Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35101 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35101 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Casto Sebastiano, nato ad Avola, il 16/1/1978;

avverso la sentenza del 24/2/2014 della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mario
Pinelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’appello di Catania confermava la condanna di Casto Sebastiano per il reato
di violazione di domicilio commesso ai danni di Di Stefano Giovanni.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando due
motivi. Con il primo eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato. Con il secondo

Data Udienza: 17/07/2014

deduce invece il travisamento delle dichiarazioni del teste verbalizzante Di Mari, il
quale, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, non avrebbe affermato di aver
visto l’imputato scavalcare il muro di cinta della proprietà del Di Stefano, bensì avrebbe
riferito che lo stesso sarebbe penetrato nella citata proprietà aprendo il cancello di
ingresso. Non di meno il medesimo teste non avrebbe spontaneamente parlato di un
presunto tentativo di fuga del Casto, ma al contrario avrebbe dichiarato che una volta
richiamato egli si sarebbe immediatamente fermato. Sempre con il medesimo motivo il

CONSIDERATO IN DIRMO

1.11 ricorso è inammissibile.
2. Quanto all’eccepita prescrizione deve innanzi tutto rilevarsi come il termine
prorogato si sarebbe comunque compiuto dopo la pronunzia della sentenza impugnata
e cioè il 14 aprile 2014. Non di meno risulta dagli atti che il suddetto termine è rimasto
sospeso quantomeno per mesi sei e giorni tredici (risultando dubbia la natura di
ulteriori sospensioni per mesi quattro e giorni sei) e dunque si compirà al più presto
non prima del 27 ottobre 2014.
2. Con riguardo alle doglianze avanzate con il secondo motivo di ricorso deve
rilevarsene l’inammissibilità.
2.1 Questa Corte, alla luce delle modifiche apportate all’art. 606 comma 1, lett. e)
c.p.p. dalla I. n. 46/2006, ha da tempo riconosciuto la deducibilità del travisamento
della prova, ammettendo che il vizio di motivazione rilevante possa risultare, oltre che
dal testo del provvedimento impugnato, anche “da altri atti del processo”, purché siano
“specificamente indicati nei motivi di gravame” (ex multis Sez. 5 n. 18542 del 21
gennaio 2011, Carone, rv 250168). Ciò comporta, in altre parole, che all’illogicità
intrinseca della motivazione (cui è equiparabile la contraddittorietà logica tra
argomenti della motivazione), caratterizzata dal limite della rilevabilità testuale, si è
affiancata la contraddittorietà tra la motivazione e l’atto a contenuto probatorio.
2.2 L’informazione “travisata” (nel caso di specie la sua presunta inesistenza) o non
considerata deve, peraltro, essere tale da inficiare la struttura logica del provvedimento
stesso. Inoltre, la nuova disposizione impone, ai fini della deduzione del vizio di
motivazione, che l'”atto del processo” sia, come già ricordato, “specificamente indicato
nei motivi di gravame”.

ricorrente lamenta infine l’eccessività della pena irrogata.

2.3 Sul ricorrente, dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione
specifici, anche quello di individuare ed indicare gli atti processuali che intende far
valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati,
avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle
forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione. In definitiva il
ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti

esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato
ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve,
invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento
fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o
del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su
cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in
modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo
profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del
provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, Rv.
249035). E quanto alle condizioni per cui può ritenersi assolto l’onere di indicazione
posto dalla lett. e) dell’art. 606 c.p.p., si è altresì precisato che, qualora la prova
omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne
integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani – come invece
effettuato dal ricorrente -, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità
di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di
valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi,
rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141).
2.4 II ricorrente non si è attenuto a questi oramai consolidati principi, limitandosi ad
evocare l’atto probatorio oggetto del presunto travisamento attraverso, per l’appunto,
l’estrapolazione di meri stralci della deposizione del teste, con la conseguenza che il
vizio denunciato è stato dedotto in maniera solo generica.
2.5 parimenti generiche risultano infine le conclusive censure avanzate dal ricorrente
sull’entità della pena.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 17/7/2014

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