Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35126 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35126 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIURLIA STEFANO N. IL 29/11/1969
avverso l’ordinanza n. 260/2014 TRIBUNALE di LECCE, del
04/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
()Adeuu.A;.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 17/07/2014

FATTO E DIRITTO

Ciurlia Stefano ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso l’ordinanza 4.4.14 del Tribunale del
riesame di Lecce con la quale, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal locale Procuratore
generale avverso l’ordinanza 28.8.13 con cui la Corte di appello di Lecce aveva sostituito la misura

misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui agli artt.110, 416-bis c.p., in ordine al
quale il Ciurlia è stato condannato dalla medesima Corte alla pena di anni sei di reclusione.
Deduce il ricorrente violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) c.p.p. assumendo che per il Ciurlia,
concorrente esterno nel sodalizio mafioso per il quale non vigeva, in assenza dell’affectio societatis,
la presunzione assoluta di pericolosità, potendo la presunzione essere superata in caso di non
ripetibilità della situazione che aveva dato luogo al contributo, mancavano elementi e circostanze
dimostrativi di una potenzialità di reiterazione dei reati contestati.
All’imputato, infatti, era stata contestata solo la fornitura di schede telefoniche, per il periodo di
circa una settimana rispetto al più ampio scenario di vita dell’associazione, e tale condizione era di
fatto irripetibile attesi il decorso del tempo, il perdurante stato di detenzione di tutti gli associati e la
temporaneità del contributo prestato al sodalizio, per cui — conclude il ricorrente — non era
prospettabile in concreto la ripetibilità della situazione di fatto che aveva dato luogo a quel
contributo dell’ extraneus.
Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.
Come correttamente rilevato dal tribunale salentino nel provvedimento impugnato, la presunzione
di assoluta adeguatezza della custodia in carcere, di cui al comma 3 dell’art.275 c.p.p., opera anche
nel caso di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.
Pur dopo la sentenza n.57 del 27 marzo 2013 della Corte costituzionale, infatti – con la quale è stata
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.275, comma 3, secondo periodo, c.p.p., come
modificato dall’art.2, comma 1, del d.l. 23 febbraio 2009, n.11 (convertito dalla 1. 29 aprile 2009,

della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, è stata disposta l’applicazione della

n.38), nella parte in cui, nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine
ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416-bis c.p. ovvero al fine di
agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare
in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari,
non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto,

dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure – , poiché tale
pronuncia ha riguardo all’ipotesi della presunzione di adeguatezza per i delitti aggravati ex art.7
1.n.203/91, essa non ha alcuna ricaduta sulle imputazioni di concorso esterno, che si riferiscono a
condotte espressive dei connotati di illiceità previsti dall’art.416-bis c.p. (v. Cass., sez.I, 17 ottobre
2013, n.2946).
Per tali condotte, oltre a persistere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari —
superabile solo allorchè risulti esclusa la possibilità del ripetersi della situazione che ha dato luogo
al contributo dell’ extraneus alla vita della consorteria mafiosa – , vige, una volta accertata la
sussistenza delle esigenze cautelari, il principio della adeguatezza della sola misura cautelare
intramuraria a soddisfare le predette esigenze.
Correttamente, pertanto, i giudici del riesame hanno affermato che solo ove possa del tutto
escludersi — circostanza che non si rinviene nel caso in esame, anche alla luce delle considerazioni
meramente assertive della difesa — che ricorra qualsiasi tipo di esigenza cautelare e di qualsiasi
grado, è possibile non applicare alcun tipo di misura, ma poiché, nella specie, la Corte di appello,
nel provvedimento impugnato dal P.G., non ha escluso la ricorrenza delle esigenze cautelari,
affermando solo la ‘eccessività’ della misura intramuraria applicata a Ciurlia Stefano, sostituendola
con quella degli arresti domiciliari, tale sostituzione ha violato la presunzione ancora vigente di cui
al comma 3 dell’art.275 c.p.p.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

2

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda la cancelleria per gli adempimenti esecutivi.

Roma, 17 luglio 2014

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