Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35262 del 22/07/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35262 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Tomarchio Sebastiano, nato a Catania il
26.11.1982;
avverso la sentenza emessa il 13 febbraio 2014 dalla corte d’appello di Palermo;
udita nella pubblica udienza del 22 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza emessa il 9 maggio 2012 dal giudice del tribunale di Palermo, che aveva
dichiarato Tomarchio Sebastiano colpevole dei reati di cui: A) agli artt. 485, 61,
n. 11, 81 cod. pen.; B) agli artt. 494, 61, n. 11, cod. pen.; C) agli artt. 640, 61, n.
11, cod. pen.; D) agli artt. 646, 61 n. 11, cod. pen.; relativi alla falsificazione di
un contratto per l’attivazione di alcune linee telefoniche mobili, alla sostituzione
di persona, alla truffa conseguente ed all’appropriazione indebita di alcuni apparecchi di telefonia cellulare mai consegnati a Pennino Maria, che risultava l’inconsapevole intestataria di quelle nuove attivazioni, e, con la continuazione e la
concessione delle circostanze attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena di mesi sei e giorni quindici di reclusione ed euro 190,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile Pennino Maria, da liquidarsi in
sede civile, con una provvisionale di € 1.198, e con la sospensione condizionale
della pena subordinata al pagamento della provvisionale.
Osservò, tra l’altro, la corte d’appello: – che la produzione di sentenze relative ad altre vicende e ad altre stipulazioni contrattuali era irrilevante; – che anche la richiesta perizia grafica non sarebbe stata risolutiva, essendo possibile
che l’imputato avesse fatto apporre la falsa firma della Pennino da un complice;
– che rilevava invece la circostanza che il Tomarchio, a fronte delle prove addotte dal PM in primo grado, era rimasto contumace, senza spiegarne le ragioni;

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Data Udienza: 22/07/2014

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che era rimasto contumace anche in appello; – che la Pennino aveva con decisioni disconosciuto la firma apposta in calce al contratto di telefonia e dichiarato che proprio in quel tempo aveva perso la sua carta di identità; – che, grazie
al codice identificativo che ciascun promotore apponeva sul contratto, era stato possibile risalire al Tomarchio; – che dalle dichiarazioni del teste Spialtini,
responsabile della società intermediaria che procacciava i contratti, era risultato
che i telefoni cellulari venivano consegnati ai vari promotori.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che la
corte d’appello non ha tenuto conto delle sentenze prodotte per la ragione che
«Nel diritto penale raramente esistono vicende talmente stereotipe e seriali da
potere essere influenzate da giudicati estranei e relativi ad altri accertamenti».
Con ciò la corte d’appello ha preso un enorme abbaglio perché la difesa aveva
postulato che tali sentenze di merito irrevocabili riguardavano altri promotori di
contratti di telefonia colleghi del Tomarchio in vicende analoghe, che erano stati assolti per vicende sovrapponibili. Inoltre la difesa aveva prodotto anche altra
sentenza irrevocabile di assoluzione concernente la medesima vicenda (stipulazione di contratti per conto della H3G) per la quale al contrario, in esso giudizio, il Tomarchio, contumace e difeso d’ufficio, era stato condannato in primo
grado. Osserva che, al contrario di quanto ritenuto dalla corte d’appello, la vicenda in esame ha proprio caratteristiche seriali, poiché si tratta di migliaia di
contratti stipulati da una miriade di giovani promotori (tra i quali l’odierno ricorrente) continuamente succedutisi nel lavorare per la Bulejuice s.r.l. Nitro, del
fantomatico Spialtini Davide, soggetto pluri imputato in altri procedimenti similari, ma ritenuto attendibile nella veste di testimone in questo procedimento sia
dal giudice di primo grado che dal giudice d’appello. Tanto che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto l’assoluzione del ricorrente per non avere commesso il fatto. Lamenta quindi che la motivazione della sentenza impugnata è
carente per avere omesso qualsiasi specifico, riferimento alla sentenza irrevocabile assolutoria prodotta in udienza e concernente l’appellante.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, anche se, preliminarmente, deve essere corretta la
motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sembra ritenere elemento probatorio rilevante la circostanza che l’imputato sia rimasto contumace. La
corte d’appello, infatti, mette in rilievo: – «la circostanza, davvero innaturale»
che il Tomarchio sia rimasto contumace; – il fatto che l’imputato aveva dedotto
di avere compiuto «la scelta contumaciale senza colpa, ma non ne spiega le ragioni, ammesso che di plausibili ve ne fossero»; – che «tuttavia anche in appello
il Tomarchio è rimasto contumace», laddove avrebbe potuto contrastare
l’accusa.
Si tratta di motivazione inaccettabile che costituisce violazione del principio fondamentale vigente nel nostro ordinamento che l’imputato ha il pieno diritto di rimanere contumace; che non deve giustificare tale scelta, la quale non
può in alcun modo considerarsi «colposa»; che dallo stato di contumace non
possono trarsi né elementi di prova né indizi a carico dell’imputato e non può
derivare nemmeno una qualche inversione o attenuazione dell’onere probatori

a carico dell’accusa.
Tale erronea motivazione, peraltro, nel caso di specie non ha inciso, viziandola, sulla decisione della corte d’appello, sia perché la sentenza di primo
grado non ha fatto ricorso a tale inconferente argomentazione, sia perché, al di
là delle suddette erronee affermazioni, la sentenza impugnata ha in sostanza inteso affermare che le prove fornite dall’accusa, e ritenute sufficienti, non erano
state contrastate dal prevenuto.
I giudici del merito hanno, invero, basato il riconoscimento della responsabilità dell’imputato sulla circostanza che sul falso contratto telefonico a firma
della Pennino era stato inserito il codice identificativo del Tomarchio, con la
conseguenza che a favore di questi (che quindi appariva l’unico interessato alla
falsificazione) erano state (e potevano essere) liquidate le provvigioni e che solo
egli avrebbe potuto appropriarsi i telefonini cellulari collegati al contratto telefonico di cui aveva il possesso e che non erano stati mai consegnati alla Pennino. La sentenza di primo grado, inoltre, ha messo in evidenza la circostanza
(non contestata con il ricorso) che era stato proprio il Tomarchio ad attivare le
utenze telefoniche a nome della Pennino.
Non può quindi ritenersi inadeguata o manifestamente illogica la motivazione con la quale è stata esclusa l’ipotesi che, in realtà, delle provvigioni e dei
telefonini si fosse appropriato il capo area Spialtini e che quindi costui sarebbe
stato l’artefice della vicenda. Del resto non è stato nemmeno prospettato, nel ricorso, quale interesse avrebbe avuto lo Spialtini a falsificare il contratto per fare
incassare provvigioni e telefonini al Tomarchio.
Quanto alla censura sul difetto di motivazione della sentenza impugnata in
ordine alle depositate sentenze di assoluzione riguardanti casi analoghi (una
delle quali concernenti lo stesso ricorrente), si tratta di censura generica ed aspecifica, perché nel ricorso non viene in alcun modo indicato per quali specifiche e concrete ragioni tali sentenze avrebbero potuto e potrebbero avere influenza sulle conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 22
luglio 2014.

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