Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3516 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3516 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCOLA NICOLA N. IL 17/06/1960
avverso la sentenza n. 3139/2007 CORTE APPELLO di GENOVA, del
24/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
fr L…4.0—•
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. – C. –C
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/10/2013

FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Scola Nicola, avverso la sentenza della Corte di appello di Genova in data 24
settembre 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa il 26 febbraio 2007, di
condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale e, altresì, del reato di cui all’articolo
218 legge fallimentare, escluse le aggravanti di cui all’articolo 219 commi uno e due I. cit. ed applicata la
continuazione.
I reati sono stati addebitati al ricorrente nella qualità di legale rappresentante della ditta individuale “La

Deduce
1)

la violazione del principio del ne bis in idem, determinata dalla circostanza che l’imputato è stato
già condannato, relativamente al medesimo fallimento, con sentenza del 28 settembre 2007, n.
574, versata in atti.
Chiede l’applicazione del principio giurisprudenziale espresso dalla Cassazione con sentenza
numero 1762 del 2007, rv 239096 ( conformi sent. del 1998, rv 211052; sent. del 2006, rv 235762)
secondo cui il reato di bancarotta, a condotta eventualmente plurima , deve ritenersi addebitato
anche quando all’imputato sia stato attribuito uno solo dei fatti contemplati dalla legge
fallimentare, in relazione al medesimo fallimento. In tale ipotesi, l’eventuale accertamento di altri
fatti inerenti la medesima bancarotta non potrebbero essere contestati e non sono nemmeno
capaci di integrare l’aggravante dell’articolo 219 legge fallimentare.
Si tratta di un principio, prosegue il difensore, operativo anche nel caso -qual è quello di specie- nel
quale oggetto di contestazione sono ipotesi riconducibili a diversi articoli della legge fallimentare;

2)

la violazione degli articoli 216 e 217 legge fallimentare.
Sostiene il difensore che la sentenza avrebbe qualificato erroneamente il fatto di bancarotta, ai
sensi dell’articolo 217 legge fallimentare.
Prosegue affermando che l’imputato era una mera “testa di legno”, utilizzata dal vero
amministratore Barontini; per il primo, pertanto, avrebbe dovuto valere la giurisprudenza della
cassazione che non ritiene sufficiente, ai fini della attribuzione della responsabilità, la rilevazione
della carica di amministratore formale, ma richiede la prova della consapevolezza della condotta,
posta in essere dall’amministratore di fatto.
Questa ultima circostanza- e cioè l’attività propria dell’amministratore di fatto Barontini, sarebbe
stata il frutto della deposizione del teste Miglio.
Non ricorrerebbe invece la possibilità di configurare il dolo della bancarotta documentale in capo
all’imputato, come pure l’elemento psicologico del reato di bancarotta semplice per il quale
sarebbe richiesto ugualmente il dolo;

3)

il vizio della motivazione in relazione al reato di cui al capo B.
Fà notare come il reato sia prescritto ed inoltre come lo stesso sia stato configurato con riferimento
a una condotta attribuita all’imputato (la consegna all’istituto di credito, di fatture false concernenti
presunti rapporti commerciali con una società tedesca che li aveva disconosciuti) in ordine alla
quale manca una prova rassicurante;

4)

la violazione dell’articolo 219 legge fallimentare, con riferimento all’ipotesi attenuata in esso
previste.
Non era stato infatti cagionato un danno ai creditori.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.
1

rondine ingrosso ortofrutticoli di Scola Nicola” dichiarata fallita il 7 maggio 2001.

N.-.,..,

I

Il primo motivo è infondato.
Prendendo le mosse dal principio, affermato da parte della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui è
deducibile nel giudizio di cassazione la preclusione del giudicato formatosi sul medesimo fatto (v. Rv.
250796), va evidenziato che la sentenza cui ha fatto riferimento il ricorrente risulta essere, dall’esame del
fascicolo a disposizione, quella di patteggiamento ex art. 444 cpp, emessa dal Gup di Savona, in relazione al
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, concernente il medesimo fallimento di cui al capo di
imputazione per il quale è il processo in esame.
Sulla base di tale rilevazione , può affermarsi che la questione posta è infondata, tenuto conto che , nel
documentale e per quella di ricorso abusivo al credito.
Il caso va risolto, cioè, alla luce del principio, enunciato nella sentenza delle SSUU del 2011, rv 249668 ,
secondo cui la condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello
stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale.
Il secondo motivo è ugualmente infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta, mentre, dal
punto di vista oggettivo, non è dubbio che l’amministratore di diritto risponde unitamente
all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, dal
punto di vista soggettivo, si richiede la generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore
effettivo, distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali ovvero espone o riconosce passività
inesistenti, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi nei quali l’azione
dell’amministratore di fatto si è estrinsecata. E tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta
dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore(Rv. 215199;
rv 233758).
In verità, altra parte della giurisprudenza ( v. rv 247251 e 228713) ritiene sufficiente, ad affermare la
responsabilità del soggetto investito solo formalmente della amministrazione della impresa fallita, in
ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale, la titolarità della carica, atteso il diretto e
personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.
Tuttavia, anche aderendo al primo principio, più oneroso per l’accusa, il motivo di doglianza resta destituito
di fondamento atteso che la tesi dell’essere stato, l’imputato, una mera “testa di legno” non risulta
accreditata in punto di fatto dalla Corte territoriale: questa ha aggiunto, a sostegno della propria tesi, il
rilievo che non risulta avvenuta la estensione del fallimento della società; che l’imputato ha comunque
patteggiato, nel diverso processo, una fattispecie di bancarotta per distrazione, indicativa della propria
compromissione anche soggettiva nella vicenda; che , infine, non potrebbe invocare, in senso liberatorio,
secondo la costante giurisprudenza, il fatto di essersi avvalso, per la tenuta della contabilità, di un
collaboratore.
Fondato è invece il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui con esso si deduce la intervenuta prescrizione
del reato di cui all’articolo 218 legge fallimentare.
Essendo state escluse, già dal giudice di merito, le circostanze aggravanti contestate ed in particolare quella
speciale di cui al primo comma dell’articolo 219 legge fallimentare, il reato contestato al capo B deve
intendersi prescritto, in assenza di cause di sospensione del decorso del termine prescrizionale, dopo sette
anni e sei mesi e quindi il 7 novembre 2008, dopo la sentenza di primo grado.
Nella specie, non possono ritenersi ricorrenti cause evidenti di proscioglimento nel merito, tenuto conto
che, con il ricorso, la parte deduce presunti vizi di motivazione in ordine al ricorrere di elementi della
2

processo che ci occupa, il ricorrente risulta condannato per la diversa ipotesi di bancarotta fraudolenta

v
fattispecie e non la insussistenza del reato: vizi che, ovviamente, non possono essere emendati dal giudice
del merito per la necessità della immediata declaratoria della causa di estinzione del reato.
Il quarto motivo va qualificato come inammissibile perché trascura che il giudice del merito ha ritenuto
accertata, la forte entità del danno, attraverso la più volte evocata sentenza di patteggiamento.
Tutto ciò premesso, questa Corte può procedere alla rideterminazione della pena risultante dalla
eliminazione di quella inflitta per il reato prescritto, trattandosi di un calcolo matematico, in assenza di
valutazioni discrezionali di merito.
continuazione per il reato satellite di cui al capo B) ( v. anche pag. Il della sentenza impugnata), la pena
residua viene rideterminata in anni due di reclusione.
PQM
annulla la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’art. 218 I. fall., per essere lo
stesso estinto per prescrizione e ridetermina la pena per il residuo reato di bancarotta fraudolenta
documentale, in anni due di reclusione. Rigetta nel resto.
Così deciso il 4 ottobre 2013
Il Presi

il Cons. est.

Considerato, dunque, che deve essere eliminato l’aumento di due mesi di reclusione, inflitto a titolo di

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