Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35205 del 19/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35205 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PASSALACQUA FILIPPO N. IL 01/01/1980
avverso l’ordinanza n. 6989/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 04/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

ft.,

I

Data Udienza: 19/06/2014

P

Ritenuto in fatto ed in diritto.

1.

Con ordinanza del 4.10.2013, il Tribunale di Sorveglianza di Roma

rigettava il reclamo interposto da PASSALACQUA Filippo, avverso il provvedimento
con cui il Ministro della Giustizia aveva disposto -ai sensi dell’art. 41 bis Ord. pen.la sospensione dell’applicazione delle regole del regime intramurario, sul presupposto
che erano stati compiutamente elencate le ragioni di ordine e sicurezza pubblica che

nelle relazioni della DDA di Caltanissetta e della DNA, alla luce di univoche e
convergenti dichiarazioni di collaboratori, come vertice della consorteria mafiosa
legata al clan Cappello di Catania, attualmente in guerra nel territorio di
Catenanuova, con la cosca facente capo a Leonardi Salvatore, rappresentante di
Cosa nostra. Il Passalacqua era detenuto a seguito dell’emissione di ordinanza di
custodia cautelare in carcere, in data 20.5.2011, per reato di associazione mafiosa.
Veniva aggiunto che nella corrispondenza che era stata trattenuta, inviata al suocero,
anche lui in regime di detenzione, si coglievano indicazioni minatorie circostanziate
nei confronti di soggetti individuati, tali da costituire pericolo per l’ordine e la
sicurezza. La misura veniva quindi giustificata con l’esigenza di evitare che il
Passalacqua, attesa la sua posizione di vertice nel sodalizio criminoso mafioso,
potesse impartire direttive da veicolare all’esterno, anche a danno dei collaboratori di
giustizia, ben potendo configurarsi il pericolo attuale di una ripresa di contatti con
esponenti dell’organizzazione di appartenenza e della possibilità che il medesimo,
attraverso i colloqui con i familiari, potesse impartire direttive criminali.

2.

Avverso tale ordinanza, interponeva ricorso per cassazione l’interessato

pel tramite del difensore, per opporre vizio di violazione di legge e mancato
adempimento dell’onere motivazionale. Veniva fatto di rilevare che l’intero apparato
argomentativo contenuto nel corpo ministeriale, fondava la supposta responsabilità
del prevenuto in ordine al reato di associazione a delinquere mafiosa ed ai reati di
omicidio ed estorsioni, sulla base di elementi indizianti inidonei ed insufficienti a fare
convergere la sua colpevolezza per i fatti a lui addebitati e comunque ancora tutti da
verificare. Quindi il giudizio di pericolosità del prevenuto sarebbe stato ruotante
attorno a valutazioni ipotetiche e non ancora processualmente acclarate, quanto al
presunto ruolo verticistico rivestito. Veniva condotta una lunga dissertazione sul
valore inconsistente delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia escussi dagli
investigatori, che avrebbero portato a conclusioni stornanti sul ruolo del prevenuto,
quali ad es. di averlo ritenuto coinvolto direttamente nell’omicidio di Leonardi
Prospero (che sarebbe transitato dal clan Passalacqua a Cosa Nostra), quando si

2.

inducevano a differenziare il regime detentivo nei confronti del prevenuto, indicato

trovava in carcere. Concludeva ritenendo la ricostruzione dei fatti operata suggestiva
e disarticolata, priva dell’indicazione delle fonti investigative certe che consentissero
di vagliare l’attendibilità delle accuse. L’ordinanza del tribunale di sorveglianza
sarebbe del tutto priva dei requisiti di coerenza, completezza e logicità , risultando
del tutto apparente.
3.

Il ricorso è manifestamente infondato. L’art. 41 bis, comma 2 bis, della I. n.

354 del 1975, stabilisce che i provvedimenti applicativi (e di proroga del regime) sono

dei legami con esponenti delle cosche mafiose, ovvero con altre associazioni criminali
organizzate operanti all’esterno e ove risulti la capacità del detenuto o dell’internato
di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive. L’ambito del
sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è segnato dal comma 2 sexies del novellato
art. 41 bis, a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte d’appello,
l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione,
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge. La
limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso
che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di
disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo
in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto
priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico
seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric.
Santapaola, rv. 230203). E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa
ricomprendere il vizio di illogicità della motivazione, dedotto dal ricorrente che, sotto
questo profilo, non può trovare ingresso in questa sede.
Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur denunciando
formalmente anche il vizio di violazione di legge, non individua singoli aspetti del
provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende in realtà a provocare una
non consentita nuova valutazione del merito delle circostanze di fatto, in quanto tali
insindacabili in sede di legittimità. L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente
valutato gli elementi risultanti agli atti ed ha con motivazione congrua, adeguata e priva
di profili di erronea applicazione della legge penale e processuale ritenuto ricorrere i
presupposti per fare luogo alla imposizione del regime carcerario più rigoroso , per
documentate ragioni di ordine cautelare. Trattasi di valutazione certamente condotta
allo stato, alla luce di emergenze che dovranno essere vagliate in sede processuale , ma
3

adottabili al fine di assicurare una gestione penitenziaria che garantisca la recisione

che ben possono configurare dati significativi in una logica di prevenzione , quale è
quella perseguita con l’applicazione della misura in contestazione.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186
del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria

p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro mille a favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, addì 19 giugno 2014.

che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 cod.proc.pen.

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