Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35220 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 35220 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: ROTUNDO VINCENZO

Data Udienza: 09/05/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Campisi Domenico, nato a
Castelvetrano il 12-12-34, avverso la sentenza in data 27-11-12 della Corte di Appello
di Palermo. 10 sezione penale.
Udita la relazione fatta dal Consigliere, dott. Vincenzo Rotundo;
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, dott.Mazzotta, con le quali si
chiede il rigetto del ricorso.
Udito l’avv. th-wro Ce o
, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1 . . Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo, in data
27-11-12, ha confermato la condanna, previa concessione delle attenuanti generiche,
alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi sei di reclusione pronunciata dal
Tribunale di Marsala in data 28-3-11 nei confronti di Campisi Domenico per il reato di
cui all’art. 316 ter c.p., commesso in Castelvetrano fino al 3-8-2005.
I Giudici di merito hanno ritenuto accertato che il Campisi, che, quale presidente
dell’associazione interpoderale Europa 2001, era stato beneficiario di un finanziamento
regionale per la costruzione di una strada interpoderale, in periodi corrispondenti ai
pagamenti effettuati all’appaltatore Giordano Francesco, si era fatto versare da
quest’ultimo somme in contanti pressoché corrispondenti per un ammontare pari e euro
350.000. Il Giordano (che aveva definito con sentenza di applicazione della pena un
procedimento a suo carico in cui era, tra l’altro, imputato anche come concorrente nel
reato di cui all’art. 316 ter c.p.) aveva ammesso in giudizio di avere favorito il Campisi,
fornendogli a titolo di prestito il denaro ricevuto in corrispondenza delle fatture emesse,
previa detrazione di quanto occorso per il pagamento dei suoi fornitori.
Su queste basi la Corte di Appello è giunta alla conclusione che le fatture del
Giordano, sebbene formalmente quietanziate, in realtà non venivano pagate dal
Campisi, che però le utilizzava per ottenere vari acconti dalla Regione. La mera
apparenza di validi pagamenti integrava gli estremi del reato contestato per le

1

2 .-. Avverso detta sentenza del 27-11-12 ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il suo difensore, Campisi Domenico, chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di
affermazione delle sua responsabilità per il reato a lui ascritto. Si sarebbe trattato, a suo
avviso, di un prestito acceso dal committente per finanziare l’opera da realizzare e
nessuna norma di legge vieterebbe questa condotta. A parte il fatto che nel caso di
specie sarebbe stata dimostrata la restituzione delle somme prestate dal Giordano alla
Associazione e non risulterebbe alcuna attività di raggiro, anche perché non era stato
provato il ricorso a fatturazioni falsamente quietanzate.. In ogni caso non sarebbe stata
data alcuna motivazione in ordine alla sussistenza del dolo richiesto per la integrazione
del reato contestato.
3 .-. Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha già chiarito che alla fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. va
attribuita la natura di reato di pericolo, essendo tale fattispecie integrata con la mera
violazione di prescrizioni volte ad evitare la adozione di sistemi che possano
nascondere comportamenti fraudolenti a prescindere dalla prova di condotte di tal
genere, che, se sussistenti, consentirebbero di ravvisare ulteriori figure criminose.
In applicazione di questi principi, correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto
che nel caso in esame il ricorso al prestito fornito da colui che era chiamato alla
realizzazione dell’opera finanziata (e che per questa doveva essere retribuito) era senza
dubbio un meccanismo idoneo a celare condotte in frode sia dell’ente pubblico sia
dell’appaltatore. In definitiva, il conseguimento di pubbliche erogazioni sulla scorta di
fatture falsamente quietanzate (trattandosi di fatture che in realtà non venivano
realmente pagate dal Campisi, che però le utilizzava per ottenere gli acconti dalla
Regione) realizzava a pieno il fatto di reato di cui all’art. 316 ter c.p., sia perché si
trattava di un meccanismo artificioso attraverso il quale il ricorrente otteneva un
finanziamento sulla base di attività non realmente esplicate sia perché il sistema
adoperato non consentiva di verificare che le somme erogate dalla Regione fossero
integralmente destinate alla realizzazione dell’opera prevista.
Si tratta di conclusioni che costituiscono adeguata applicazione delle regole del
diritto e della logica e che non risultano in alcun modo scalfite dalle deduzioni del
ricorrente.
4.-. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Per questi motivi
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, nella camera di consiglio del 9 maggio 2013.

violazioni del decreto regionale che prevedeva invece la effettiva erogazione di somme
da parte del beneficiario del finanziamento..

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