Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35185 del 23/05/2017

Penale Sent. Sez. 3 Num. 35185 Anno 2017
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso la sentenza del 26/04/2016 della Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di
Taranto

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci , che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 aprile 2016, la Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di
Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto con la quale
A.A. era stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 comma 2
cod.pen. e 2 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre
1983, n. 638, per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori, previa dichiarazione di non
doversi procedere per le omissioni fino a giugno 2005, perché estinte per

Data Udienza: 23/05/2017

prescrizione, e assolto dal reato in relazione alle omissione relative al 2006,
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ha ridotto la pena inflitta a
mesi due di reclusione e C 125,00 di multa.

2. Avverso la sentenza, A.A. ha proposto ricorso per cassazione,
a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo due
motivi di ricorso enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
come disposto dall’art. 173 disp.att.cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1

elemento psicologico del reato. La Corte d’appello sarebbe pervenuta
all’affermazione della responsabilità penale in presenza di una situazione di crisi
finanziaria della società Europolice srl che avrebbe determinato l’impossibilità di
adempiere al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e cagionato il
il fallimento della società medesima. Secondo il ricorrente, la crisi finanziaria era
assolutamente improvvisa e non addebitabile alla gestione imprenditoriale,
sicchè mancherebbe il dolo del reato. In particolare, la corte territoriale avrebbe
trascurato gli ultimi orientamenti dei giudici del merito e della Corte di
cassazione univoci nel ritenere l’assenza di dolo nel caso di una improvvisa crisi
di liquidità non imputabile all’imprenditore.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla
prova della corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori, fondata unicamente
sul modello DM10.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Deve preliminarmente darsi atto che la dichiarazione di astensione
dalla partecipazione all’udienza del difensore è pervenuta via fax in data odierna,
pervenuta nella cancelleria della Terza Sezione della Corte di cassazione alle ore
12,57, ed è stata consegnata al Collegio in camera di consiglio allorquando la
fase di discussione di tutti i ricorsi era già esaurita come attestato dal verbale di
udienza nel quale si dà atto che la discussione era terminata alle ore 11.00.

5. Ciò posto, il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi
ripetitivi in quanto già devoluti nell’appello e da quei giudici vagliati e disattesi
con motivazione immune da censure di illogicità e corretta sul piano del diritto
avendo costoro fatto applicazione dei principi consolidati della giurisprudenza di
legittimità.

lett. e) cod.proc.pen in relazione all’illogicità della motivazione in punto

6. Quanto al profilo del vizio di motivazione in relazione all’elemento
soggettivo del reato, è noto che, secondo il costante orientamento della Corte di
cassazione, l’imputato ben può invocare la situazione di crisi economica che
determina l’impossibilità di adempimento dell’obbligazione, quale causa di
esclusione della responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione
riguardanti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi
economica, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità
tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266

prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni
tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli
per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza
di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il
debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e
a lui non imputabili (Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
7. Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che l’onere allegativo
e probatorio non è stato assolto avendo i giudici del merito ritenuto la deduzione
generica (pag. 3), sicchè il motivo generico all’origine resta viziato da
inammissibilità anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non
pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Botta,
Rv. 262700).
8. Peraltro, la sentenza impugnata dà conto del fatto che lo stato di
insolvenza, che aveva condotto al fallimento la società ben tre anni dopo
l’inadempimento, non libera il sostituto di imposta dal versamento dei contributi
sulle retribuzioni che risultano corrisposte ai lavoratori per il periodo in
contestazione e ciò in quanto il datore di lavoro è tenuto a ripartire le risorse
esistenti all’atto dell’erogazione delle retribuzioni in modo tale da poter assolvere
il debito verso l’INPS, anche se ciò comporta un’impossibilità di pagare i
compensi nel loro intero ammontare. Ha poi correttamente rilevato che il
fallimento non dà luogo all’impossibilità assoluta all’adempimento poiché la legge
concede un termine al debitore per avvalersi della condizione di punibilità di cui
al comma primo-bis dell’art. 2 della L. 638 del 1983, termine entro il quale
l’imprenditore fallito è tenuto a sollecitare il curatore frattanto nominato – o, in
alternativa, il giudice – perchè adempia al pagamento nel termine trimestrale
decorrente dalla contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della
violazione (Sez. 3, n. 19574 del 21/11/2013, Assirelli, Rv. 259741). Peraltro nel
caso in esame il fallimento era intervenuto a tre anni di distanza
dall’inadempimento dell’obbligazione di versamento.

3

dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190). In altri termini, l’indagato deve allegare la

9. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso con cui il
ricorrente si duole del mancato rispetto dell’onere probatorio gravante sul
Pubblico Ministero circa la prova dell’effettivo pagamento delle retribuzioni.
La sentenza della Corte d’appello trae la prova del pagamento della
retribuzione (e del conseguente colpevole omesso versamento delle ritenute da
parte del datore di lavoro) dai modelli DM/10, inviati dall’imputato alla sede
INPS, da cui risultava la corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti, e dalla
testimonianza del funzionario dell’INPS.

giurisprudenza di legittimità, in materia di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro, l’onere incombente sul
pubblico ministero di dimostrare l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai
lavoratori dipendenti è assolto con la produzione del modello DM 10, con la
conseguenza che grava sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla
situazione rappresentata nelle denunce contributive (ex multis Sez. 3, n. 43602
del 09/09/2015, Balione, Rv. 265272; Sez. 3, n. 21619 del 14/04/2015, Moro,
Rv. 26366).

10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 23/05/2017

Il Consi

ensore

Sul punto, è sufficiente qui ricordare che, con orientamento costante della

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