Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35196 del 06/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35196 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti dall’Avvocato Antonino Carollo, quale difensore di Leon
Chuquitarco Gregorio Patricio (n. il 16/10/1976) e Urias Paniagua Francisco
Salvador (n. 1’08/10/1988), e da Azpaio Perez Jherson Larry (n. il
15/09/1992) avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, in data 21/09/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
Osserva:

Data Udienza: 06/06/2013

Con ordinanza del 17/07/2012, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Milano applicava la misura cautelare dell’obbligo di
presentazione alla P.G., in luogo della più grave misura della custodia in
carcere di Leon Chuquitarco Gregorio Patricio, Urias Paniagua Francisco
Salvador e Azpaio Perez Jherson Larry, indagati per quattro episodi di rapina

Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica di Milano
propose appello. Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 21/09/2012,
accolse l’appello del P.M. e in riforma dell’impugnata ordinanza applicò a
Leon Chuquitarco Gregorio Patricio, Urias Paniagua Francisco Salvador e
Azpaio Perez Jherson Larry la misura cautelare della custodia in carcere.
Ricorre per cassazione il difensore di Leon Chuquitarco Gregorio
Patricio e Urias Paniagua Francisco Salvador che, dopo un riassunto di
quanto avvenuto, deduce l’illogicità assoluta e manifesta dell’ordinanza del
Tribunale perché non ha tenuto conto che gli indagati non hanno commesso
altri reati dopo il 15.07.2012. Inoltre evidenzia l’omessa motivazione sulla
personalità degli indagati che sono tutti incensurati. Rileva che il P.M. ha
prodotto atti dai quali emergerebbe un ulteriore episodio di rapina. Il
Tribunale non indica chi sono le P.O. di questa nuova rapina e tiene conto di
tale fatto senza considerare che i difensori solo all’udienza del 21.09.2012 ne
hanno avuto notizia e che i nuovi atti non erano allegati alla richiesta di
misura né erano stati depositati prima dell’udienza.
Il difensore dei ricorrenti conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
Ricorre per Cassazione Azpaio Perez Jherson Larry deducendo la
carenza di motivazione in ordine alla scelta della misura della custodia
cautelare in carcere che deve costituire sempre l’extrema ratio. Rileva inoltre
che il Tribunale non ha dato il giusto rilievo alla sua incensuratezza e al fatto
che la misura applicata è stata sempre rispettata.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
ordinanza.
Motivi della decisione

aggravata.

I ricorsi sono inammissibili per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propongono censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la

come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).
Inoltre i ricorsi sono inammissibili anche per violazione dell’art. 591
lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le
doglianze sono prive del necessario contenuto di critica specifica al
provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali
trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici
o giuridici. Infatti il Tribunale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume la sussistenza
dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato di cui all’articolo
274, lettera C, del c.p.p. (rapine — ben 4 — seriali; gravità e modalità dei fatti;
le confessioni che non sono indice di sicura resipiscenza perché rese in
presenza di gravissimi elementi indiziari a carico degli indagati; le condizioni
soggettive degli indagati tutti privi di lavoro e in gravissime condizioni
economiche, condizioni queste che per loro stessa ammissione li hanno
spinti a commettere i gravi reati di cui sopra; si veda pagina 3 dell’impugnato
provvedimento) e perché ritenga la misura della custodia in carcere l’unica
idonea a preservare l’esigenze cautelari. Sul punto questa Suprema Corte ha
più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che in tema di
esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto dai
criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e
la gravità del fatto e la personalità dell’indagato, sicchè non deve essere
considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere

giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia —

valutate — come nel caso di specie – situazioni correlate con i fatti del
procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità
dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. – dep.
10/09/2007 – Rv. 237240). Inoltre, in tema di scelta e adeguatezza delle
misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in
carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che
rendono inadeguata ogni altra misura (dimostrazione che nel caso di specie

è invece stata data; si veda, in proposito, l’esaustiva motivazione alle pagine
3 e 4 dell’impugnato provvedimento), ma è sufficiente che il Giudice indichi,
con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di
commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi
specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere
come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività
criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione
dell’inidoneità delle altre misure coercitive (Sez. 1, Sentenza n. 45011 del
26/09/2003 Cc. – dep. 21/11/2003 – Rv. 227304; Sez. 6, Sentenza n. 17313
del 20/04/2011 Cc. – dep. 05/05/2011 – Rv. 250060). Il Tribunale non
tralascia di esaminare neppure la circostanza addotta dai ricorrenti relativa al
loro comportamento nel periodo nel quale erano sottoposti alla misura
dell’obbligo di presentazione alla P.G. e con motivazione incensurabile
spiega perché tale comportamento non rileva sulla decisione adottata (si
veda pagina 4 dell’impugnato provvedimento dove si evidenzia sia il breve
arco temporale trascorso dalla commissione dei reati – circa due mesi — sia la
circostanza che gli indagati erano a conoscenza dell’appello del P.M.).
Manifestamente infondata è anche la doglianza dell’Avvocato Antonino
Carollo, difensore di Leon Chuquitarco Gregorio Patricio e Urias Paniagua
Francisco, relativa alla produzione da parte del P.M. di atti dai quali
emergerebbe un ulteriore episodio di rapina. Si deve, infatti, rilevare che il
Tribunale ha tenuto conto solo dei 4 episodi per i quali gli indagati sono stati
arrestati, avendo riconosciuto che il difensore (come egli stesso ammette a
pagina 2 del ricorso) dei due ricorrenti aveva ragione poichè dai documenti
prodotti dal P.M. non emergeva un nuovo fatto di rapina; circostanza questa
che dimostra che, comunque, il difensore aveva avuto modo di controllare gli
atti e di esplicare appieno il suo mandato difensivo. In proposito questa
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Suprema Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio —
che l’appello “de libertate” attribuisce al giudice “ad quem” tutti i poteri “ah
origine” rientranti nella competenza funzionale del primo giudice e comporta
una valutazione globale della prognosi cautelare da esprimere, pur nel
rispetto di quanto devoluto, anche in relazione a circostanze sopravvenute al
momento genetico della modifica operata dal giudice competente ex art. 299
cod. proc. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 19008 del 17/04/2012 Cc. – dep.

17/05/2012 – Rv. 252874; Sez. 6, Sentenza n. 34970 del 21/05/2012 Cc.
(dep. 12/09/2012) Rv. 253331; si veda anche Sez. U, Sentenza n. 18339 del
31/03/2004 Cc. – dep. 20/04/2004 – Rv. 227357).
A fronte di tutto ciò i ricorrenti contrappongono, quindi, solo generiche
contestazioni in fatto, con le quali, in realtà, si propone solo una non
consentita — in questa sede di legittimità — diversa lettura del materiale
probatorio raccolto senza evidenziare alcuna manifesta illogicità o
contraddizione della motivazione. Inoltre, tutte le censure dei ricorrenti non
tengono conto delle argomentazioni del Tribunale. In proposito questa Corte
Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono
inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono
essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei
motivi dedotti. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 reg.
esec. cod. proc. penale.

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P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, della somma di mille euro alla cassa delle

Così deliberato in camera di consiglio, il 06/06/2013.

ammende. Si provveda a norma dell’art. 28 Reg. Esec. cod. proc. penale.

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