta l’effetto aggravante anche quando, nella situazione concreta, non
siano compresenti, nella determinazione della pena vanno considerate
unitariamente, potendosi così procedere, anche in caso di concorso, ad un unico
aumento della pena secondo il meccanismo di cui all’art. 63, comma quarto, cod.
pen. e non a singoli aumenti per ciascuna delle circostanze concorrenti (Sez. Il n.
41004, 11 novembre 2011. V. anche Sez. V n. 4621, 6 dicembre 2000).

alla discrezionalità del giudice, il quale può anche considerare le aggravanti
suddette assorbite nella sanzione autonomamente stabilita per la rapina o
l’estorsione aggravata (cfr. Sez. V n.135, 28 febbraio 2000)
Nella fattispecie, come si rileva dall’esame delle sentenze di primo e
secondo grado, i giudici del merito non hanno fatto ricorso al menzionato articolo
63, comma 4 cod. pen., valutando unitariamente le due circostanze contestate.
Entrambi i giudici, inoltre, nel determinare la pena, hanno considerato la
sanzione autonomamente fissata per l’ipotesi aggravata (v. pag. 22 della
sentenza di primo grado e pag. 10 della sentenza di appello).
Poiché per l’applicazione della pena indicata nel secondo comma dell’art.
629 cod. pen. è sufficiente la presenza anche di una sola aggravante, il venir
meno di una delle due contestate all’odierno ricorrente non ha alcuna incidenza
effettiva sulla determinazione della pena.
Parimenti, tale incidenza non è rilevabile nell’effettuato giudizio di
comparazione, laddove la Corte territoriale ha valorizzato la obiettiva gravità del
fatto ed il rilevante danno morale ed economico cagionato alla vittima del reato,
cosicché anche la prospettazione di una diversa valutazione effettuata nel
secondo motivo di ricorso resta confinata nell’ambito delle mere ipotesi, essendo
evidentemente priva di concretezza.

10. È appena il caso di rilevare, inoltre, con riferimento al dedotto vizio di
motivazione, che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come, ai fini del
giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti,
anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti
soddisfi l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella
discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione
dei criteri di valutazione (così, testualmente, Sez. Il n. 36265, 11 ottobre 2010;
conf. Sez. IV 10379, 17 luglio 1990; Sez. IV n. 4244, 22 marzo 1989. V. anche Sez.
I n.2668, 26 gennaio 2011).
Le Sezioni Unite (SS.UU. n.10713, 18.3.2010) hanno ulteriormente

6

Va poi ricordato che tale aumento non è affatto obbligatorio ed è rimesso

specificato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di
merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione,
tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si
sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata
in concreto.

Come è noto, il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione
complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall’articolo 133 cod. pen.
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale
rientra nell’ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito, che risulta
legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli
elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. IV n.41702, 26 ottobre
2004).
Non è inoltre richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di
ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente
all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello
ritenuto prevalente (v. Sez. Il n. 12749, 26 marzo 2008).
La Corte territoriale, nel rideterminare la pena, ha posto in rilievo le modalità
e le circostanze del fatto e la capacità a delinquere dell’imputato desunta da un
precedente specifico, richiamando peraltro anche gli elementi positivamente
valutati in precedenza ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, con
la conseguenza che la motivazione, così come effettuata, appare del tutto
immune da censure.

12. Venendo al ricorso presentato nell’interesse di Antonio RUGGIERO,
rileva la Corte che le argomentazioni poste a sostegno del primo motivo di
ricorso non possono essere condivise.
L’istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all’articolo 603 cod. proc.
pen., come costantemente osservato dalla giurisprudenza di questa Corte,
costituisce un’eccezione alla presunzione di completezza dell’istruzione
dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di
appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o
d’ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del
decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (v. Sez. Il n. 3458, 27 gennaio
2006 ed altre prec. conf.) sussistendo tale evenienza unicamente quando i dati
probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia

7

11. Parimenti infondato risulta il terzo motivo di ricorso.

decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero
sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. VI
n.20095, 9 maggio 2013)
Si è ulteriormente osservato che per il carattere eccezionale dell’istituto è
richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la
rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere
discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo
stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione

pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi
sufficienti per per una valutazione in senso positivo o negativo sulla
responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il
dibattimento (Sez. III n. 24294, 25 luglio 2010; Sez. V n. 15320, 21 aprile 2010;
Sez. IV n. 47095, 11 dicembre 2009).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha comunque giustificato il diniego,
evidenziando la superfluità della audizione del consulente tecnico di parte a
fronte della evidenza delle risultanze probatorie, che ha indicato non soltanto
riferendosi alla perizia fonica, ma anche richiamando, del tutto legittimamente,
quanto evidenziato sul punto dal giudice di prime cure in assenza di elementi di
novità nelle censure mosse con l’atto di appello.
A fronte di una motivazione sicuramente adeguata, resta da osservare che è
comunque sottratta a questo giudice di legittimità ogni possibilità di autonoma
valutazione delle risultanze probatorie indicate dalla Corte territoriale, rispetto
alle quali il ricorrente esclude ogni rilevanza al fine di giustificare la
indispensabilità dell’esame del proprio consulente tecnico.

13. A conclusioni analoghe deve infine pervenirsi per ciò che concerne il
secondo motivo di ricorso, dovendosi escludere che i giudici del gravame siano
incorsi nei vizi denunciati.
La Corte territoriale ha rideterminato la pena con riferimento all’unico
residuo reato (tentata estorsione aggravata) rispetto al quale non doveva
operare alcuna riduzione o aumento, cosicché non era necessaria l’indicazione di
una pena base.
Trattandosi, inoltre, di delitto tentato, la determinazione della pena poteva
essere effettuata, come è evidentemente avvenuto, con il cosiddetto metodo
diretto o sintetico, ossia senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la
corrispondente ipotesi di delitto consumato (cfr. Sez. V n. 39475, 24 settembre
2013 ed altre prec. conf.).

8

implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della

1.

14. Occorre poi ricordare che la concessione delle attenuanti generiche
presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un
diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità
del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza
di dati positivi di valutazione (Sez. III n. 19639, 24 maggio 2012; Sez. I n. 3529, 2
novembre 1993; Sez. VI n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. VI n. 10690, 15 novembre
1985; Sez. I n. 4200, 7 maggio 1985). Inoltre, riguardo all’onere motivazionale,
deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli

potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque,
rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. Il n. 3609, 1
febbraio 2011; Sez. VI n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la
motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di
sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore
dell’imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre
2003).
Nel caso in esame la Corte del merito ha posto in evidenza la presenza di
dati rilevanti per un giudizio negativo, individuati nella presenza di precedenti
penali e nel contegno processuale, caratterizzato dall’assenza di qualsivoglia
segno di resipiscenza, pervenendo, anche in questo caso, a conclusioni
giuridicamente corrette e supportate da adeguata motivazione.

15.

I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali

statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 22.7.2014

elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben

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