Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35204 del 02/07/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35204 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Nervosi Massimo nato a Modena il 31/12/1958
avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna, sezione del riesame in data
11/3/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Piero Gaeta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 25/2/2013 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Modena disponeva l’applicazione della misura degli arresti
domiciliari nei confronti di Nervosi Massimo per i delitti di cui ai capi a) truffa aggravata e b) – circonvenzione di incapace della provvisoria
imputazione.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l’indagato
contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti
sopra indicati.
1.2.

Il Tribunale di Bologna, sezione del riesame, respingeva l’istanza
1

Data Udienza: 02/07/2013

a’

proposta, confermando l’ordinanza impugnata, previa riqualificazione del
delitto di cui al capo a) in termini di truffa aggravata tentata.
2.

Ricorreva per Cassazione l’indagato, per mezzo del suo difensore di

fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
2.1. inosservanza di norme penali e processuali e segnatamente degli artt.
380 e 381 cod. proc. pen. e degli artt. 56 640 cod. pen. con riferimento
alla convalida dell’arresto del ricorrente in flagranza del reato di truffa
aggravata ai sensi dell’art. 640 comma 2 n. 2 bis e 61 n. 5 cod. pen. Rileva
al riguardo che, avendo il Tribunale riconosciuto che il fatto contestato al
capo a) della provvisoria imputazione era riconducibile all’ipotesi del delitto
tentato, l’arresto in flagranza non era consentito nè ai sensi dell’art. 381
comma 1 cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 381 comma 2 cod. proc. pen.
2.2. inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in relazione
all’acquisizione ed utilizzazione degli esiti delle intercettazioni telefoniche
ed ambientali effettuate in violazione degli artt. 191, 266, 270, 268 cod.
proc. pen. Rileva al riguardo che l’unico reato per il quale si procedeva ed
in relazione al quale erano autorizzabili le operazioni di intercettazione era
l’art. 643 cod. pen. ipotizzabile unicamente in danno di Soldati Paolo, in
relazione al quale le intercettazioni non erano affatto indispensabili per la
prosecuzione delle indagini, avendo il Soldati stesso già reso dichiarazioni
in ordine ai rapporti intercorsi con il ricorrente e che in realtà le
intercettazioni venivano effettuate per il reato di truffa, per il quale non
sono consentite. Rileva ancora la mancanza dei presupposti indispensabili
per eseguire le intercettazioni in un luogo di privata dimora ex art. 614
cod. pen. eccependo l’inutilizzabilità di tutte le intercettazioni eseguite
all’interno del capanno ove il Nervosi svolgeva la sua attività. Evidenzia poi
che la registrazione delle conversazioni telefoniche non è stata effettuata
presso la Procura della Repubblica che aveva autorizzato solo la
rennotizzazione dell’ascolto e che, quanto alle intercettazioni ambientali,
non sussistevano le eccezionali ragioni di urgenza per autorizzare
l’esecuzione delle operazioni presso impianti diversi da quelli installati nella
Procura della Repubblica. Rileva che in ogni caso le intercettazioni non
potevano essere utilizzate in relazione a delitti, come quello di truffa, in
relazione al quale non sono consentite. In via subordinata si eccepisce
l’illegittimità costituzionale degli artt. 268 e 270, per contrasto con l’art.
15 Cost., nella parte in cui consentono l’utilizzazione delle intercettazioni

1

<, anche per reati diversi da quelli per i quali è stata concessa l'autorizzazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato. È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l'ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità: 1) - l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) - l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che 4 collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati dei materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando 3 au--- i non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566). Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell'impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell'essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell'udienza tenutasi a norma dell'art. 309, comma 8, cod. proc. pen. (Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Marchese, Rv 227110). Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue. 3.1. Il provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso. Specificamente con riferimento al primo motivo di ricorso il Tribunale di Bologna dà atto della sussistenza delle condizioni di legge per procedere all'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del ricorrente in relazione al delitto di tentata truffa aggravata, per il quale è consentita l'applicazione di una misura detentiva diversa dalla custodia cautelare in carcere. La questione relativa alla convalida dell'arresto non ha formato oggetto di specifica impugnazione, avendo il ricorrente impugnato dinanzi al Tribunale del riesame, ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., esclusivamente l'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari ed avendo successivamente proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di riesame. Del resto l'ordinanza di convalida dell'arresto era soggette ad un diverso regime di impugnazione, prevedendosi che la stessa possa essere autonomamente impugnata, ai sensi dell'art. 391 comma 4 cod. proc. pen., con ricorso per cassazione. E neppure può essere applicato il favor impugnationis, riconoscendosi valore di ricorso per cassazione all'impugnazione proposta avverso l'ordinanza del tribunale del riesame, in quanto i termini per proporre impugnazione avverso l'ordinanza di convalida dell'arresto erano già irrimediabilmente decorsi al momento della alcun modo dimostrata l'avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, i proposizione del presente ricorso. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, tutte le questioni prospettate relative alle intercettazioni, integranti in astratto un vizio di violazione di legge, non risultano essere state sollevate in sede di riesame; esse, pertanto, ai sensi dell'art. 606 comma 3 cod. proc. pen., non possono essere sollevate per la prima volta dinanzi a questa Corte di legittimità. Si tratta, come stabilito da questa Corte nel ritenere manifestamente cod. proc. pen. per asserito contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. (sez. 2 n. 40240 del 22/11/2006, Rv. 235504), di una ragionevole regolamentazione del diritto di ricorrere per cassazione per violazioni di legge dettata da ragioni di funzionalità dell'intero sistema delle impugnazioni, in virtù delle quali tale specifica impugnazione è ammissibile solo ove la parte abbia inteso adire i tre gradi di giudizio. Tale principio di un principio di carattere generale in materia di ricorso per cassazione risulta, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, applicabile anche in relazione alle questioni non dedotte in sede di riesame, in quanto il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione nel merito, si presenta equiparabile all'appello (sez. 4 n. 24/6/1993, Rv. 195324; sez. 1 n. 2927 del 22/4/1997, Rv. 207749; sez. 3 n. 35889 del 1/7/2007, Rv. 241271). 4. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in camera di consiglio, il 2 luglio 2013 Il Consi Dott. R Il Presidente re estensore ria Carrelli Palombi di Montrone D ico Gentile infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 606 comma 3

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