Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3515 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3515 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALATUCCI MARCO N. IL 10/05/1981
avverso la sentenza n. 1456/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del
09/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. S -Sp, i4 ac-che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

eoeuvea.”00#1.

Data Udienza: 04/10/2013

FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Palatucci Marco, avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, in
data 9 luglio 2012, con la quale – per quanto qui d’interesse- è stata confermata quella di primo grado,
pronunciata nel 2008, di condanna in ordine al reato di lesioni personali volontarie, cagionate sferrando
pugni e aggravate dall’uso di un coltello a serramanico, fatto commesso in danno di Salvatore Vincenzo il 28
luglio 2004.
All’imputato erano state concesse, già in primo grado, le circostanze attenuanti generiche reputate
equivalenti alle aggravanti.
modalità descritte nel capo d’imputazione, ritenute provate nel processo soltanto attraverso l’acquisizione,
ai sensi dell’articolo 500 comma quattro cpp, delle dichiarazioni che la persona offesa aveva rilasciato nel
corso delle indagini preliminari, effettuando anche il riconoscimento fotografico del responsabile.
In dibattimento, le opposte dichiarazioni del teste erano state ritenute non credibili in ragione del forte
stato di intimidazione nel quale lo stesso risultava versare.
Deduce la difesa la violazione di legge.
Le dichiarazioni accusatorie erano state utilizzate in violazione degli articoli 500 comma 4 e 213 c.p.p.,
sostenendo altresì il difensore che il riconoscimento fotografico che si assumeva effettuato nelle indagini
preliminari, avrebbe dovuto trovare conferma in successive dichiarazioni dibattimentali del teste.
Invero, nel caso di specie, le dichiarazioni, rese durante le indagini preliminari, avrebbero potuto essere
acquisite soltanto se fossero emerse, nel dibattimento, fattispecie di inquinamento probatorio derivanti da
violenza o minaccia o dalle altre cause previste dalla legge: in mancanza di tali situazioni, le dichiarazioni
rese dinanzi alla Pg, potevano servire soltanto per la valutazione dell’attendibilità del teste e non come
prova.
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva ritenuto di apprezzare, a carico del teste, una sudditanza
psicologica nei confronti dell’imputato, che la giurisprudenza non ritiene tale da configurare una delle
ipotesi di cui all’articolo 500 comma quattro c.p. p.
Il ricorso è manifestamente infondato e tale condizione, qualificante i motivi di ricorso, rende l’atto
d’impugnazione incapace di determinare la valida instaurazione del rapporto processuale con la
conseguenza che la decorrenza dei termini prescrizionali non si è prodotta dopo la sentenza di appello. E,
alla data del 9 luglio 2012, di pronuncia di tale decisione, il termine della prescrizione non era interamente
decorso per la incidenza di cause di sospensione per oltre sei mesi.
Invero, tornando al merito del ricorso, deve rilevarsi che il difensore sostiene l’inesistenza dei requisiti per
la configurazione dell’ipotesi di cui all’articolo 500 comma quattro c.p.p., invece accertati dal giudice del
merito, sulla base di considerazioni di fatto alle quali difensore non contrappone alcun elemento diverso e
decisivo, eventualmente trascurato dal giudice a quo.
È noto che la giurisprudenza di questa Corte interpreta la norma appena citata nel senso che, ai fini di
ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro per non
deporre o deporre il falso, se anche non si richiede al giudice il raggiungimento di una prova certa, si
pretende però che il suo convincimento sia fondato su elementi sintomatici e rivelatori dell’intimidazione
subita dal teste, connotati da precisione e persuasività, non potendo ritenersi sufficienti i meri sospetti o
soltanto il timore soggettivo di poter essere minacciato (Sez. 1, Sentenza n. 39850 del 01/03/2012 Ud.
(dep. 09/10/2012) Rv. 253951).
1

La vicenda è consistita in un atto di bullismo che aveva visto il Palatucci aggredire la persona offesa con le

In altri termini, quel che è richiesto dall’articolo 500 comma quarto è la prova della oggettiva esposizione
del teste ad un atto quantomeno intimidatorio ovvero di subornazione, proveniente dall’imputato, nel
senso che quella condizione deve risultare il frutto di una concreta interrelazione fra i due soggetti,
instaurata anche attraverso manifestazioni solo dedotte dalla rilevazione dei loro effetti e non anche
direttamente percepite, nel loro divenire, dal giudice.
Ebbene, il giudice del merito aveva argomentato, al riguardo, di potere apprezzare lo stato di intimidazione
oggettiva del teste, da intendersi sottoposto a pressioni, come era possibile desumere non solo dal
contegno spaventato del medesimo, alla presenza in aula dell’imputato- soggetto gravato da precedenti
penali- ma soprattutto dal tentativo del medesimo teste, non solo di ridimensionare la responsabilità del
peraltro connotati da rilevante violenza fisica- si fossero mai verificati, addirittura sostenendo di non avere
mai apposto alcuna firma in calce al verbale redatto dalla PG.
È indubbio che tali rilievi concorrano configurare, in capo al teste, non già una condizione di mera
soggezione alla personalità forte dell’imputato bensì lo stato di vera e propria intimidazione attribuibile
all’imputato, sia pure attraverso la sua sola presenza in aula.
A fronte della ricostruzione prospettata dalla Corte d’appello e delle conclusioni da essa raggiunte, il
difensore si limita a proporre una diversa ricostruzione delle stesse emergenze, così chiedendo
inammissibilmente alla Corte di cassazione di incidere, ribaltandolo, su quello che è stato un tipico giudizio
di merito, riservato alla sede propria.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della
cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a
versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.
Così deciso il 4 ottobre 2013

Il jiride

°

il Cons. est.

ricorrente, quanto di ribaltare l’intero contenuto delle dichiarazioni, fino a negare che i fatti denunciati-

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