Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35255 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35255 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BEVERE ANTONIO

Data Udienza: 24/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZENO STEFANO N. IL 17/03/1966
VIOLA VINCENZO N. IL 27/06/1962
LANGELLA LUCA N. IL 12/11/1962
BIRRA ANNAMARIA N. IL 25/09/1968
ZENO MARIA N. IL 02/05/1968
BARBARO MARIARCA N. IL 01/06/1981
D’AMATO GIUSEPPE N. IL 02/01/1975
avverso la sentenza n. 7130/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per A’
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Zeno Stefano ha presentato ricorso , riservando al proprio difensore i motivi a sostegno del
gravame, che non sono stati però formulati e depositati.
Nell’interesse di Birra Annamaria, rinunziante ai motivi di appello, ad eccezione di quello relativo
alla misura della pena, è stato presentato ricorso per i seguenti motivi :
1. violazione di legge,in riferimento all’erronea applicazione di norme sostanziali e processuali
in ordine alla ritenuta responsabilità della Birra;
2. vizio di motivazione in riferimento alla ricostruzione probatoria;
3. vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e al
trattamento sanzionatorio complessivo : l’accoglimento del motivo di appello , diretto ad
ottenere la riduzione della pena, non è in linea logica con il diniego del riconoscimento delle
attenuanti generiche. Tale diniego non è giustificabile, secondo un consolidato orientamento
interpretativo, con la gravità del fatto e comunque la decisione non ha effettuato una
ponderazione adeguata dei parametri previsti dal co.2 dell’art. 133 c.p., alla luce dei principi

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 5.5.2011, la corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza 22.11.08 del Gup del
tribunale di Napoli, ritenuta ,per Zeno Stefano la continuazione tra i reati contestati e quelli
giudicati con sentenza 10.6.05 della corte di appello di Napoli, irrev. Il 28.5.05, ha rideterminato la
pena inflitta in 19 anni e 8 mesi di reclusione; ha inoltre rideterminato la pena inflitta a
Viola Vincenzo, in 8 anni e 8 mesi di reclusione ed € 30.000 di multa,per i reati ,uniti dal vincolo
della continuazione , di cui al capo A(ex art. 416 bis co. 1,2,3,4,5 c.p.,per partecipazione ad
associazione di tipo mafioso, denominata “Clan Birra-Iacomino”, avente lo scopo di commettere
delitti di estorsione, traffico di stupefacenti, detenzione e porto d’armi, omicidi, al fine di acquisire
il controllo ,anche con la contrapposizione armata con organizzazioni rivali, segnatamente con il
clan Ascione-Montella , nelle zone di Ercolano e comuni limitrofi); capo I (ex art. 73 DPR 309/90);
capo A9( ex artt. 110, 56,629 c.p., 7 L. 203/91;
Langella Luca in 11 anni e e 4 mesi di reclusione, per i reati, uniti i dal vincolo della continuazione,
di cui al capo A, al capo H (ex artt. 74 DPR 309/90) , ai capi, A2 A3,A4( art. 73 DPR 309/90) , al
capo B5 (art. 98 co. 3 D.LVO 259/03),
Birra Annamaria in 5 anni di reclusione,per il reato di cui al capo A, ex art. 416 bis co.1,2,3,4,5,
c.p., quale fiduciaria del marito di Zeno Stefano, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
Barbaro Mariarca in 9 anni e 2 mesi di reclusione ,per i reati, uniti dal vincolo della continuazione
, di cui agli artt. 416 bis, co. 1,2,3,4,5,6,7 c.p., per partecipazione ad associazione di tipo
mafioso(Clan Ascione-Montella) ,operante nella zona di Ercolano, Torre del Greco e comuni
limitrofi (capo B7); all’ art.74, co. 1,2,3 DPR 309/90, (capo B8),agli artt. 73,80 DPR 309/90
(capi F5,G4,G6) ,
Ha confermato la condanna di 6 anni di reclusione inflitta a Zeno Maria ,per il reato di cui al capo A
e la condanna di anni 14, inflitta a D’ Amato Giuseppe,per i reati ,uniti dal vincolo della
continuazione di cui agli artt. 74 co. 1 e 2 DPR 309/90, per partecipazione ad associazione dedita al
traffico di stupefacenti con il ruolo di organizzatore e promotore (capo B9), e agli 73 e 80 DPR
309/90 (capi C3,C5,D4).

E’ stato presentato ricorso ,nell’interesse di Langella Luca, rinunciante ai motivi di appello , ad
eccezione di quello relativo alla misura della pena, ; nei motivi si sostiene la violazione di legge e
il vizio di motivazione in riferimento agli artt. 133 c.p. e 7 L. 203/1991 : la corte di merito ha così
calcolato la pena : p.b. anni 10, per il delitto associativo, aumentata di 4 anni per l’aggravante, di 3
anni per la continuazione con gli altri reati, diminuita ex art. 438 c.p.p., senza dare alcuna
giustificazione all’entità dell’aumento per l’aggravante ex art. 7 L. 203/1991.
Nell’interesse di Zeno Maria, moglie di Viola Vincenzo, ritenuta responsabile del reato ex art. 416
bis co. 1.2.3.4.5 c.p.,quale fiduciaria del fratello Zeno Stefano, di cui raccoglieva ,nei colloqui in
carcere, e diffondeva agli affiliati le disposizioni sulle principali imprese dell’associazione, e quale
custode e gerente, insieme al marito Viola Vincenzo, dei proventi dell’associazione , è stato
presentato ricorso per vizio di motivazione in relazione all’affermata partecipazione
all’associazione mafiosa ; secondo la ricorrente l’affermazione di responsabilità è inadeguatamente
ritenuta basata su alcune affermazioni, rese nella conversazione captata il 12.3.05, con il fratello
Zeno Stefano, nel corso della quale quest’ultimo chiedeva conto all’imputata e al marito Viola
Vincenzo della situazione economica dell’associazione e la donna affermava la disponibilità di 50
milioni di lire. I giudici non hanno tenuto conto che, nel corso della conversazione captata nella
casa circondariale di Viterbo, il Viola non era presente e che la Zeno mai ha avuto altri contatti con
il fratello né è stata mai citata dai collaboratori di giustizia. Pertanto, anche ammettendo che la Zeno
fosse a conoscenza dell’operato del marito (gestore della cassa dell’associazione) ,solo con un
automatismo probatorio, può essere ritenuta dimostrata da queste espressioni del fratello la sua
partecipazione al clan camorristico . I riferimenti alla disponibilità dei 50 milioni e ai “giubbini”(da
intendersi quantitativi di droga) non sono attribuibili alla ricorrente. La documentazione prodotta
dimostra che questa non custodiva denaro dell’associazione in alcun istituto bancario.
E’ illegittimo il provvedimento di confisca dei suoi beni, senza alcuna dimostrazione del rapporto
di pertinenzialità fra i beni medesimi e il delitto associativo di stampo mafioso.
Nell’interesse di Viola Vincenzo ,marito di Zeno Maria, rinunciante ai motivi di appello relativi al
delitto associativo, è stato presentato ricorso per i seguenti motivi :
1. violazione di legge in riferimento all’art. 73 DPR 309/90: la dichiarazione di responsabilità è
basata solo su dichiarazioni di Zeno Giacomo , che, nel corso di un colloquio, captato
1’8.1.05, ha indicato al fratello Stefano- capo del sodalizio- quali protagonisti del trasporto
di Kg 1,067 di cocaina, se stesso, come organizzatore, e il Viola, quale scorta e battistrada,
a bordo di una Fiat Panda. I giudici non hanno tenuto conto della scarsa attendibilità del
dichiarante, dell’assenza del Viola, nel corso della conversazione, della mancata narrazione
dei particolari di questa vicenda, da parte di altri interlocutori ,nelle numerose
conversazioni intercettate;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità
per la tentata estorsione, inizialmente contestata ,a titolo di concorso, a Zeno 9acomo : i

di individualizzazione , di proporzionalità, di finalità educativa, che, secondo la Carta e la
giurisprudenza costituzionale, devono guidare il giudice nella determinazione del
trattamento punitivo.
Inoltre, la corte di merito non ha tenuto conto dell’incensuratezza e della giovane età della Birra,
anche in relazione al fatto, alle sue modalità e circostanze, dalla genesi al verificarsi dell’evento.
Nel ricorso viene richiamato il pensiero di alcuni autori sul diritto come cattedrale della logica, alla
luce della quale deve darsi rilievo alla reazione patologica da porre all’origine di atti umani , alla
memoria delle esperienze vissute e alla sensazione del delitto , ricostruibili solo a seguito
dell’esame dello stato neuro psichico delle personalità giovane di un soggetto incensurato. Questo
esame non è stato compiuto dalla sentenza impugnata.

Nell’interesse di Barbaro Mariarca, rinunciante ai motivi di appello, ad eccezione di quello
relativo alla misura della pena, è stato presentato ricorso, per i seguenti motivi:
1. vizio di motivazione, in relazione all’art. 129 cpp : il giudice avrebbe dovuto verificare la
sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 cpp; inoltre non ha soddisfatto
l’obbligo motivazionale, essendo ricorso ad affermazioni apodittiche e a locuzioni prive di
riscontri;
2. violazione di legge in relazione agli artt. 268 co 3 e 271 cpp: il giudice di secondo grado ha
disatteso senza giustificazione alcune eccezioni difensive sulla inutilizzabilità degli esiti
delle conversazioni captate.
In relazione all’istanza di differimento dell’udienza, presentata dal difensore in data 9.4.2013, si
ribadisce il provvedimento di rigetto, redatto in calce alla richiesta, in data 10.4.2013.
Nell’interesse di D’Amato Giuseppe, è stato presentato ricorso per difetto assoluto di motivazione
in ordine a tutte le doglianze di fatto e di diritto inserite nei motivi di appello : posto che il giudice
di primo grado ha escluso che il contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali abbia
provato l’inserimento stabile del ricorrente nel clan Ascione — Montella, di cui al capo B7, è del
tutto illogico ritenere che le medesime possano costituire l’ossatura probatoria dell’esistenza di
un’altra organizzazione, da lui promossa, organizzata e diretta, stabilmente dedita all’acquisto di
stupefacenti.
Tenuto conto della riconosciuta autonomia tra delitto associativo e reati fine e dell’impossibilità di
desumere automaticamente dalla responsabilità per questi ultimi la responsabilità per il primo,
,deve ritenersi che manchi la prova sia dell’inserimento del D’Amato in questa struttura
associativa, dopo la consumazione dei singoli delitti programmati, sia del ruolo egemone e
dirigenziale attribuitogli .
Secondo il ricorrente, manca il presupposto principale dell’associazione : il numero delle persone:
D’Amato non può ritenersi responsabile di reati commessi fino all’ottobre del 2003, quando
Montella Ciro , ritenuto suo associato, è deceduto 1’11.3.03 e le intercettazioni a carico del
D’Amato hanno inizio nel mese di aprile . Anche ammettendo, che nelle conversazioni intercettate
vi sia la prova dei reati commessi dal ricorrente e del sodalizio con Montella Vincenzo
(successivamente deceduto) non è individuabile il terzo e necessario partecipe all’associazione
criminosa.
In relazione ai singoli reati ex art. 73 DPR 309/90, il ricorrente rileva che,quanto al capo C3, dalle
conversazioni non emerge il dato relativo al ricavato della cessione di sostanza stupefacente;
inoltre, in considerazione della mancata sua partecipazione alla conversazione, non può ricavarsi da
essa, con certezza — in assenza di altri elementi probatori- ,i1 proprio coinvolgimento nell’impresa
commerciale.

giudici non hanno tenuto conto della sentenza n. 6554/2010 della terza sezione del
tribunale di Napoli, con la quale è stata dichiarata l’ assoluzione dello Zeno ,per
inattendibilità del collaboratore Capuozzo,le cui dichiarazioni sono state,però, utilizzate dai
giudici, quale elemento decisivo per la ricostruzione del fatto criminoso e per la sua
attribuzione al ricorrente. Inoltre non è stato riconosciuto alcun rilievo alla decisione del
tribunale del riesame, che ha annullato l’ordinanza coercitiva personale per tale reato,
neanche al limitato fine di offrire contezza del superamento di quel quadro indiziario che
aveva indotto il tribunale ad annullare l’ordinanza.
3. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’aggravante ex art. 7 L. 203/91 :
la contestazione non è giustificata sia per mancato accertamento del metodo mafioso, sia
perché i fatti sono espressione tipica del gruppo camorristico.
Il ricorso si conclude con l’istanza di trasmettere alla S.C. la memoria difensiva e l’allegata
sentenza di assoluzione di Zeno Giacomo.

I ricorsi sono manifestamente infondati.
Le doglianze sul trattamento sanzionatorio in generale e in relazione alla mancata concessione delle
attenuanti generiche, si pongono in una perdente posizione critica nei confronti del potere
discrezionale ,riconosciuto dalla legge al giudice di merito, potere che è stato esercitato dalla corte
di appello in maniera assolutamente razionale e quindi insindacabile in sede di legittimità.
La corte territoriale , riferendosi agli imputati che hanno rinunziato ai motivi di appello , ad
eccezione di quello concernente la misura della pena (per Viola la rinuncia ha riguardato solo il
reato associativo) , ha rilevato che con tale comportamento processuale essi hanno espresso la
volontà di accettazione leale delle conseguenze delle rispettive responsabilità. Secondo una
valutazione comparata di tale comportamento processuale ,alla luce della gravità dei fatti commessi
e della personalità trasgressiva da essi desunta , la corte ha ritenuto che gli imputati non hanno
però dimostrato un ritorno sulla via della legalità e l’abbandono della vita delittuosa ,a cui sono
risultati dediti per evidente finalità patrimoniale. Sulla base di questa ambivalente valutazione
della loro personalità, ha coerentemente ridotto la pena inflitta a Viola ,Langella, Birra, Barbaro,
ma ha razionalmente confermato il diniego delle attenuanti generiche.
Le doglianze suindicate sul trattamento sanzionatorio sono quindi del tutto inammissibili, al pari
quelle contenute nei ricorsi di Barbaro Mariarca e Birra Annamaria, che riguardano
argomentazioni procedurali, ricostruzioni fattuali, valutazioni probatorie la cui fondatezza è stata
negata dalle stesse ricorrenti ,nel momento in cui hanno rinunciato all’esame del giudice di appello
sui correlati motivi di gravame.
Quanto alla specifica censura, formulata dal Langella, in ordine alla mancata giustificazione
sull’entità dell’aumento della pena ,derivato dall’applicazione dell’aggravante ex art. 7 L 203/91, la
sua infondatezza è evidenziata dall’orientamento interpretativo consolidato, secondo cui il giudice,
una volta che abbia congruamente motivato sulla determinazione della pena, facendo riferimento
alla natura dei reati e alla personalità del colpevole , non ha, per assenza di previsione di legge,
l’obbligo di specificare , nell’applicazione della pena per reato continuato, gli aumenti e i correlati
motivi per ogni singolo reato, una volta che sia stato individuato il reato più grave : permangono, a
giustificazione della sanzione relativa ai reati satellite, i parametri valevoli per la pena base (sez. 2
,n. 32586 de13.6.2010, rv 247978; sez. 3 n. 3034 del 26.9.1997, in Cass. Pen. 1999,168).
Manifestamente infondato è anche il ricorso presentato da Zeno Maria, sorella dello Zeno Stefano,
vertice dell’associazione, laddove tende a sminuire —con argomenti generici e privi di forza
persuasiva- la efficacia dimostrativa del contenuto della conversazione con il fratello, registrata il
12.3.05 , nel carcere di Viterbo. I giudici di merito hanno non solo messo in evidenza il contenuto di
altri colloqui con il fratello — non contestato dalla ricorrente – da cui sono emersi elementi
probatori sulla sua partecipazione al clan Birra, ma hanno scandito le specifiche espressioni della
Zeno su temi ( contrasti sulla gestione della cassa comune ; rassicurazioni , a fronte delle
perplessità del capo can, sull’esattezza delle cifre e sull’ affidabilità contabile del marito, Vincenzo
Viola; annuncio di prossimo incasso di 50 milioni di lire, preveniente da un’ ingente vendita di
droga ) , che potevano essere trattati solo da una persona legata dal vinculum sceleris , impegnata
in primo piano nella vita, nell’operatività del sodalizio camorristico , organizzato nel controllo del

Quanto al reato sub C5 , il contenuto del dialogo tra il D’Amato e tal Corrado è scarno e, in
mancanza di altri convincenti elementi di riscontro, deve ritenersi che manca la prova della sua
responsabilità.
Quanto al reato sub D4, è stato ritenuto che il riferimento alla droga , nel corso della conversazione
con lo zio Montella Savio, possa ricavarsi dall’indicazione dell’unità di misura in grammi : questo
elemento di fatto, in assenza di altre circostanze fattuali e di un minimo riscontro, si traduce in
un’insuperabile incertezza sul tipo di sostanza, sul quantitativo, sulla sua destinazione

Viola Vincenzo, marito di Zeno Maria, a seguito della rinuncia ai motivi di appello relativi al reato
associativo, ha diretto le sue critiche sull’affermazione di responsabilità in ordine ai reati ex art. 73
DPR 309/90 (capo I) e di tentata estorsione, aggravata ex art. 7 L. 203/91.
I giudici di merito e ,in particolar modo ,la corte territoriale, hanno messo in evidenza la dimostrata
responsabilità del Viola, con argomentazioni fedeli alle risultanze processuali consistite
1) nella conversazione, registrata 1’8.1.05 nella casa circondariale di Viterbo,tra Zeno Giacomo e il
fratello Stefano , nel corso della quale il primo -nel rievocare il trasporto di oltre un chilo di
cocaina, conclusosi con l’arresto del possessore- ha attribuito l’organizzazione della sfortunata
impresa commerciale al clan e la materiale esecuzione del trasporto, tra gli altri, al ricorrente, detto
o’chauffeur.
2) nell’accertata presenza del Viola, nei pressi di Zeno Giacomo, nel corso di una richiesta estorsiva
fatta al titolare dell’impresa Idroclima , Cavallo Domenico. Grazie allo sviluppo delle indagini (i
cui risultati non erano stati inizialmente ritenuti sufficienti dal tribunale del riesame ,ai fini della
coercizione personale), i giudici di merito hanno razionalmente concluso che
a) la richiesta estorsiva era stata camuffata da un’offerta all’impresa, da parte dello Zeno,
dell’acquisto di un martello pneumatico, utensile non necessario per i lavori da questa svolti;
b) questa offerta era stata formulata nel corso di un conversazione tra i predetti , che era stata
percepita da agenti di polizia giudiziaria come accesa ;
c) la presenza del Viola, in quelle circostanze di tempo e di luogo è stata funzionale a rafforzare
l’intimidazione estorsiva, presentata ,a fini difensivi, come regolare trattativa tra operatori
economici. Questo fitto reticolo di dati fattuali e la razionale valutazione fattane dai giudici di
merito non possono essere depotenziati nella loro capacità dimostrativa a causa del diverso esito
che ha avuto il processo a carico di altro imputato : questo asserito condizionamento di una
sentenza di assoluzione su una sentenza di condanna, al fine di un comune esito liberatorio,
contrasta non solo con le regole procedurali , ma anche con l’analisi logica della realtà storica e
processuale sottoposta al vaglio degli organi giudicanti.
In entrambi i reati ,conformemente alle risultanze processuali ,i giudici di merito hanno individuato,
attraverso la precisa ricostruzione dei rapporti di forza tra gli associati e la popolazione di quel
territorio e la struttura di narcotraffico dell’associazione sub A, sia la finalità di agevolare l’attività
di commercio di droghe, svolto dal clan camorristico Birra-Iacomino, sia di aver agito nelle
condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.
Anche il più ampio e articolato ricorso presentato nell’interesse del D’Amato Giuseppe è
inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi, che propongono,in chiave critica,
valutazioni fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonché prive di
qualsiasi coerenza logica, idonea a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato
le conclusioni della corte di merito.
Con esse,in realtà , il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente , il
sostanziale riesame nel merito. Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame :
la struttura razionale della motivazione — facendo proprie e integrando le analisi fattuali e le
valutazioni logico-giuridiche della sentenza di primo grado – ha determinato un organico e
inscindibile accertamento giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che

territorio , in cui svolgeva l’attività di distribuzione delle sostanze stupefacenti, ricorrendo anche
alla violenza per battere la concorrenza(v. conflitto con il clan Ascione-Montella).
Quanto alla legittimità della confisca, la corte di merito ha correttamente rilevato l’obbligatorietà
della misura di sicurezza patrimoniale , trattandosi di beni ( quote ed azioni societarie ,fabbricati,
terreni, vigneti, emittenti radiofoniche) che sono da ritenere — alla luce dell’assenza di adeguata
attività lavorativa e dell’accertato ruolo di addetta,insieme al marito, alla contabilità del clanprovento della molteplice attività criminosa degli associati.

I ricorsi vanno tutti dichiarati inammissibili con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000, in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di E 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

è saldamente ancorata agli inequivoci risultati dell’istruttoria dibattimentale ,alla luce dei quali è
emerso che :
il D’Amato ha iniziato nella terra d’origine la sua attività di commerciante di sostanze stupefacenti
,all’interno dell’associazione facente capo ai Montella e l’ha continuata ,con autonoma
organizzazione, in Liguria, a seguito della svolta di ferocia omicida ,verificatasi nello scontro tra i
gruppi Birra-Iacomino e Ascione-Montella. Dopo aver assistito all’agguato mortale in danno di
Montella Ciro (nel corso del quale egli fu ferito) ,i1 D’Amato ha trasferito in Sestri Levante, presso
l’abitazione della sorella Angela, la propria esperienza e le proprie relazioni di narcotrafficante
,creando un’organizzata attività di spaccio, in cui ha svolto naturalmente funzioni di promozione e
direzione. I giudici di merito hanno precisamente scandito i dati fattuali-emersi dalle registrazione
delle conversazioni telefoniche e ambientali — dimostrativi del nuovo canale di distribuzione, da
lui costruito, avente ad oggetto sostanze stupefacenti ,che ,provenienti dalla Campania, grazie alla
collaborazioni di familiari ed affini, giungevano in Liguria per la distribuzione e per il consumo
locale.
La critica al trattamento sanzionatorio è parimenti del tutto infondata, in quanto a tanto radicata e
crescente capacità di protagonista nel mondo del commercio delle droghe non può che
corrispondere il razionale rifiuto , da parte dei giudici di merito, di un’attenuazione della risposta
punitiva dello Stato.

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