Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35110 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35110 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
PERUGIA e PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL
TRIBUNALE DI PERUGIA
nonchè GIANNETAKIS PAOLO N. IL 21/11/1947
nei confronti di:
MARI SERGIO N. IL 18/04/1958
SANZARI RINO N. IL 19/09/1951
GRANATA MARIA TERESA N. IL 27/06/1952
PEGIATI RICCARDO N. IL 13/03/1951
MISCETTI GIORGIO N. IL 17/04/1954
avverso la sentenza n. 7513/2008 GIP TRIBUNALE di PERUGIA,
del 22/12/2008
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
lette/sentite le conclusioni del PG;

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/05/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. G. Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio
per essere i reati estinti per prescrizione e per l’inammissibilità del ricorso di P.
Giannetakis quanto al capo A). Uditi per P. Giannetakis l’avv. Innamorati, che si
è riportato al ricorso chiedendone l’accoglimento e depositando note scritte, e,
per l’Avvocatura dello Stato, l’avv. Fedeli, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso del P.M. depositando conclusioni scritte. Uditi altresì: per R. Pegiati, l’avv.
Zuccaccia, che si è riportato alla memoria in atti, concludendo per

alla memoria in atti, concludendo per l’inammissibilità dei ricorsi; per S. Mari,
l’avv. Gemelli, che si è riportato alla memoria in atti, concludendo per
l’inammissibilità dei ricorsi e rilevando l’intervenuta prescrizione; per M. T.
Granata, l’avv. Momaroni, che si è riportato alla memoria in atti, concludendo
per l’inammissibilità dei ricorsi e rilevando l’intervenuta prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. In data 23/09/2009, il pubblico ministero richiedeva il rinvio a giudizio di:
A) Riccardo Pegiati, Sergio Mari, Nino Sanzari, Maria Teresa Granata e Paolo
Giannetakis per il reato di omicidio colposo commesso in danno di Walid
Jendoubi il 6 – 8/09/2005; B) Riccardo Pegiati e Bernardina Di Mario per il reato
di abuso di ufficio aggravato commesso in danno di Paolo Giannetakis il 3 13/03/2006; C) Riccardo Pegiati, Giorgio Miscetti e Bernardina Di Mario per i
reati, in continuazione, di abuso di ufficio e falso ideologico aggravati commessi
in danno di Paolo Giannetakis il 22 – 29/05/2006; D) Riccardo Pegiati e
Bernardina Di Mario per i reati, in continuazione, di violazione di sigilli e di
violazione della pubblica custodia di cose pluriaggravati commessi il 16 17/06/2006.
Bernardina Di Mario chiedeva la definizione del processo mediante il giudizio
abbreviato. All’esito dell’udienza preliminare – rinviato a giudizio Paolo
Giannetakis – il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia, con
sentenza deliberata il 22/12/2008, dichiarava non luogo a procedere: nei
confronti di Riccardo Pegiati in ordine ai reati sub B) e C), perché i fatti non
sussistono, e ai reati sub A) e D), perché gli elementi acquisiti non sono idonei a
sostenere l’accusa in giudizio; nei confronti di Giorgio Miscetti, in ordine al reato
sub C), perché il fatto non sussiste; nei confronti di Sergio Mari, Nino Sanzari,
Maria Teresa Granata in ordine al reato sub A), perché gli elementi acquisiti non
sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio; disponeva inoltre la trasmissione

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l’inammissibilità dei ricorsi; per G. Miscetti, l’avv. Mezzasoma, che si è riportata

degli atti al pubblico ministero per le valutazioni sull’esistenza di condotte
penalmente rilevanti ascrivibili a Stefania Nonno.
1.1. L’imputazione sub A) è ascritta a Pegiati, quale direttore sanitario
responsabile del Centro Diagnostico Terapeutico della Casa circondariale di
Perugia (d’ora in poi, C.D.T.), a Giannetakis (giudicato separatamente), quale
chirurgo eterno che ha effettuato l’intervento di emorroidectomia sul detenuto
Walid Jendoubi, a Mari, Sanzari e Granata quali sanitari in servizio presso il
centro nelle ore successive all’intervento: con particolare riferimento alle

effettuati interventi chirurgici e ricoveri nonostante l’inidoneità dello stesso,
utilizzandosi altresì farmaci e presidi chirurgici scaduti e di non chiara
provenienza e avrebbe omesso di informare il detenuto di tali carenze; i sanitari
avrebbero omesso di effettuare controlli e di prestare assistenza al paziente nel
decorso post-operatorio.
Con riferimento alla posizione di Pegiati, il G.U.P. osserva che la lesione
praticata nel corso dell’intervento, per la sua entità e la sua collocazione in sito
diverso da quello che sarebbe stato oggetto dell’intervento stesso, peraltro di
routine, non risulta in alcun modo ascrivibile a cause diverse da una mancanza di
diligenza e di perizia nell’esecuzione dell’atto chirurgico da parte dell’operatore
specialista chirurgico: non è emerso alcun elemento idoneo a ricondurre l’evento
morte anche ad eventuali carenze strutturali del C.D.T. ovvero, ad esempio, ad
intossicazione da farmaci scaduti o ad infezioni derivanti da inosservanza di
norme igieniche.
A proposito dei sanitari in servizio presso il C.D.T. successivamente
all’intervento eseguito da Giannetakis, la sentenza osserva che: non risulta che il
chirurgo operante avesse dato ai medici di turno alcuna indicazione circa
l’avvenuta lesione praticata all’intestino, lesione che, per i sanitari intervenuti
dopo l’intervento, ha rappresentato un fatto ignoto, nuovo, imprevisto,
sopravvenuto, non prevedibile da chi – avendo fatto affidamento sulle capacità
del chirurgo, tanto più in relazione ad un intervento di modeste dimensioni, non
di urgenza, ma di elezione – si aspettava che, data la collocazione del punto di
intervento chirurgico, un eventuale sanguinamento si sarebbe rivelato all’esterno
e non sarebbe ritornato all’interno; ai primi segnali di tachicardia del paziente, i
sanitari ipotizzarono un sovradosaggio di farmaci e, alla conseguente iniziativa,
seguì une reazione positiva del paziente stesso; fino al suo ricovero presso il
Pronto Soccorso, Jendoubi è stato più volte visitato e controllato; la diagnosi di
shock emorragico è oggettivamente complessa, i segni più significativi sono
evidenti quando la sindrome è ormai in fase avanzata e i segni precoci,
soprattutto psichici, sono vaghi, ambigui e contraddittori.

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posizioni qui in rilievo, Pegiati avrebbe consentito che presso il C.D.T. venissero

Ricostruite le posizioni dei tre sanitari succedutisi nel turno presso il C.D.T.,
la sentenza rileva che: quanto a Sanzari e al mancato esame dell’emocromo del
paziente, gli elementi acquisiti (esame del diario clinico, della cartella clinica,
dichiarazioni rese da persone informate dei fatti) mettono in evidenza come non
risulti essersi verificato alcun sanguinamento del paziente, sintomo, questo, che
avrebbe dovuto indurre il medico a disporre l’accertamento; quanto a Mari, in
occasione delle visite effettuate nella mattinata del 07/09/2005 non erano
emerse situazioni anomale, mentre, quando in tarda mattinata aveva constatato

guardia al pronto soccorso e aveva prescritto il farmaco suggeritogli; quanto a
Granata, ha registrato gli effetti positivi del farmaco prescritto da Mari e quando
è sopraggiunto un brusco calo della pressione sanguigna, ha scrupolosamente
agevolato i contatti con il 118.
1.2. L’imputazione sub B), ascritta a Pegiati quale direttore sanitario
responsabile del C.D.T. in concorso con Bernardina Di Mario (giudicata
separatamente), ha ad oggetto la sua relazione del 03/03/2006 – in risposta a
richieste della Di Mario – nella quale escludeva carenze e disfunzioni del centro,
chiedeva la sostituzione dell’equipe chirurgica, indicata come unica responsabile
degli inconvenienti registratisi presso il C.D.T. e rappresentava motivi di sfiducia
del personale medico nei confronti di Giannetakis: raccogliendo la sollecitazione
di Pegiati, Di Mario ha indirizzato al D.A.P. una proposta di revoca della
convenzione con Giannetakis omettendo di dargliene preventiva comunicazione,
in violazione dell’art. 8 della legge n. 241 del 1990, così precludendo
l’instaurazione del contraddittorio e l’acquisizione di memorie e documenti
dell’interessato. Al riguardo, osserva il G.U.P. di Perugia che: investita – dopo le
complicanze derivate dall’intervento sul detenuto Almagro – di una serie di
documenti (trasmessi spontaneamente e non su sua richiesta) da soggetti che
evidenziavano un’obiettiva situazione di emergenza, Di Mario li trasmetteva al
Provveditorato Regionale avendo cura di comunicare a Giannetakis la proposta di
revoca della convenzione di incarico, proposta di cui dunque l’interessato ha
avuto conoscenza formale, come si evince per tabulas dalla mera consultazione
degli atti e dalla cronologia degli stessi; il 15/03/2006 Giannetakis formula
richiesta di accesso agli atti richiamando la nota del 13/03/2006 con la quale
appunto Di Mario aveva comunicato al Provveditore le ragioni per le quali era
forze opportuno revocare la convenzione di incarico, chiedendo al contempo gli
allegati che la compongono e in calce alla stessa vi è scritto “per ricevuta
“15/03/06”; secondo la disposizione della convenzione, il convenzionato, entro
dieci giorni dalla comunicazione può presentare le proprie osservazioni scritte al
Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria con facoltà di essere convocato

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nel paziente uno stato confusionale, aveva preso contatto con il medico di

dal Provveditore; il 19/03/2006 Giannetakis ha depositato una sua nota al
Provveditore chiedendo di essere sentito. Sulla base di tale ricostruzione in fatto,
il Giudice di Perugia rileva che Giannetakis ha avuto conoscenza formale e quindi
effettiva della proposta di revoca e che gli adempimenti che la Convenzione
impone al Direttore risultano puntualmente osservati, sicché non può ritenersi
configurata alcuna violazione di norme di legge.
1.3. L’imputazione sub C) è ascritta in concorso a Pegiati, a Di Mario
(giudicata separatamente) e a Giorgio Miscetti: quest’ultimo, nella qualità di

ambienti di lavoro della USA n. 2 (non competente in materia di igiene sanità
pubblica), nella relazione del 29/05/2006 affermava, con riferimento alle
condizioni igienico-sanitarie del reparto operatorio, di ritenere che la struttura
presentasse i requisiti essenziali per lo svolgimento delle attività previste, con
ciò, secondo la contestazione, debordando dalla proprie competenze funzionali
ed arrecando a Giannetakis un danno ingiusto o comunque compiendo atti idonei
diretti univocamente ad arrecarglielo. Al riguardo, la sentenza impugnata
osserva che: la richiesta rivolta da Di Mario alla A.s.l. n. 2 riguardava la visita di
un tecnico, così genericamente indicato, e non la persona fisica di Miscetti;
quanto dichiarato da quest’ultimo non integra un’affermazione difforme dal vero,
perché, anche nell’ipotesi che egli avesse debordato dalle sue competenze
funzionali, si sarebbe, al più, reso responsabile del compimento di un atto
illegittimo per incompetenza relativa, ma non di un illecito penale; non emerge
alcun ingiusto vantaggio, tale non potendosi certo ritenere l’interesse a tenere
aperta la struttura del C.D.T., né il danno ingiusto per Giannetakis, posto che,
escluso qualsiasi rilievo delle condizioni del centro sul decesso di Jendoubi,
nessuna incidenza poteva avere il parere di Miscetti sulla configurabilità del reato
di abuso di ufficio; la valutazione di idoneità rilasciata da Miscetti non
contraddice la inidoneità sostenuta dai consulenti tecnici del P.M., che riguarda
altri aspetti non rientranti nell’oggetto della valutazione dello stesso Miscetti in
quanto al di fuori della sua competenza.
1.4. L’imputazione sub D) è ascritta in concorso a Pegiati e a Di Mario
(giudicata separatamente), ai quali si contesta la violazione di sigilli e la
violazione della pubblica custodia dei farmaci scaduti, smaltiti, dopo averne
disperso le confezioni idonee a ricostruirne la provenienza, in violazione del
provvedimento con il quale il Provveditore regionale del D.A.P. ne aveva disposto
l’acquisizione ai fini dell’attività di verifica amministrativa in corso. Con
riferimento a tale imputazione, la sentenza impugnata osserva che: non risulta
una formale notifica a Pegiati della nomina a custode dei plichi in cui erano stati
raccolti i farmaci, ma solo un accenno verbale telefonico; i farmaci erano stati

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responsabile dell’Unità Operativa Complessa Prevenzione e sicurezza degli

elencati e indicati, nel luogo, stato, numero, confezioni, nominativo, dosaggio,
costo, numero di lotto, scadenza e casa produttrice, sicché erano facilmente
identificabili; sorta l’esigenza di avviare la procedura per lo smaltimento dei
farmaci scaduti, fu investita un’apposita commissione costituita ad hoc, sicché lo
smaltimento stesso, lungi dall’essere stato eseguito dal solo Pegiati, ha richiesto
la formalizzazione di specifiche procedure e lo svolgimento di attività operative
da parte della commissione; se la materialità storica del fatto oggetto
dell’imputazione sussiste, non si può da ciò dedurre la sussistenza dell’elemento

univoco di soppressione, posto che poteva essere motivata dal fatto che gli
involucri pesavano e quindi rappresentavano un costo aggiuntivo per lo
smaltimento in capo all’amministrazione; a conferma che l’azione non era
finalizzata alla soppressione è emerso che, quando a distanza di tempo sono
intervenuti gli inquirenti, su semplice richiesta rivolta a un’infermiera, sono state
consegnate tutte le fustelle e i documenti di riferimento redatti dal Provveditore
regionale in relazione ai farmaci smaltiti, già tutti individuati, catalogati e
descritti, anche quanto alle date di scadenza, essendo stata fatta di ciascuno
copia fotografica da cui sono leggibili i particolari dei relativi contenitori e
fustelle, nonché una dettagliata relazione.

2. Avverso l’indicata sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Perugia ha proposto appello il Procuratore generale presso la Corte
di appello di Perugia, che ha chiesto di riformarla e di rinviare a giudizio Sergio
Mari, Nino Sanzari e Maria Teresa Granata per il reato di omicidio colposo di cui
al capo A), in quanto il G.U.P. di Perugia ha errato escludendo la rilevanza
causale delle condotte omissive di tali imputati.
Con ordinanza del 04/11/2013, la Corte di appello di Perugia ha dichiarato
l’appello del Procuratore generale convertito in ricorso per cassazione ex art. 426
cod. proc. pen., disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte.

3. Avverso l’indicata sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Perugia ha altresì proposto ricorso per cassazione il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, denunciando – nei termini di
seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
– vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale.
Con riferimento all’imputazione sub A), il ricorrente censura l’affermazione
della sentenza impugnata secondo cui l’inesistenza di un protocollo interno che
prescrivesse il test di emocromo va ricollegata al fatto che si tratta di struttura
clinica annessa a un istituto penitenziario. La sentenza impugnata ha isolato la

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psicologico dei reati; la separazione delle fustelle non assume un significato

responsabilità di Giannetakis, attribuendo a questi l’ulteriore responsabilità di
non aver avvertito i medici della fase post-operatoria dell’errore commesso, ma
tale argomentare esclude che vi siano responsabilità autonome e autosufficienti,
evidenziate, in particolare, dall’irritazione manifestata da Maria Teresa Granata
per le condizioni del paziente quando era subentrata a Mari. A proposito della
posizione di Pegiati, il ricorrente sottolinea che la struttura non aveva i requisiti
minimi per operare chirurgicamente, se non a livello ambulatoriale, e che il
consenso non informato entra nel processo causale, posto che, se il paziente

in altra struttura. L’illogicità e l’incongruenza della motivazione si rivelano anche
con riferimento al mancato esame del ruolo di Pegiati nella gestione degli ordini
dei farmaci.
Con riferimento all’imputazione

sub

B),

il ricorrente censura l’errata

interpretazione dell’art. 323 cod. pen. in quanto Giannetakis lamentava di essere
stato oggetto di una proposta di revoca della convenzione in assenza di una
formale apertura del procedimento, di contraddittorio e dell’acquisizione della
memoria dallo stesso predisposta; accogliendo le censure, il Provveditore
regionale aveva rigettato la proposta di revoca. Non rileva la possibilità di
Giannetakis di intervenire successivamente alla proposta, che, formulata in
assenza di contraddittorio, era idonea ad indurre in errore il Provveditorato. La
proposta di revoca è atto accessorio e contestuale alla sospensione dell’attività
chirurgica, disposta non già per le carenze della struttura, ma per l’asserita
imperizia di Giannetakis, in danno di questi e per favorire Pegiati.
Con riferimento alle imputazioni sub C), il ricorrente, in ordine al reato di
abuso di ufficio, richiama le argomentazioni svolte con riguardo all’imputazione
sub B), mentre, a proposito del falso, osserva che la falsità ideologica può essere
integrata anche da un’attestazione volutamente ambigua e/o reticente ed idonea
ad ingannare la pubblica fede. Paradossalmente la sentenza impugnata
trasforma l’incompetenza di Miscetti a rilasciare attestazioni relative alla
riapertura dell’attività chirurgica in elemento di esclusione dell’elemento
materiale del reato. Il Gup, inoltre, trascura di considerare che a Miscetti
vennero inoltrate due richieste – la prima attinente alla sua sfera di competenza,
la seconda concernente le condizioni igienico-sanitarie del reparto operatorio alle quali risponde congiuntamente con l’attestato oggetto dell’imputazione di
falsità ideologica.
Con riferimento alle imputazioni sub D), il ricorrente osserva che i prodotti
farmaceutici erano sottoposti a sequestro amministrativo, che Pegiati ne era
stato informato telefonicamente da persona dell’ufficio a lui sottoposta e che il
plico sigillato presentava annotazioni idonee a fargli comprendere l’obbligo di

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fosse stato informato delle carenze strutturali, avrebbe chiesto di essere operato

custodia. Diversive risultano le ulteriori argomentazioni della sentenza
impugnata circa eventuali responsabilità di altre persone.

4. Avverso l’indicata sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Perugia ha infine proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di
Paolo Giannetakis quale parte civile costituita, il difensore e procuratore speciale
avv. Giuseppe Innamorati, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei
limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – vizio di

Con riferimento all’imputazione sub A), i consulenti tecnici del pubblico
ministero hanno concluso per la responsabilità di tutti gli operatori del centro
clinico, immotivatamente comprendendo anche Giannetakis, medico chirurgo
esterno convenzionato e, quindi, con presenza nella struttura non continuativa e
di non libera praticabilità in ragione della funzione carceraria: il G.U.P. ha
acriticamente recepito tale conclusione. Non può sostenersi neanche l’estraneità
di Pegiati, essendo questi dirigente sanitario e responsabile del centro clinico.
Con riguardo all’imputazione sub B), mentre la sottoscrizione dei medici
conteneva un generico richiamo al dirigente sanitario ad assumere
provvedimenti, Pegiati, ad evidente scopo ritorsivo, sollecitava la sostituzione
dell’equipe

di chirurgia e sosteneva artificiosamente l’adeguatezza della

struttura, perseguendo un interesse proprio con palese disattenzione dei princìpi
di imparzialità e di buon funzionamento della pubblica amministrazione.
Con riferimento all’imputazione

sub C),

la certificazione di idoneità è

sospettabile di falsità intesa ad ottenere un provvedimento di ripresa dell’attività
chirurgica del centro clinico del carcere e la messa in evidenza dell’esclusiva
responsabilità di Giannetakis per il decesso di Jendoubi; la certificazione
rilasciata da Miscetti attesta falsamente la totale idoneità del centro clinico, come
risulta dagli accertamenti dei consulenti del pubblico ministero e dalla relazione
della Medicina Penitenziaria del P.R.A.P. dell’Emilia Romagna e del Lazio, e ha
eluso l’intervento dell’autorità competente (l’Unità operativa complessa igiene e
sanità pubblica della U.S.L. n. 2).

5. In data 08/02/2014, Nino Sanzari, in uno con il difensore avv. Massimo
Zaganelli, ha depositato una memoria deducendo, con argomentazioni
concernenti il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Perugia ma riferibili anche a quello della parte civile (che, per la posizione
processuale fatta valere, non dovrebbe riguardare l’imputazione ascritta
all’esponente), l’inammissibilità del ricorso e comunque la sua infondatezza e
rilevando, peraltro, la prescrizione del reato.

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motivazione e inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

6. In data 12/02/2014, nell’interesse di Sergio Mari, il difensore avv. Paolo
Gemelli ha depositato una memoria chiedendo che i ricorsi del Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia e della parte civile
siano dichiarati inammissibili o comunque infondati.

7. In data 21/02/2014, nell’interesse di Maria Teresa Granata, il difensore
avv. Paolo Momaroni ha depositato una memoria chiedendo che i ricorsi del

siano dichiarati inammissibili o comunque rigettati.

8. In data 25/02/2014, nell’interesse di Giorgio Miscetti, i difensori avv.
Maria Mezzasoma e Gianmarco Gorietti hanno depositato una memoria
chiedendo il rigetto dei ricorsi del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Perugia e della parte civile.

9. In data 12/05/2014, nell’interesse di Riccardo Pegiati, il difensore avv.
Zuccaccia ha depositato una memoria, chiedendo la declaratoria di
inammissibilità o il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Il ricorso del Procuratore generale è inammissibile. Come questa Corte ha
avuto modo di affermare, in una fattispecie relativa ad un appello proposto dal
P.G. avverso una sentenza di non luogo a procedere, trasmesso dalla Corte
d’appello per competenza alla Corte di cassazione, previa riqualificazione del
gravame come ricorso per cassazione e valorizzando soprattutto il petitum
contenuto nelle conclusioni, che – così come nel caso oggi in esame – non aveva
ad oggetto l’annullamento della sentenza impugnata (unico provvedimento
consentito in sede di legittimità), bensì l’emissione di un provvedimento
squisitamente di merito, quale il decreto che dispone il giudizio, è inammissibile
l’impugnazione proposta con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto,
quando dall’esame dell’atto si tragga la conclusione che la parte impugnante
abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di
impugnazione non consentito dalla legge (Sez. 6, n. 7182 del 02/02/2011 – dep.
24/02/2011, Pg in proc. Beltrami e altri, Rv. 249452)

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Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia e della parte civile

3. Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia è
parimenti inammissibile.
In relazione all’imputazione sub A) e con riferimento alla posizione di
Pegiati, la sentenza impugnata, esclusa la riconducibilità del decesso a cause
diverse dalla negligenza e dall’imperizia nell’esecuzione dell’intervento chirurgico
e, in particolare, ad eventuali carenze strutturali del C.D.T. (comprese
intossicazione da farmaci scaduti o infezioni derivanti da inosservanza di norme
igieniche), ha sottolineato, per un verso, il carattere del tutto

ruotinario

dichiarazione del paziente e il suo consenso « all’intervento, comprese le
accettazioni dei rischi connessi allo stesso, era sottoscritto anche dall’anestesista
e dal chirurgo operatore, che, solo successivamente al secondo intervento
realizzato cinque mesi dopo il decesso di Walid Jendoubi, aveva sollevato critiche
circa la idoneità della struttura, idoneità che, se revocata in dubbio, avrebbe
dovuto condurlo alla decisione di non effettuare l’intervento. Il pubblico ministero
ricorrente si limita a prospettare l’idoneità causale della mancata informazione al
paziente in termini, sostanzialmente, sovrapponibili all’imputazione, così
omettendo di confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata. Del
tutto generica e, in particolare, disancorata dal concreto riferimento alla
dinamica causale delineata dalla sentenza impugnata è il riferimento al ruolo di
Pegiati nella gestione degli ordini dei farmaci.
Parimenti inammissibili sono le censure proposte dal ricorso in ordine alla
posizione di Mari, di Sanzari e di Granata; con particolare riferimento alla
mancata prescrizione del test di emocromo, la sentenza impugnata ha
sottolineato l’insussistenza di alcun sanguinamento del paziente che avrebbe
dovuto sollecitare l’espletamento dell’accertamento, argomento, questo, rispetto
al quale il ricorrente omette il necessario confronto critico. Le ulteriori censure
deducono, sostanzialmente, questioni di merito, in quanto, a fronte di
un’analitica disamina operata dal G.U.P. delle posizioni in questione realizzata in
rapporto alla dinamica causale accertata, sollecita una rivisitazione, esorbitante
dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione del materiale probatorio
che la sentenza impugnata ha operato sulla base di un iter logico-argomentativo
esente dai vizi denunciati.
In ordine all’imputazione sub B), la sentenza impugnata, all’esito di una
articolata ricostruzione della vicenda è giunta alla triplice conclusione che:
Giannetakis ha avuto conoscenza formale e quindi effettiva della proposta di
revoca (e non solo informale e desunta aliunde come dallo stesso sostenuto in
sede di denuncia); gli adempimenti che la Convenzione impone al Direttore,
funzionali a garantire il contraddittorio cartolare ed orale, risultano puntualmente

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dell’intervento in questione e, per altro verso, che il documento contenente la

osservati e il chirurgo convenzionato ha potuto, in tempi più che celeri,
conoscere il contenuto degli atti trasmessi e i motivi della proposta e quindi
rivolgersi all’autorità preposta alla decisione; non può pertanto ritenersi
configurata alcuna violazione di norme di legge. Il ricorrente ritiene irrilevanti le
considerazioni correlate alla articolata disamina della disciplina in materia
operata dalla sentenza impugnata, con argomentazione, tuttavia, aspecifica, in
quanto incentrata, per un verso, sulla disciplina di cui all’art. 8 I. n. 241 del
1990, e, per altro verso, sul legame prospettato tra la proposta di revoca e la

omette il confronto con la ricostruzione della sentenza impugnata (e, in
particolare, sulla puntuale osservanza – rimarcata dal G.U.P. – delle prescrizioni
della convenzione ad hoc), mentre, nella seconda, il legame dedotto comunque è
decisivo ai fini della confutazione della ricostruzione in base alla quale la
sentenza impugnata ha escluso la configurabilità del reato di abuso d’ufficio,
sicché, sotto questo profilo, la censura non è comunque idonea ad incidere sulla
compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n.
9242 del 08/02/2013 – dep. 27/02/2013, Reggio, Rv. 254988). L’autonomia e
l’autosufficienza della rado decidendi così delineata esime dalla ricognizione delle
censure rivolte dal ricorrente alle ulteriori argomentazioni della sentenza
impugnata.
Anche la doglianza relativa all’imputazione

sub

C) è inammissibile.

L’apparato argomentativo delineato al riguardo dalla sentenza impugnata ha, tra
l’altro, valorizzato, quanto all’imputazione di abuso di ufficio, la non
configurabilità dell’ingiusto vantaggio patrimoniale (tale non potendosi ritenere
l’interesse a tenere aperta la struttura del CDT) o del danno ingiusto nei
confronti di Giannetakis (essendosi esclusa qualsiasi incidenza causale delle
condizioni della struttura del CDT sulla morte di Walid); quanto all’imputazione
dei falso ideologico, la sentenza impugnata rileva che la valutazione di idoneità di
Miscetti non è contraddetta dai consulenti tecnici del P.M., secondo i quali le
carenze emerse non sono state verosimilmente oggetto di valutazione da parte
del personale sanitario, posto che un conto è verificare la rispondenza di una
sala operatoria ai requisiti strutturali ad essa propri, mentre altro è valutare le
condizioni dell’intero centro. Il ricorso, mentre con riguardo all’imputazione di
abuso di ufficio richiama le osservazioni svolte a proposito del reato sub B),

in

ordine all’imputazione di falso censura la mancata considerazione da parte del
G.U.P. delle due, distinte, richieste inoltrate a Miscetti e le argomentazioni della
sentenza impugnata circa l’incompetenza dell’imputato: in entrambe le direzioni,
le doglianze sono articolate in modo inidoneo a compromettere, sul piano logicomotivazionale, il rilievo del G.U.P. (motivato anche sulla base delle indicazioni

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contestuale sospensione dell’attività chirurgica: nella prima direzione, la censura

desunte dal contributo conoscitivo offerto dai consulenti del P.M.) circa il
contenuto della valutazione di idoneità rilasciata da Miscetti, sicché, sotto questo
profilo, il motivo non opera il necessario, puntuale confronto con le ragioni
argomentative della decisione impugnata, risultando pertanto non specifico (Sez.
1, n. 4521 del 20/01/2005 – dep. 08/02/2005, Orru’, Rv. 230751). Le ulteriori
doglianze (relative, in particolare, alla prospettata ambiguità e/o reticenza
dell’attestazione e al ruolo di Di Mario quale portatrice degli interessi di Pegiati in
danno di Giannetakis) deducono questioni di merito, sollecitando una

materiale probatorio che il G.U.P. ha operato, sostenendola con esente da cadute
di conseguenzialità logica.
Del pari inammissibile è la censura relativa al capo D). La sentenza
impugnata ha motivato la ritenuta inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere
l’accusa in giudizio anche con specifico riferimento all’elemento soggettivo del
reato sulla base di una pluralità di rilievi, riconducibili, per un verso, alle
modalità con le quali si è giunti allo smaltimento dei farmaci scaduti (e alla
molteplicità di soggetti intervenuti), e, per altro verso, ad una serie di elementi
valutati come sintomatici della mancata finalizzazione dell’azione alla
soppressione. A fronte della linea motivazionale così sviluppata, le critiche del
ricorrente si sono concentrate sulla effettiva conoscenza, in capo a Pegiati,
dell’intervenuto sequestro e su altre circostanze relative all’attività ispettiva
svolta dal Provvedimento, senza confrontarsi con le argomentazioni della
sentenza impugnata in merito alla ritenuta insussistenza dell’elemento
psicologico dei reati: la doglianza, pertanto, è inammissibile, per difetto di
specificità, essendosi limitata alla critica di una sola delle

rationes decidendi

poste a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011 – dep.
27/07/2011, F., Rv. 250972), essendo quella relativa all’insussistenza
dell’elemento soggettivo autonoma ed autosufficiente.

4. Il ricorso proposto nell’interesse di Paolo Giannetakis quale parte civile è
inammissibile.
Con riferimento al capo A), il ricorso è inammissibile, perché, come
correttamente rilevato dalla difesa di Nino Sanzari e dal P.G. presso questa
Corte, Paolo Giannetakis non riveste, in relazione al reato di omicidio colposo la
veste di parte civile, ma quella di imputato.
Con riferimento al capo B) dell’imputazione, il ricorso è inammissibile in
quanto limitato alla denuncia, in termini del tutto generici e svincolati dalle
argomentazioni della sentenza impugnata, del carattere ritorsivo dell’iniziativa di

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rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del


Pegiati e del carattere artificioso di quanto dallo stesso sostenuto circa
l’adeguatezza della struttura
Con riferimento all’imputazione

sub C), il ricorso della parte civile è

inammissibile, in quanto generico. Con particolare riguardo al falso ideologico, il
ricorrente sottolinea che la certificazione di Miscetti avrebbe falsamente
rappresentato la totale idoneità del centro clinico: la sentenza impugnata,
tuttavia, ha chiarito come la relazione abbia riguardato il solo reparto operatorio
e non l’intero centro clinico. Sotto un diverso profilo, il ricorrente richiama, a

Penitenziaria del P.R.A.P. dell’Emilia Romagna e del Lazio (indicata in assenza di
qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata o agli atti del processo e, dunque,
non valutabile in questa sede di legittimità), gli accertamenti del consulenti
tecnici del pubblico ministero: il G.U.P. ha rimarcato che detti consulenti hanno
segnalato, per un verso, che la sala operatoria e le dotazioni tecniche erano
apparse tali da consentire alcune attività chirurgiche e, per altro verso, che le
carenze emerse nel corso del sopralluogo effettuato non erano state
verosimilmente oggetto di valutazione da parte del personale sanitario della
U.S.L. n. 2. Nell’una e nell’altra direzione, le censure del ricorrente non sono
sorrette da adeguata correlazione rispetto alle ragioni argomentative della
decisione impugnata.

5. Pertanto, il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di
Perugia e quello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia
devono essere dichiarati inammissibili; parimenti inammissibile è il ricorso
proposto nell’interesse di Paolo Giannetakis, che deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento al versamento della somma, che si
stima equa, di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente Paolo Giannetakis al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro
1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21/05/2014.

sostegno della sospettata falsità dell’atto, oltre ad una relazione della Medicina

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