Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35197 del 02/07/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35197 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI TRIESTE
nei confronti di:
BARDUCCI CLAUDIO N. IL 31/10/1949
ITALESSE SRL
avverso l’ordinanza n. 73/2012 TRIB. LIBERTA’ di TRIESTE, del
03/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
,l .Pt/sentite le conclusioni del PG Dott. P ;.¢..ao etari+9…. i a h 42., cA.Z.4710 ;’e
-t.Z. , I , ‹,€,Q
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RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Trieste, quale giudice del riesame, con l’ordinanza
indicata in epigrafe ha annullato il sequestro preventivo della somma di
euro 203.253 disposto in data 4 dicembre 2012 dal g.i.p. dello stesso
Tribunale ed eseguito il 13 dicembre 2012 dal p.m. su un conto corrente
intestato ad ITALESSE S.R.L.; la predetta misura cautelare reale era
stata emessa in danno di CLAUDIO BARDUCCI, legale rappresentante

Ha proposto ricorso per cassazione il P.M. territoriale, deducendo i
motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I. erronea applicazione di norme processuali;
II. erronea applicazione dell’art. 640-bis c.p. e dell’art. 1 c.p.;
III.

erronea applicazione della legge regionale Friuli Venezia Giulia

(FVG) n. 4 del 2005.
Ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata con
restituzione degli atti al Tribunale di Trieste per nuova decisione.
In data 24 giugno 2013 è stata depositata per conto dell’indagato
una memoria con la quale si chiede dichiararsi inammissibile per difetto
di specificità, o rigettarsi per infondatezza, il ricorso.
All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come
da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in
atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.

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1. Il p.m. lamenta che il Tribunale del riesame non abbia rispettato

«i limiti al potere cognitivo imposti dall’art. 324 c.p.p.», dovendo
escludersi che «il Tribunale, in sede di riesame reale, possa operare
un accertamento sul merito dell’azione penale. Il Collegio, invece, (…)

p.t. della ITALESSE s.r.I., indagato del delitto di cui all’art. 640-bis c.p.

ha di fatto operato una valutazione nel merito invece di limitarsi a
verificare se gli elementi indicati dal GIP fossero congrui rispetto alle
emergenze delle indagini e consentissero di inquadrare la fattispecie
accusatoria in quella tipica»; dopo avere esemplificativamente indicato
alcuni passaggi ritenuti “critici” della motivazione del provvedimento
impugnato, conclude osservando che «il Tribunale si è spinto a rilevare
incongruenze nelle annotazioni di polizia giudiziaria, ad analizzare

valutare l’attendibilità di dichiarazioni testimoniali a causa di una
verbalizzazione riassuntiva che non consentirebbe di comprendere
appieno e di fare chiara luce su un’attività pluriennale svolta dai
consulenti. Inoltre ha analizzato l’esito di dichiarazioni testimoniali
omettendo però di riportare passaggi importanti delle stesse».
Lamenta, inoltre, che il tenore della contestazione sia stato
equivocato, poiché non si è mai inteso affermare che le spese in
relazione alle quali l’indagato aveva chiesto ed ottenuto di accedere ai
contributi regionali de quibus non fossero state sostenute o fossero state
non correttamente contabilizzate; essa fondava, invece,

«sulla

semplice constatazione che le spese sono state sostenute per ragioni
diverse da quelle indicate nel progetto e nella documentazione
presentata in sede di rendicontazione. In questo senso il progetto
sarebbe falso, in quanto esprimerebbe una falsa intenzione, un progetto
che l’impresa non intendeva realizzare con le modalità descritte. Allo
stesso modo le spese rendicontate sarebbero false non perché non
sostenute, ma perché sostenute per ragioni diverse da quelle indicate
nella descrizione delle prestazioni».
Lamenta, infine, che erroneamente il Tribunale abbia qualificato la
legge regionale FVG n. 4 del 2005 come integratrice del precetto penale
di cui all’art. 640-bis c.p., e la abbia peraltro considerata sfornita della
necessaria tassatività, e come tale non idonea a far ritenere false le
dichiarazioni

de quibus;

in realtà, ai fini della ricostruzione della

fattispecie di reato ipotizzata e contestata, la legge regionale de qua non
integra l’art. 640-bis c.p., che peraltro non costituisce norma penale in
bianco, e quindi non necessita «di norma extrapenale che ne definisca
un elemento costitutivo o un presupposto della fattispecie. Nel caso in

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addirittura accertamenti che non fanno parte dell’imputazione, a

esame la norma regionale disciplina semplicemente i presupposti della
concessione del contributo e ne regolamenta finalità e modalità
indicando all’ente gestore quali siano i criteri di erogazione del pubblico
beneficio».

1.1. Appare, pertanto, evidente che le doglianze del ricorrente sono
specifiche, poiché il ricorso indica compiutamente le norme che si

Le contrarie argomentazioni dell’indagato che ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità, appaiono, pertanto,
assolutamente infondate.

2.

Come correttamente premesso dal p.m. nella richiesta di

sequestro e dal g.i.p. nel conseguente decreto, la legge regionale FVG n.
4 del 2005 ha disciplinato la concessione di incentivi alle piccole e medie
imprese (PMI) per l’adozione di misure di politica industriale che
supportino progetti di sviluppo competitivo, al fine di finanziare progetti
innovativi, ed attraverso essi procurare lo sviluppo tecnologico e
commerciale delle PMI beneficiarie e, ad un tempo, dell’intero territorio
della Regione.
Gli strumenti di politica industriale ritenuti idonei alla realizzazione di
progetti di sviluppo competitivo erano specificamente individuati (ex art.
3, comma 2, della legge regionale):
a)

nel ricorso a servizi di consulenza strategica o a programmi di

sviluppo orientati al potenziamento delle competenze manageriali,
funzionali alla realizzazione di progetti di sviluppo competitivo, articolati
in un business plan, finalizzati al raggiungimento di uno o più degli
obiettivi indicati al comma 1;
b) nel ricorso ad un manager a tempo, che operi al fine di conseguire
gli obiettivi posti da un

business plan

predeterminato, nei limiti

temporali indicati dallo stesso business plan e in vista di uno o più degli
obiettivi indicati al comma 1;
c)

nella realizzazione di specifici progetti di ricerca, anche in

collaborazione con Università o Centri di ricerca pubblici e priv

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assume essere state violate, e le ragioni per le quali ciò si assume.

funzionali al raggiungimento di uno o più degli obiettivi indicati al
comma 1;
d)

nel ricorso a meccanismi di trasferimento tecnologico con

Università, Centri di ricerca pubblici e privati, Parchi scientifici e
tecnologici, Ezit e Consorzi di sviluppo industriale anche attraverso
progetti che comportino l’applicazione dell’articolo 3, comma 2, del
decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297 (Riordino della disciplina e

tecnologica, per la diffusione delle tecnologie, per la mobilità dei
ricercatori), e successivi decreti attuativi, funzionali al raggiungimento di
uno o più degli obiettivi indicati al comma 1;
e) nel ricorso cumulativo a più misure tra quelle indicate alle lettere
a), b), c) e d).
Per favorire il ricorso delle PMI agli strumenti anzidetti, la regione
FVG ha ritenuto di concedere degli incentivi economici alle PMI in
qualsiasi forma costituite, singole od associate, aventi sede o almeno
una unità operativa nel territorio regionale (artt. 4 e 5); ai sensi dell’art.
6, le domande di ammissione all’incentivo dovevano, tra l’altro,
contenere, un progetto di sviluppo competitivo, articolato in un business
plan, finalizzato ad uno o più degli obiettivi indicati all’articolo 3, comma
1, con indicazione del responsabile del progetto medesimo.
Ai fini dell’applicazione della legge per business plan si intendeva
(art. 2) un «documento scritto che individua in maniera sintetica ed
esaustiva i contenuti di un progetto imprenditoriale. Il business plan si
compone di una parte descrittiva e di una analitica. Nella parte
descrittiva viene presentato il piano relativo alle azioni strategiche che
l’impresa intende avviare relativamente alla propria missione, al proprio
sistema di offerta, al mercato di riferimento, al posizionamento nei
confronti dei concorrenti, alle politiche di

marketing

e all’assetto

organizzativo. La seconda contiene le proiezioni economico-finanziarie
degli effetti di tali azioni, necessarie a dimostrarne la fattibilità
economica e la sostenibilità finanziaria».

2.1. Il p.m. contesta all’indagato, in qualità di amministratore p.t. di
ITALESSE s.r.I., di avere posto in essere raggiri ed artifizi, consis • •

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snellimento delle procedure per il sostegno della ricerca scientifica e

nell’allegare alla domanda di accesso ai predetti contributi regionali un
business plan contenente voci di spesa false, in quanto effettivamente
sostenute, ma per causali diverse: tenendo conto delle causali effettive,
le spese de quibus non sarebbero state finanziabili ai sensi della legge
regionale FVG n. 4 del 2005, ma lo divenivano in relazione alle (non
vere) causali indicate nel business plan.

leggi sono effettivamente sussistenti, e viziano radicalmente l’impugnato
provvedimento.

3.1. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha già chiarito che la
truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’art. 640bis c.p. costituisce una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui
all’art. 640 dello stesso codice e non figura autonoma di reato (Sez. un.,
n. 26351 del 26 giugno 2002, P.G. in proc. Fedi, rv. 221663); e può
ritenersi assolutamente pacifico (contrariamente a quanto sembra
ritenere il Tribunale) che l’art. 640 c.p. non costituisca norma penale in
bianco, non rinviando per la specificazione od integrazione del precetto
né ad atti normativi di grado inferiore né a provvedimenti della P.A.

3.2. La fattispecie di cui all’art. 640-bis c.p. è senz’altro integrata
anche dalla contestata presentazione di dichiarazioni attestanti cose non
vere (Cass. pen., sez. II, n. 21609 del 18 febbraio 2009, Danese, rv.
244539; sez. II, n. 32849 del 26 giugno 2007, Mannarà, rv. 236966),
cui sia conseguita l’erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico
per effetto di una induzione in errore circa i presupposti che lo
legittimano.
Questi sono i termini entro i quali le false dichiarazioni de quibus
hanno costituito oggetto di contestazione: sono, pertanto, del tutto prive
di giuridico fondamento le copiose argomentazioni del Tribunale in
ordine all’insussistenza di un falso penalmente rilevante ed alla
sussistenza di presunte – ma non bene individuate, e comunque
assolutamente insussistenti – violazioni del principio di tassatività, non
condivisibilmente richiamato.

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3. Ciò premesso, deve rilevarsi che le dedotte violazioni di plurime

3.2.1. Diversa questione (non dibattuta inter partes) è quella dei
rapporti con la fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p., alla quale questa
Corte Suprema (Sez. un., n. 16568 del 19 aprile 2007, Carchivi, rv.
235962) ritiene riconducibili solo o comunque soprattutto quelle
condotte cui non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente
erogatore, precisando che

«l’accertamento dell’esistenza di

ovvero la sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto
previsto dall’art. 316-ter c.p., è questione di fatto, che risulta riservata
al giudice del merito».

3.3. Infine, per quanto riguarda l’ambito del controllo del giudice del
riesame (e, conseguentemente, del giudice di legittimità) sull’esistenza
dei presupposti del sequestro preventivo, si è chiarito che la verifica
delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del
Tribunale del riesame (o della Corte di cassazione) non può tradursi in
una anticipata decisione della questione di merito concernente la
responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato
oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità
tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni
valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla
gravità degli stessi (Sez. un., n. 7 del 23 febbraio 2000, Mariano, rv.
215840; sez. II, n. 12906 del 14 febbraio 2007, P.m. in proc. Mazreku,
rv. 236386; sez. I, n. 21736 dell’i maggio 2007, Ciatrella, rv. 236474;
sez. IV, n. 23944 del 21 maggio 2008, P.m. in proc. Di Fulvio, rv.
240521).
Peraltro, la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba
tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve,
tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata
ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell’individuazione del fumus commissi
delicti, non è sufficiente la mera “postulazione” dell’esistenza del reato,
da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice del riesame nella
motivazione dell’ordinanza deve rappresentare in modo puntuale e
coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente

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un’induzione in errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa,

dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare la congruenza dell’ipotesi
di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare
reale sottoposta al suo esame (Cass. pen., sez. IV, n. 15448 del 14
marzo 2012, Vecchione, rv. 253508; sez. VI, n. 35786 del 21 giugno
2012, Buttini ed altro, rv. 254394).
3.3.1. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha ritenuto di
operare una vera e propria valutazione anticipata della questione di

indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, non consentita, e
comunque irrimediabilmente viziata non soltanto dagli errori di diritto
innanzi evidenziati, ma anche da una serie di valutazioni di fatto
estremamente soggettive, fondate su mere congetture, ma non
corroborate dai risultati delle indagini preliminari sin qui svolte,
valorizzando essenzialmente il dato certo (non contestato neanche dal
p.m.) che le spese de quibus erano state realmente sostenute, ma
trascurando il fatto (altrettanto certo) che la legge regionale FVG n. 4
del 2005 – all’evidenza costituente norma di scopo, le cui finalità sono
già state in precedenza illustrate – ammetteva a contributo (come era
legittimamente in sua discrezionalità, ai fini del soddisfacimento dei fini
di interesse pubblico perseguiti attraverso il programmato sviluppo delle
PMI della Regione in determinati settori) soltanto spese inerenti a
determinate ed analiticamente indicate iniziative d’impresa che si
intendeva incentivare.

3.3.2. Ai fini de quibus, ovvero in relazione alla sussistenza del
necessario fumus, dall’informativa della Guardia di Finanza riepilogativa
degli esiti delle indagini preliminari svolte, emergono elementi senz’altro
sufficienti allo stato a legittimare la misura cautelare reale de qua.
La ITALESSE s.r.I., attraverso il suo legale rappresentante CLAUDIO
BARDUCCI, aveva presentato domanda di ammissione agli incentivi di
cui alla legge regionale FVG più volte citata per un progetto relativo “ad
aumento della competitività aziendale attraverso processo di
internazionalizzazione, progetto di razionalizzazione degli assetti
gestionali ed organizzativi, attività di sviluppo precompetitivo e
progettazione dell’attività di marketing”, indicando tra i costi sostenuti

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merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad

spese varie per “servizi di consulenza strategica e programmi di sviluppo
di competenze manageriali”.
Si era tuttavia accertato che alcune consulenze delle quali si era fatta
menzione nell’ambito del

business plan

presentato per ottenere

l’erogazione del contributo regionale de quo, erano in realtà inerenti alle
ordinarie e preesistenti attività della ITALESSE s.r.I., e non riguardavano
invece – come sarebbe stato necessario ai fini della legittima erogazione

dalla legge regionale.
A questa conclusione si era giunti valorizzando diversi elementi
fattuali puntualmente riepilogati dal p.m. nella richiesta di emissione del
decreto di sequestro preventivo e recepiti dal g.i.p. (al cui
provvedimento – f. 2 ss. – si rinvia); appare sufficiente, in particolare,
ricordare che nessun consulente risultava avere trasfuso il proprio
contributo professionale in un elaborato scritto allegabile al presentato
business plan

(tutti avrebbero reso, infatti, consulenze orali; la

LOVISETTO ha dichiarato di avere sempre fatto così per le consulenze
ordinariamente fornite, ma la cosa mal si concilia con le diverse
connotazioni che la – in ipotesi – fornita consulenza strategica
straordinaria, strumentale alla redazione del business plan finalizzato
all’erogazione del contributo de quo, avrebbe dovuto assumere) e che
quelli tra i consulenti chiamati a rendere sommarie informazioni
testimoniali non hanno dichiarato di essere stati chiamati a fornire
consulenze compatibili con le finalità per le quali soltanto la legge
regionale FVG n. 4 del 2005 prevedeva l’erogazione del contributo.
Se ne è desunto che le consulenze retribuite riguardavano, in realtà,
la normale attività dell’impresa, non i progetti di sviluppo che la legge
regionale intendeva incentivare, falsamente indicati (con necessaria
consapevolezza della menzogna) come causale delle spese di consulenza
esposte e rendicontate; di conseguenza, le spese relative ai compensi
corrisposti ai consulenti de quibus non potevano rientrare tra quelle per
le quali sarebbe stato possibile ottenere l’erogazione del contributo
regionale de quo.

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del predetto contributo – nuove iniziative rientranti tra quelle indicate

3.3.3. E’ dunque fondato il rilievo del p.m., a parere del quale la
materialità del reato di cui all’art. 640-bis c.p. può ben essere integrata
anche da condotte consistenti in una immutatio veri di per sé non
costituente reato di falso penalmente rilevante: nel caso di specie,
invero, la norma de qua è senz’altro integrata, quanto meno allo stato
del mero fumus ad un tempo necessario e sufficiente in questa fase del
procedimento, dall’indicazione tra le spese per le quali è stata richiesta

che riguardavano un oggetto diverso da quello indicato, ed in relazione
alle quali il contributo non sarebbe stato erogabile.

3.3.4. Del tutto non attinenti alla fattispecie concreta appaiono i
riferimenti del Tribunale alla necessità di tutelare la libertà di iniziativa
economica dell’impresa interessata, certamente non messa in
discussione né lesa dal fatto che si ritenga illecita una condotta mirante
ad ottenere un contributo regionale non dovuto.

3.3.5. Deve aggiungersi che la causa ultima dell’erogazione della
somma sequestrata (costituente anticipo rispetto a quella eroganda) è
pur sempre il finanziamento erogabile all’esito della procedura, il che
rende evidente la sussistenza del necessario nesso di strumentalità tra
la condotta illecita ipotizzata e l’erogazione de qua.

3.3.6. I rilievi che precedono evidenziano le ragioni della ritenuta
non condivisibilità delle deduzioni di cui alla memoria depositata per
conto dell’indagato, in più parti evocanti censure inerenti all’insufficienza
o contraddittorietà della motivazione del provvedimento del quale il p.m.
chiede indirettamente il ripristino, non deducibili in questa sede ex art.
325, comma 1, c.p.p.

4. Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato senza rinvio,
apparendo superfluo il rinvio (ex art. 620, comma 1, lett. L), c.p.p.); la
cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28, comma 1, reg.
esec. c.p.p.

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l’erogazione del contributo regionale de quo, di spese per consulenze

P.Q.M.
annulla senza rinvio il provvedimento impugnato. Manda alla
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28, comma 1, reg. esec.
c.p.p.

Così deciso in Roma, udienza camerale 2 luglio 2013.

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