Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35190 del 19/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35190 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROMANO MARIO N. IL 01/02/1956
avverso l’ordinanza n. 4/2013 TRIBUNALE di LIVORNO, del
21/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

Data Udienza: 19/06/2014

Ritenuto in fatto e in diritto.

1.

Con ordinanza emessa il giorno 21.2.2013 il Tribunale di Livorno, in

composizione collegiale ed in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza
formulata da ROMANO Mario di applicazione del regime del reato continuato,
relativamente ai reati giudicati con sentenze Corte d’Appello di Salerno 10.9.1998,
Corte d’Appello di Milano 28.10.1999 e Tribunale di Sanremo 23.11.1999, sul

a ravvicinata distanza l’uno dall’altro, risultavano consumati in zone diverse d’Italia e
lontane tra loro, cosicchè nulla accreditava una originaria e comune ideazione. Veniva
aggiunto che i reati giudicati con la seconda sentenza suindicata risultavano frutto di
mera occasionalità, in quanto la rapina di pistola cal. 9 al carabiniere Carmelo Romano
era seguita ad un controllo dell’auto a bordo della quale viaggiava il prevenuto,
all’epoca latitante. Nulla accreditava la riconducibilità ad una progettazione unitaria del
fatto di ricettazione e porto di arma di cui alla terza sentenza.

2. Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto
personalmente, per dedurre violazione dell’art. 671 cod.proc.pen. e vizi motivazionali.
Il Tribunale avrebbe escluso apoditticamente la programmazione in capo al ricorrente
di un unitario progetto a cui si sarebbe ispirato nel porre in essere i reati che furono
commessi a pochi giorni di distanza; con la prima sentenza del resto erano stati unificati
i reati commessi il 5 settembre ed H 9 dicembre 1996. I reati di cui alla seconda
sentenza si collocavano il 2.12.1996 e quelli giudicati con la terza sentenza andavano
fatti risalire al 18.1.1997. Dunque era assolutamente plausibile che tutti detti reati
rispondessero ad un disegno unitario deliberato nelle linee essenziali e teso a
conseguire un determinato fine. Deponevano in senso favorevole all’accoglimento
dell’istanza i parametri del luogo e del tempo del commesso reato, dell’omogeneità
delle azioni , della causale, della tipologia dei reati e dei beni tutelati.

3.

Il ricorso è basato su motivi in fatto, diretti a stimolare una diversa

valutazione, ritenuta preferibile, non consentita in sede di legittimità. Il giudice
dell’esecuzione ha rilevato l’assoluta mancanza di ancoraggio per poter desumere la
sussistenza di un’unica ideazione, definita ab origine nei suoi particolari ancorchè solo di
massima, che potesse comprendere i vari episodi di reato, seppure collocantisi in un
arco temporale ristretto. Correttamente non è stata valorizzata l’omogeneità delle
azioni, che di per sé è caratteristica troppo generica per accreditare l’unitarietà, mentre
è stata considerata dirimente l’occasionalità del fatto occorso il 2.12.1996, quando
l’istante venne sottoposto ad un non prevedibile controllo delle forze di polizia, che
portava ad escludere qualsivoglia programmazione in una fase precedente.

2

presupposto che si aveva riguardo a reati che , seppure della stessa indole e commessi

Non può infatti essere confusa l’unicità di disegno (che deve abbracciare tutti i
reati che dell’ideazione siano esecutivi e che debbono essere delineati nelle loro linee
essenziali) con la soggettiva tendenza a delinquere, anche se focalizzata in un
determinato tipo di reato, nel senso che la continuazione non può essere confusa con il
diverso concetto dell’attuazione di uno stile di vita dedito al delitto. La valutazione
operata è stata espressa nell’ambito della plausibile opinabilità di apprezzamento e non

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare
in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla cassa della ammende.
Così deciso in Roma, 19 Giugno 2014.

può essere oggetto di contestazione in questa sede di legittimità.

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