Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35178 del 22/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35178 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONO OTTAVIO N. IL 16/09/1971
avverso la sentenza n. 2090/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 27/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
e
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. c7224
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 22/05/2013

BONO Ottavio, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 27.5.2011 con la
quale la Corte d’Appello di Palermo, confermando la decisione 3.3.2010 del
Tribunale di Marsala, lo ha condannato, previa la riduzione di legge per il
rito processuale prescelto, alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione e
300,00 E di multa per la violazione degli artt. 81 cpv., 629 cp; art. 4 1.
110/75 (fatti commessi in Campobello di Mazara il 25.8.2007).
La difesa del ricorrente richiede l’annullamento della decisione impugnata
denunciando:
§1) vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione (art. 606 F\
comma lett. e) cpp) perchè: a) la Corte d’Appello, pur dando atto che
l’imputato era stato assolto dal Tribunale dall’accusa di estorsione in danno
di VALENZA Angelo e che tale aspetto non era stato esplicitato nel
dispositivo della sentenza, non ha provveduto ad integrare il dispositivo nel
senso anzidetto, limitandosi ad affermare che l’avvenuta assoluzione era
implicitamente desumibile dal testo del provvedimento impugnato e dal
trattamento sanzionatorio; b) è erronea la qualificazione giuridica del fatto,
mancando nel caso di specie il conseguimento di un ingiusto profitto, infatti
pur nella previsione di un’attività abusiva, il compenso richiesto era pur
sempre riconducibile ad un’attività svolta; c) è illogica la decisione sul
punto relativo al requisito della offensività del manganello sequestrato
all’imputato; d) la contenuta pericolosità sociale dell’imputato avrebbe
dovuto indurre i giudici di merito a non applicare la misura di sicurezza, ma
a disporre in alternativa lo affidamento dell’imputato al servizio sociale di
salute mentale territorialmente competente.
RITENUTO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, sub a) è fondato e va accolto. Dalla lettura della
decisione di primo grado, sostanzialmente confermata dalla stessa Corte
d’Appello, espressamente adita sul punto, si evince che l’imputato è stato
tratto a giudizio per rispondere di due diversi episodi di estorsione. Per
quello commesso in danno di VALENZA Angelo, il tribunale ha ritenuto di
assolvere l’imputato, senza peraltro enunciare la decisione nel dispositivo
della sentenza, facendone riferimento solo nella motivazione.
La Corte d’Appello adita sul punto, ha errato nell’affermare che
l’assoluzione dell’imputato dal fatto estorsivo in danno del VALENZA
Angelo sarebbe desumibile implicitamente anche dalla natura della sanzione
penale inflitta, senza provvedere all’enunciazione della decisione nel
dispositivo.
Invero, il giudice, statuendo sui fatti oggetto di processo penale, ha il
preciso onere di definire, nel dispositivo quanto è stato portato alla sua
cognizione, pronunciando sulla relativa domanda formulata dalle parti,
ricollegata al tenore dell’imputazione.
Nel caso in esame la Corte territoriale non ha posto riparo all’errore già
commesso dal Tribunale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Poichè dalla lettura della sentenza del tribunale si evince in modo
inequivoco che l’imputato è stato mandato assolto per l’episodio di
estorsione in danno del VALENZA Angelo [v. Pag. 9 della sentenza del
Tribunale], senza che ciò fosse enunciato nel dispositivo, e che dalla lettura
della sentenza della Corte d’Appello, neppure da quest’ultima, è stato posto
riparo alla mancanza, in accoglimento della doglianza espressa dalla difesa,
deve essere annullata la sentenza della Corte d’Appello in parte qua, come
da dispositivo di cui infra.
Le restanti questioni dedotte dalla difesa vanno rigettate. Sono doglianze
generiche nel contenuto, meramente ripropositive di identiche censure già
dedotte in sede di appello, che attengono ad aspetti di merito. I
n particolare, va rilevato che in merito alla qualificazione giuridica del
delitto di estorsione, la Corte territoriale ha messo in evidenza che
l’imputato (posteggiatore abusivo) ha richiesto al FERRARA Riccardo il
pagamento di una somma per l’attività di posteggiatore, con modalità tali da
integrare la fattispecie di cui all’art. 629 cp, adoperando un tono di voce
minaccioso, simulando l’atto di colpire il veicolo della persona offesa, ed
impedendo lo spostamento del mezzo. Si tratta di modalità della condotta
che non si esauriscono nella volontà di conseguire un compenso dovuto per
una legittima prestazione lavorativa, ma costituiscono lo strumento di
violenta “persuasione” rivolto alla persona offesa, per il conseguimento di
un profitto derivante da un’ attività svolta in modo non legittimo e senza
avere avuto alcun incarico dalla persona offesa. Da questo punto di vista,
manca in capo all’imputato un diritto di azione processuale – civile anche
solo astratta per la tutela di un credito maturato nei confronti del
FERRARA; l’atto compiuto dall’imputato, per le modalità della condotta
non può che essere inquadrato nel delitto di estorsione. Va qui infatti
ribadito il condiviso principio per il quale: “Salvo che per il parcheggio non
vi sia una tariffa determinata con provvedimento dell’autorità comunale, il
posteggiatore, pur se autorizzato dall’autorità di pubblica sicurezza a
svolgere tale mestiere, non ha alcun diritto a pretendere un compenso dagli
automobilisti che lasciano in sosta la loro vettura, a meno che costoro non
gliela abbiano consegnata, facendogli obbligo di custodirla (artt. 1766 e
segg. cod. civ.). Pertanto, è ravvisabile il reato di tentata estorsione, e non
già quello di tentata violenza privata aggravata a carico del posteggiatore il
quale cerchi di costringere con la violenza un automobilista che aveva
lasciato in sosta l’auto in zona ove non era stato istituito alcun parcheggio
autorizzato, a corrispondergli una somma di denaro. [Cass. II^ 3.11.1993 n.
163].
La censura di cui alla lettera 1 c) è inammissibile poichè induce un giudizio
di fatto sulla ritenuta “pericolosità” del manganello sequestrato
all’imputato, oggetto che pacificamente rientra fra quelli previsti dall’art. 4
1. 110/75 I^ comma essendo uno “sfollagente”, di cui è vietato il porto in
modo assoluto fuori della propria abitazione. L’illecito non viene meno,
neppure se si voglia ritenere che quanto sequestrato rientri fra gli oggetti
sottoposti alla disciplina del Il” comma dell’art. 41. 110/75; dalla decisione
impugnata non risulta che l’imputato abbia fornito una qualche
giustificazione delle regioni per le quali ha portato il manganello fuori della
propria abitazione.

La censura di cui alla lettera 1 d) è inammissibile; la difesa senza porre in
evidenza una specifica violazione di legge, esprime riserve sulla legittimità
della decisione della Corte di appello, formulando considerazioni di merito
ricollegate al tipo di cura ritenuto più adeguato ai fini del contenimento di
aspetti della personalità dell’imputato senza in ciò prospettare questioni di
diritto. La decisione sul punto della Corte di Appello non è censurabile sul
piano del merito, la motivazione è adeguata e sfugge ad ogni critica.
Per le suddette ragioni

Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza limitatamente all’episodio
ascritto in danno di Valenza Angelo e per l’effetto assolve il BONO Ottavio
dalla relativa imputazione perchè il fatto non sussiste.
Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma 22.5.2013

P.Q.M.

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