Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35115 del 06/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35115 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIOVESAN GIORGIO N. IL 07/08/1956
PRESOT BEPPINO N. IL 28/06/1954

avverso la sentenza n. 209/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
04/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/06/2013 la relazioye fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso er
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 06/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Udine, Sezione Distaccata di Palmanova, con
sentenza del 13/10/2010, assolse per non avere commesso il fatto Piovesan
Giorgio, Presot Beppino e Zammuto Riccardo dell’imputazione di aver causato,
per colpa (il primo in qualità di datore di lavoro della P & B Costruzioni, il
secondo, di coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dai lavori e il

operaio dipendente della Tecnord s.r.I., la quale aveva attribuito in subappalto
alla P. & B Costruzioni s.r.l. opere al grezzo afferenti al cantiere sito in
Lignano Sabbiadoro, via Padana, 37. Per quel che qui rileva si contestava al
Piovesan e al Presot di non avere individuato le misure atte a minimizzare i
rischi, approntando i dispositivi di protezione del caso, dalle cadute dall’alto,
di una delle quali era rimasto vittima il Lecinni, il quale, salito al costruendo
terzo solaio, si era procurato, precipitando al suolo, un trauma cranico e
spinale.

la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 4/6/2012,

2.

accogliendo l’impugnazione proposta dal Procuratore Generale locale,
dichiarati il Piovesan e il Presot colpevoli del reato loro ascritto, condannò i
medesimi alla pena sospesa reputata di giustizia, disponendo non farsi
menzione della condanna medesima.

3. Per un’adeguata intelligenza della vicenda conviene, seppure per
sommi capi, dar contezza del contrapposto percorso motivazionale di primo e
secondo grado.
Il tribunale aveva escluso che entrambi gli imputati fossero incorsi in
condotta colposa in quanto al momento del fatto non si trovavano nel
cantiere, né sapevano dell’arrivo del Lecinni e del fatto che costui sarebbe
asceso al costruendo terzo piano; condotta, questa, pericolosa per lo stato dei
luoghi e la presenza di bagnato, procurata dalla pioggia. La corte territoriale,
invece, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro dell’infortunato (legale
rappresentante della Tecnord), in ordine alla quale già il Tribunale aveva

g

trasmesso Q atti al P.M., assunto per provato che l’infortunato salì sul solaio
utilizzando la scala in costruzione e che l’area del terzo piano era stata
impropriamente adibita a zona di lavoro (testimoniato ciò dalla presenza dei
materiali e dei manufatti ivi rinvenuti), individuò la colpa del Piovesan , legale
rappresentante della società operante nel cantiere, nel non aver impartito’
«disposizioni affinché nessuno accedesse al solaio del terzo piano se non
1

terzo, di capocantiere), lesioni colpose gravissime ai danni di Lecinni Stefano,

autorizzato e munito di appositi dispositivi di protezione e ai soli fini della
realizzazione della soletta» e quella del Presot, il quale nel POS non aveva
affrontato «la problematica relativa ad un uso alternativo dei piani in
costruzione», competendo, inoltre «al coordinatore la verifica e
l’attuazione dei presidi antinfortunistici in relazione alle corrette procedure di
lavorazione».

4. Avverso la statuizione d’appello il Piovesan e il Presot propongono

5. Il Piovesan con il primo motivo denunzia vizio motivazionale in
questa sede rilevabile: la Corte triestina aveva travisato le risultanze fattuali.
Non esisteva alcun terzo solaio, ma erano state gettate solo le travi del detto;
non c’era ancora la scala d’accesso, ma solo l’armatura in ferro; i materiali
erano stati collocati mediante la gru o il verricello, stante che la struttura non
era frequentabile, perché inaccessibile; la P & B era estranea al fatto e
l’infortunato aveva inopinatamente scelto di arrampicarsi in qualche modo sul
piano in costruzione e, semmai, in responsabilità poteva essere chiamata la
Tecnord, che gestiva l’intero cantiere e alla quale spettava la realizzazione del
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ponteggio, dovendosi ritenere che fossero stati i suoi operai riporre i materiali
di cui s’è detto.

5.1. Con il secondo motivo il ricorrente assume l’erronea e falsa
applicazione della normativa antinfortunistica. La P. & B non stava svolgendo
alcun lavoro in quota e la causa dell’infortunio era da ricercare nella condotta
abnorme ed imprevedibile dell’infortunato, il quale, peraltro, non svolgeva
neppure le mansioni di carpentiere.

5.2. Con l’ultimo motivo viene denunziata violazione degli artt. 40 e
41, cod. pen. Il fatto doveva reputarsi del tutto imprevedibile per il Piovesan,
stante che il Lecinni, alle dipendenze della Tecnord, non avrebbe dovuto
trovarsi in loco.

6. Il Presot con il suo primo motivo denunzia violazione del principio
devolutivo. Il Procuratore Generale impugnante, infatti, si era lamentato della
mancata apposizione dei parapetti. Parapetti che, invece, non avrebbero
dovuto essere apposti, non trattandosi di area frequentabile, ma solo di un
manufatto ancora in corso di costruzione. La Corte d’appello aveva escluso
che i parapetti erano imposti dalla normativa antinfortunistica, stante che
l’infortunato non si trovava su un impalcato, né su un ponte di servizio, né su

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ricorso per cassazione.

un’andatoia e, tuttavia, allargando illegittimamente il

thema decidendum,

aveva fatto derivare la responsabilità da un obbligo (quello d’installare

i

parapetti) che non dipendeva, come si è visto, dalla predetta normativa, bensì
da una non meglio definita regola cautelare generale.

6.1. Con il successivo motivo il ricorrente denunzia violazione
dell’art. 522, cod. proc. pen., per essere stata fondata la pronuncia sopra fatti
nuovi non contestati. Si era rimproverato, in definitiva, all’imputato, non già

prevenuto la prassi di adibire ad area di lavoro il piano ancora in costruzione.

6.2. Con l’ultimo motivo, denunziante violazione di legge e
contraddittorietà della motivazione, il Presot rileva che il medesimo, redatto il
piano di sicurezza e coordinamento (PCS) – e non già il POS, di competenza
del datore di lavoro -, non aveva l’obbligo d’installare i presidi contestati,
dovendosi limitare ad indicare le procedure idonee a scongiurare il rischio di
cadute dall’alto. Non poteva, in definitiva, prevedere l’occorso, cioè che si
utilizzasse in maniera abnorme la struttura di un costruendo solaio; davanti
ad una tale conoscenza, infatti, avrebbe dovuto ordinare la sospensione dei
lavori. Ma, perciò solo egli si vedrebbe, oggi, mosso il rimprovero, mai prima
adombrato, e sul quale non aveva avuto, quindi, modo di difendersi, di avere
omesso di vigilare.

CONSIDERATO IN DIRITTO
7. Il ricorso di Piovesan Giorgio deve essere rigettato, in quanto
sorretto da motivi infondati.

7.1. Le critiche prospettate con il primo motivo non tengono conto
della coerente motivazione della sentenza di secondo grado, fondata sulla
scorta del materiale probatorio in atti sin dal primo grado del giudizio, nella
disponibilità sin dall’inizio delle parti.
Quel che rileva non è lo stato di completamento del terzo solaio, ma la
circostanza che lo stesso fosse stato incongruamente adibito, quando ancora,
all’evidenza, il luogo era altamente insicuro, per lo svolgimento di lavorazioni
varie (l’asserto trova ferma conferma nelle risultanze istruttorie: presenza di
una sega in funzione attiva in quanto collegata alla rete elettrica e di
segatura, oltre ad altri materiali). Dal che è agevole desumere che non venne
affatto impartito e fatto rispettare l’ordine (derivante da un principio di

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di non aver previsto i parapetti indicati dalla legge, ma di non aver previsto e

cautela basilare) d’impedire a chicchessia l’accesso, salvo agli operai addetti al
completamento del solaio e con i presidi di sicurezza del caso.
Parimenti irrilevante deve ritenersi la circostanza che anche la scala
d’accesso al piano fosse ancora in costruzione (asserisce il ricorrente essere
presente solo la struttura dell’armatura). Attraverso l’uso della stessa, infatti,
era possibile raggiungere il solaio in parola: proprio il detto uso, con strumenti
ostativi efficaci andava, invece, impedito. Senza contare, come puntualmente
osservato dalla Corte territoriale, che,anche ove l’infortunato avesse utilizzato

cambierebbe, essendo rimasto violato l’obbligo d’impedire con strumenti
efficaci l’accesso a quel solaio.
Non assume, di poi, significato dirimente accertare attraverso quali
modalità i materiali e gli strumenti di lavoro vennero collocati sul detto solaio
in costruzione (con la gru o il verricello asserisce il ricorrente): quale che sia
stata la modalità di collocamento quel che è certo, per quel che prima si è
detto, è che quel sito, che avrebbe dovuto essere rigorosamente inibito alla
presenza umana, veniva, al contrario, frequentato.
Infine, fermo restando l’eventuale concorrente responsabilità dei garanti
della Tecnonord, non v’è dubbio che la P & B, in quanto subappaltatrice (e, da
un punto di vista penale, il rappresentante legale di questa), non può invocare
estraneità al fatto.

7.2. Anche gli ultimi due motivi, che conviene trattare
unitariamente a cagione della non scindibilità della tematica sottoposta al
vaglio, vanno del pari disattesi.
Correttamente scrive la Corte territoriale che la condotta del Lecinni non
ha assunto i caratteri dell’anomalia o dell’abnormità, tali da recidere il nesso
di causalità.
Anche se può ritenersi come possibile che all’evento possa aver concorso una
scelta azzardata del predetto lavoratore, deve escludersi, secondo la logica
comune, che nel caso in esame una tale decisione possa considerarsi avulsa
dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte
del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell’assunto
difensivo trattasi, invece, di un grave infortunio occorso nell’esercizio e a
causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile
e prevenibile dal garante. Infatti, basti considerare che l’infortunato per
raggiungere il solaio in costruzione di cui si discute non dovette affatto
superare ostacoli ed aggirare divieti, trattandosi di area liberamente
accessibile.

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una scala a forbice di quelle mobili, il profilo di responsabilità non

Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del
28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità
(tra le tante, v. Sez. IV, 12/5/2011, n. 35204; Sez. IV, 10 novembre 2009, n.
7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n.
25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587;
Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850;
Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa
del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa

esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto
di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne
sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che
il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità
abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e
imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità dì controllo dei garanti.
Né appare liberatorio l’asserto secondo il quale il Piovesan ignorava la
presenza in cantiere, quel giorno, di personale della Tecnonord.
«Le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei
lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori)
possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a
tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione,
accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi
antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.
Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere dall’art. 4 comma 5, lett. n) , d. Ig. 19
settembre 1994 n. 626, che, ponendo la regola di condotta in forza della
quale il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le
misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della
popolazione o deteriorare l’ambiente esterno, dimostra che le disposizioni
prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli
estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo
ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza
diretta con il titolare dell’impresa>>(Sez. IV, 20/4/2005, n. 11351, massima).
«In materia di prevenzione infortuni, l’art. 1 d.P.R. 27 aprile 1955 n.
547, espressamente richiamato dal capo 1 d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164,
allorquando parla di “lavoratori subordinati e ad essi equiparati” non intende
individuare in costoro i soli beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha
la finalità di definire l’ambito di applicazione di detta normativa, ossia di
stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all’osservanza di
essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro
oggetto, perché disciplinate da appositi provvedimenti. Pertanto, qualora sia
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antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non

accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati
o soggetti a questi equiparati, ex art. 3 comma 2 dello stesso d.P.R. n. 547
del 1955, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o
sovrintende all’attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste
dai citati d.P.R. 547 del 1955 e 164 del 1956; obbligo che prescinde
completamente dalla individuazione di coloro nei cui confronti si rivolge la
tutela approntata dal legislatore. Ne consegue che, ove un infortunio si
verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti,

43 c.p. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589 comma 2 e 590
comma 3 stesso codice, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco
importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un
soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito
imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata
violazione>> (IV, 10/11/2005, n. 2383, massima).
«In tema di omicidio colposo ricorre l’aggravante della violazione di
norme antinfortunistiche anche quando la vittima è persona estranea
all’impresa, in quanto l’imprenditore assume una posizione di garanzia in
ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori
subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti
coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare
nell’area della loro operatività>> (IV, 7/2/2008, n. 10842, massima; cfr.
anche Cass. n. 7726/2002 e n. 11360/2006).
Di conseguenza pienamente provata, attraverso vaglio probatorio, deve
reputarsi la colpa dell’imputato, il quale, avendo presente il cosiddetto
“modello d’agente”, il modello dell’ “homo eiusdem condicionis et
professionis”, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmaticamente una
determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella
comunità, la quale esige che l’operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto
ciò che da questo ci si aspetta (Sez. IV, 1/71992, n. 1345, massima; più di
recente e sullo specifico argomento qui in esame, sempre Sez. IV, 1/4/2010,
n. 20047), avrebbero dovuto prevedere e prevenire l’evento, facendo luogo a
quella condotta doverosa che avrebbe scongiurato, con elevato grado di
probabilità razionale l’evento.

8. Il terzo motivo rassegnato dal ricorrente Presot appare fondato.
Il responsabile per la prevenzione e la sicurezza (senza mutamenti
sostanziali rispetto alla normativa in precedenza in vigore la detta nomina è
oggi regolata dall’art. 31 e ss. del d. Igs. n. 81 del 9/4/2008) assume, in
prevalenza, compiti di consulenza ed indirizzo. Ciò, tuttavia, non esclude

tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art.

l’ipotesi non infrequente che il predetto, esuberando dai propri compiti di
consulenza, fornendo indicazioni operative inadeguate o mancando di
approntare specifici progetti d’intervento volti ad assicurare la sicurezza delle
condizioni lavorative, venga anch’egli chiamato in penale responsabilità, senza
perciò, comunque, sgravare la posizione del garante principale (cfr. Cass.,
Sez. IV, n. 2814/11 del 21/12/2010).
Nel caso in esame non viene contestato all’imputato di aver fornito
indicazioni erronee o comunque in contrasto con i canoni della sicurezza

l’installazione dei dispositivi di protezione fissi in relazione ad un piano in
costruzione risultano incompatibili con l’esigenza, appunto di proseguire nel
completamento del manufatto (questa constatazione è correttamente alla
base del ragionamento della sentenza gravata, la quale, infatti, pone in rilievo
l’incongrua frequentazione dell’area). Quel che al ricorrente viene, in
definitiva, contestato è di non avere verificato e attuato i presidi
antinfortunistici in relazione alle corrette procedure di lavorazione e, quindi, di
non aver previsto <

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