Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35100 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35100 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CESARANO ALFONSO N. IL 09/06/1960
DI MARTINO ALFONSO N. IL 17/06/1954
LORINI PATRIZIO N. IL 09/05/1954
avverso la sentenza n. 4699/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
10/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO PALLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per’
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Data Udienza: 17/07/2014

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FATTO E DIRITTO

Cesarano Alfonso, Lorini Patrizio e Di Martino Alfonso ricorrono avverso la sentenza 10.5.13 della
Corte di appello di Napoli con la quale, in parziale riforma di quella in data 1.7.09 del Tribunale di
Torre Annunziata, è stata rideterminata la pena, per Cesarano, limitatamente al reato associativo sub

di cui al proc.n.4699/09 R.G. appello, riunito al presente procedimento, in complessivi anni quattro
e mesi quattro di reclusione; per Lorini, limitatamente ai reati di cui ai capi A),GGG),HHH),JJJ)
(quest’ultimo, art. 648 c.p.), in complessivi anni tre e mesi sei di reclusione; per Di Martino,
limitatamente ai reati di cui ai capi DDD),EEE), in complessivi anni tre e mesi tre di reclusione.
La Corte partenopea ha poi dichiarato non doversi procedere in ordine a tutti i residui reati
rispettivamente ascritti ai predetti imputati (di cui agli artt.642 e 372 c.p.), nonché agli altri originari
coimputati, perché estinti per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili e
dichiarando altresì l’improcedibilità per intervenuta prescrizione, relativamente al reato associativo,
nei riguardi di Liguori Ciro e confermando per tale capo della sentenza il giudizio di responsabilità
per Cuomo Giovanna (non ricorrente).
I fatti per cui è processo riguardano, in primis, l’esistenza, nella zona di Gragnano e Castellammare
di Stabia, a far data dal 1994, di una consorteria criminale, organizzata e promossa da Cesarano
Alfonso, alla quale partecipavano, tra gli altri, il medico Di Martino Alfonso (poi prosciolto

A (art.416 c.p.), a quelli di falso di cui ai capi DDD),EEE),GGG),HHH) ed a quello di ricettazione

separatamente dal reato di cui all’art.416 c.p., con sentenza del g.u.p. acquisita agli atti del fascicolo
di primo grado, con conseguente sentenza di improcedibilità, ex art.649 c.p., emessa dal giudice di
primo grado) e l’avvocato Lorini Patrizio, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di
truffe ai danni di compagnie assicurative, di falsi in atto pubblico, di falsi in scrittura privata e di
false testimonianze.
Lamenta Cesarano, con il primo motivo, violazione dell’art.606, comma 1, lett.d) ed e) c.p.p. per
essere risultata apodittica e priva di motivazione la sentenza di secondo grado in punto di esistenza
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del reato associativo, presentando un vuoto non colmabile neanche con il rinvio per relationem alla
motivazione della sentenza di primo grado, priva anch’essa di argomentazioni logiche al riguardo.
In realtà — assume la difesa — Cesarano, nel corso del suo interrogatorio, non aveva mai ammesso di
essere , ma di aver creato falsi incidenti stradali per

collaborazione di legali che individuava secondo precisi criteri di opportunità e convenienza,
prediligendo il legale che gli offriva una maggiore provvigione sulle competenze professionali e che
non aveva patrocinato altre cause in cui danneggiato e assicurato avevano avuto diversi ruoli anche
in posizioni invertite.
Tra gli avvocati coinvolti non v’era alcun rapporto di colleganza, ma anzi di competizione, tentando
ognuno di ottenere dal procacciatore di pratiche Cesarano il maggior numero di sinistri, offrendo
una maggiore percentuale sugli onorari, ma nella motivazione dei giudici territoriali non vi era
alcun riferimento all’esistenza di una condivisione degli utili derivanti dagli indennizzi assicurativi,
né ad un momento di incontro tra gli avvocati per l’assegnazione delle pratiche e, dunque, al
vincolo associativo tra tre o più persone allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati
attraverso la predisposizione comune dei mezzi necessari allo scopo, nella consapevolezza, da parte
di ciascuno degli associati, di far parte del sodalizio e di essere disponibile ad attuarne il
programma.

ottenere indebiti indennizzi, confezionando la documentazione necessaria e avvalendosi della

\

In realtà — secondo il ricorrente — la sentenza impugnata evidenziava l’insanabile contraddizione di
ritenere esistente il reato associativo sulle evidenze processuali riguardanti altri soggetti che, pur
ritenuti indispensabili per realizzare le truffe assicurative in una dimensione associativa, perché
ponevano in essere le condotte compiacenti, non erano tuttavia attratti nella struttura organizzativa e
peraltro, in applicazione del principio del favor rei, andava attribuita anche per il Cesarano quale
valenza interruttiva alla partecipazione al sodalizio, quella della data di applicazione della misura

2.

disciplinare di sospensione dall’albo degli avvocati (24.6.04) del coimputato Liguori, con
conseguente decorso del termine prescrizionale.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.d) ed e) c.p.p., con
riferimento al reato di ricettazione, avendo la Corte di appello, in maniera illogica e contraddittoria,
omesso di considerare che l’esame elettrolitico sui ciclomotori, nel procedimento riunito, non era

inutilizzabilità, come era stato tempestivamente eccepito dalla difesa e come sostanzialmente
ritenuto anche dalla Corte di merito che tuttavia aveva considerato attendibile la deposizione di
colui che tale esame aveva eseguito, reputando le abrasioni dei numeri di telaio dei ciclomotori in
argomento non naturali, ma illecite, sulla base di altri elementi di non specificata natura.
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, con riferimento ai reati sub DDD),EEE),GGG),
per avere i giudici di appello riqualificato in peius i reati di falso, in assenza di specifica
impugnazione del p.m., violando così il divieto di reformatio in peius.
Con il quarto motivo si contesta la mancata valutazione della perizia introdotta dalla difesa con i
motivi aggiunti del 24.10.11, che attestava l’autenticità della firma del ricorrente in calce al verbale
dell’udienza del 9.2.04 dinanzi al Giudice di pace di Castellammare di Stabia e, con il quinto
motivo, si lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dai giudici di
appello con formule di stile e senza tenere conto del < contesto processuale effettivo e del dato confessorio >.

stato eseguito nel rispetto delle procedure previste dal codice di rito, con conseguente sua

Lorini Patrizio lamenta, con il primo motivo, che la Corte di appello abbia rigettato la richiesta di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, non disponendo così una perizia grafologica per
accertare l’autenticità della firma `Cesarano Alfonso’ apposta in calce al verbale di udienza del
9.2.04 dinanzi al Giudice di pace di Castellammare di Stabia nella causa Filosa\ Santarello, sul
presupposto che la prova dei reati di cui ai capi GGG) e HHH) riposerebbe sulla testimonianza
dell’Avv. Fontana e sugli esiti della consulenza grafica del c.t. del p.m., nonostante che, dopo
l’esame del teste Fontana, il tribunale avesse rilevato una carenza probatoria che necessitava di

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un’integrazione mediante l’audizione del consulente grafologico del p.m., dott.ssa Saracino, la
quale peraltro, nell’affermare che la firma in verifica non era del Cesarano, non aveva
adeguatamente considerato .
Inoltre — prosegue la difesa del ricorrente – , contrariamente a quanto affermato in sentenza per

motivi di gravame, non corrispondeva a verità che il c.t. della difesa aveva preso in esame copie di
documenti e non gli originali, essendo ciò avvenuto solo per alcuni documenti, sugli altri la
consulenza avendo riguardato documenti originali che erano stati allegati alla stessa, ed inoltre in
calce al verbale di interrogatorio reso dal Cesarano al G.i.p. di Torre Annunziata il 12.2.05,
figuravano alcuni saggi grafici che riproducevano la firma del Cesarano perfettamente identica e
sovrapponibile a quella apposta in calce al verbale di udienza del 9.2.04 nella causa
Filosa\Santorello c/ Fondiaria S.A.I. celebrata dinanzi al Giudice di pace di Castellammare di
Stabia, donde la necessità di procedere a perizia grafologica d’ufficio che avrebbe risolto ogni
dubbio sulla autenticità e riferibilità al Cesarano della firma apposta in calce al verbale dell’udienza
civile Filosa\Santorello.
Con il secondo motivo Lorini lamenta, in riferimento al reato associativo sub A), che la
responsabilità era stata ritenuta sulla base di motivazioni meramente apodittiche, sganciate dalle
risultanze istruttorie, mancando ogni traccia del percorso motivazionale in merito ai rapporti di
colleganza tra tutti i partecipanti all’associazione, laddove era emerso che non esistevano rapporti
tra gli avvocati cui il Cesarano, di volta in volta, affidava i singoli sinistri stradali, né la Corte di
merito aveva motivato circa la sussistenza di rapporti di contiguità tra gli stessi sodali e in ordine
all’effettiva costituzione ed operatività di un’organizzazione stabile in cui ciascuno degli associati
aveva avuto un ruolo specifico e funzionale per letrealizzazione del programma criminoso.
Non era in discussione — prosegue il ricorrente — l’oggettività del fatto, che cioè il Lorini avesse
effettivamente patrocinato sinistri stradali conferiti dal Cesarano, ma non era stato spiegato dai

ritenere inattendibili le risultanze della consulenza grafologica della dott.ssa Sorrentino, allegata ai

giudici di appello come e perché il Lorini non solo fosse a conoscenza ma addirittura si fosse
prodigato per consentire al sodalizio criminoso di perseguire lo scopo comune, per cui si registrava
una motivazione apparente, avendo la Corte partenopea riconosciuto il coinvolgimento
dell’imputato nella vicenda associativa sulla scorta di un automatismo derivante dalla molteplicità
dei sinistri stradali, omettendo qualsivoglia valutazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo

realizzazione dell’accordo in modo stabile e permanente.
Con il terzo motivo, relativamente ai reati di falso di cui ai capi GGG) e HHH), si censura la
mancata risposta ai motivi di appello, essendosi la Corte di merito, senza operare alcuna valutazione
autonoma, limitata a respingere i motivi di impugnazione richiamando la motivazione del giudice di
primo grado, senza occuparsi delle problematiche afferenti l’incongruenza e l’inattendibilità delle
osservazioni tecniche formulate dal c.t. del p.m. Saracino, la quale ben sarebbe potuta giungere a
conclusioni diverse qualora avesse verificato anche le firme apposte dal Cesarano nel verbale di
interrogatorio reso dal medesimo innanzi al G.i.p. di Torre Annunziata il 12.2.05.
Né i giudici si erano preoccupati — prosegue il ricorrente — di verificare l’attendibilità intrinseca ed
estrinseca del teste Avv. Fontana, pure alla luce delle lamentate incongruenze che ne minavano la
credibilità, avendo il medesimo più volte, nel corso del suo esame, dichiarato di ‘non ricordare’ e
ciò in evidente contrasto con le affermazioni del Giudice di pace di Castellammare di Stabia,
dott.Marcia, dinanzi a cui si svolgeva la causa Filosa\Santorello + Fondiaria S.A.I. e nel corso della
quale era stato sentito come teste il Cesarano, e che aveva riferito di aver verificato il documento di
identità del teste, procedendo personalmente alla sua identificazione senza riscontrare anomalie
sulla sua identità, il cui accertamento non era stato quindi opera del Lorini al quale non poteva
pertanto essere imputata la formazione del ‘presunto falso verbale di udienza’.
Con il quarto motivo si lamenta la mancata declaratoria di prescrizione dei reati di falso di cui ai
capi GGG) e HHH), estinti — secondo il ricorrente — alla data del 24.8.12, mentre, con il quinto
motivo, si lamenta, con riferimento al reato di ricettazione di cui al capo JJJ), mancanza di

del reato di cui all’art.416 c.p., ossia sulla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla

motivazione, per essersi i giudici di appello limitati ad una sterile enunciazione di circostanze di
fatto, relative all’essere stato l’imputato trovato in possesso del timbro contraffatto, senza
considerare che il ritrovamento del timbro presso l’abitazione del Lorini e l’accertamento sulla
contraffazione del medesimo costituivano circostanze inidonee ad integrare, sotto il profilo
soggettivo, la fattispecie del reato di cui all’art.648 c.p.

del reato di ricettazione in quello di cui all’art.468 c.p., mai avendo il timbro in esame arrecato
pregiudizio economico alla cancelleria del tribunale o alle compagnie di assicurazione, non essendo
mai stato utilizzato.
Con il settimo e ultimo motivo si censura il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, di
cui avevano beneficiato invece i coimputati che avevano definito la loro posizione con rito
alternativo, attenuanti negate senza alcuna motivazione.
Di Martino Alfonso deduce, con il primo motivo, violazione di legge per avere i giudici di appello
riformato in peius la sentenza di primo grado, con riferimento al reato di falso di cui al capo EEE),
determinando un trattamento sanzionatorio più grave di quello operato dal primo giudice.
Con il secondo motivo si deduce ancora violazione di legge per avere i giudici di secondo grado,
sempre con riferimento al reato sub EEE), ritenuto erroneamente il reato di cui all’art.479 c.p. — e
non quello di cui all’art.481 c.p. – , atteso che i certificati redatti dal dott. Di Martino erano stati
rilasciati nella sua qualità di mero specialista di parte.
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, con riferimento ai falsi certificati di cui al capo
DDD), per essere stato ritenuto erroneamente il reato di cui all’art.479 c.p., in luogo di quello di cui
all’art.481 c.p., pur avendo l’imputato — anche se convenzionato con il Servizio sanitario nazionale rilasciato certificati di malattia per uso assicurativo privato in regime libero-professionale, tanto che
nessuno dei soggetti indicati nei certificati era un suo paziente.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p., avendo con
motivazione illogica i giudici di appello ritenuto che la falsità dei certificati medici era stata

Con il sesto motivo si lamenta mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di derubricazione

ammessa dallo stesso imputato in sede di interrogatorio dinanzi al p.m., senza dare conto degli
specifici motivi di impugnazione, con travisamento anche della prova avendo il Di Martino
dichiarato di aver collaborato con il Cesarano e di aver redatto certificati medici senza avere visitato
i pazienti e non, invece, dichiarato la falsità dei certificati, essendosi limitato a prendere atto di una
precedente certificazione medica, da altri redatta, ed esercitando una valutazione prognostica in

Con il quinto motivo, infine, si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, negate
dalla Corte di appello con frasi di stile, senza tenere conto delle dichiarazioni confessorie
dell’imputato rese sin dalla fase delle indagini preliminari.
Con motivi nuovi, depositati il 2.7.14, Di Martino, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata
sentenza ripercorrendo in piincipalità le doglianze già formulate con l’atto di gravame, ha sostenuto
che la Corte di appello, diversamente da quanto effettuato dal giudice di primo grado che aveva
riqualificato il fatto di reato di cui al capo EEE), originariamente rubricato come p. e p. dall’art.479
c.p., nel reato di cui all’art.481 c.p., aveva — violando il principio del divieto di reformatio in peius
— riqualificato il fatto ai sensi dell’art.479 c.p. senza che vi fosse stata impugnazione da parte del
p.m., pervenendo ad un trattamento sanzionatorio più severo poiché, a fronte di un aumento ex
art.81 c.p. stabilito dal primo giudice in mesi quattro di reclusione, aveva operato per il reato sub
EEE) un aumento di mesi nove di reclusione.
Il primo motivo di ricorso di Cesarano è infondato.

ordine al recupero funzionale dell’arto interessato dalla lesione.

Con motivazione tutt’altro che apodittica, i giudici territoriali, in relazione alla fattispecie
associativa contestata al capo A), premesso che l’associazione in questione era sopravvissuta
rispetto alla data di commissione dei reati-fine, hanno evidenziato come proprio il Cesarano sia
risultato il promotore di una organizzazione avente come scopo quello di realizzare una serie
indeterminata di truffe alle compagnie di assicurazione, avvalendosi di false certificazioni mediche
e di mendaci dichiarazioni rese da testimoni compiacenti.

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E’ stato lo stesso Cesarano, del resto, a delineare i contorni del sodalizio criminoso, che prevedeva
la collaborazione di medici, avvocati e testimoni che si prestavano ad apportare il loro contributo
per realizzare la frode ed ottenere risarcimenti indebiti, come è emerso anche — hanno sottolineato i
giudici di merito — dalla documentazione sequestrata presso l’imputato, il quale aveva realizzato un
vero e proprio archivio che conteneva dati —consistenti, tra l’altro, in annotazioni delle pratiche con
i falsi sinistri e i nominativi degli avvocati a cui erano affidati – da cui desumere l’esistenza di una
sofisticata organizzazione all’interno della quale ciascun imputato svolgeva il ruolo affidatogli dal
Cesarano per il raggiungimento dello scopo comune, quello cioè di frodare le compagnie
assicuratrici.
Tale organizzazione — hanno ancora precisato i giudici partenopei — era rimasta attiva fino al 2005
(precisamente, fino al 10.2.05, data di esecuzione delle ordinanze custodiali), dal momento che il
materiale in sequestro era rimasto nella disponibilità del Cesarano fino al 24.10.04 (data in cui
l’archivio era stato rinvenuto) ed altra documentazione rilevante era stata sequestrata nel novembre
del 2004 presso l’abitazione della coimputata (non ricorrente) Cuomo e presso lo studio del Lorini.
Non certo illogicamente, pertanto, i giudici di merito hanno ritenuto che solo l’arresto degli imputati
aveva posto fine alla operatività del sodalizio criminoso, per il quale sussisteva raffica° societatis

scelerum, che non è necessario peraltro che assuma carattere di assoluta stabilità (v. Cass., sez.V, 28
giugno 2000, n.15525), da parte dei componenti che hanno agito continuativamente per il
raggiungimento del programma associativo nella consapevolezza di partecipare attivamente alla
realizzazione dell’accordo e quindi del programma criminoso, con conseguente non operatività
della prescrizione, maturando essa (con le intervenute sospensioni ) solo il 13.9.14, essendo al
Cesarano contestata l’ipotesi associativa di cui al comma 1 dell’art.416 c.p.
Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Cesarano è stato trovato in possesso di numerosi motoveicoli che presentavano il numero di telaio
profondamente abraso, non per cause naturali, e della cui provenienza l’imputato non ha offerto
giustificazione alcuna all’atto del ritrovamento da parte della p.g., per cui è giurisprudenza pacifica

di questa Corte che il possessore di un mezzo, alterato nella parte riservata alla sua identificazione
(numero di telaio), deve essere ritenuto responsabile della falsificazione e della ricettazione ove non
dimostri la legittimità del possesso, posto che l’abrasione — la quale impedisce l’identificazione del
mezzo — ha pieno valore ai fini della dimostrazione della provenienza illecita dell’oggetto e della
conoscenza di essa da parte del possessore (v. Cass., sez.II, 16 settembre 2008, n.38887).

(art.479 c.p.) di cui ai capi DDD),EEE),GGG), non è intervenuta alcuna reformatio in peius da parte
della Corte napoletana, poiché anche in secondo grado, come pure era avvenuto all’esito del
giudizio dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, è stata mantenuta ferma l’imputazione ex art.479
c.p.
Del tutto generico si presenta il quarto motivo, con il quale si lamenta la mancata valutazione della
perizia (recte, consulenza) difensiva introdotta dalla difesa con i motivi aggiunti del 24.10.11,
reputata peraltro dalla Corte di merito, con motivazione adeguata, non in grado di sovvertire le
risultanze probatorie costituite principalmente dalla deposizione del teste Avv. Fontana, il quale ha
escluso che la testimonianza di cui al verbale del 9.2.04 sia stata resa dalla persona del Cesarano.
Infondato è, infine, l’ultimo motivo di impugnazione, relativo alla mancata concessione delle
attenuanti generiche, avendo i giudici territoriali congruamente motivato il diniego osservando
come, pur a fronte del comportamento collaborativo dell’imputato, < la gravità dei fatti ed il numero elevatissimo di condotte illecite realizzate, sono rivelatrici di una non comune inclinazione a delinquere >, potendo ritenersi < che l'imputato avesse eletto a sistema di vita la sua attività delinquenziale dedicandosi in modo sistematico e professionale alle truffe in danno della compagnie assicuratrici >.
Conclusivamente, il ricorso di Cesarano Alfonso deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso di Lorini Patrizio, relativo ai reati di falso di cui ai capi GGG) e HHH),
realizzati al fine di commettere il reato (dichiarato prescritto) di falsa testimonianza sub O), non è
fondato.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, in quanto con riferimento ai reati di falso

Con motivazione pienamente adeguata, i giudici territoriali hanno infatti evidenziato come la prova
della sussistenza di tali reati riposi sulla testimonianza dell’Avv. Fontana — la cui attendibilità è
adeguatamente argomentata -, secondo cui la persona che il 9.2.04 aveva reso testimonianza nella
sopra indicata causa civile non era il Cesarano.
Tale testimonianza è poi stata corroborata dalle risultanze della consulenza grafica espletata dal c.t.

Cesarano e tali risultanze non possono essere poste in dubbio da una diversa lettura offerta, in sede
di motivi aggiunti, dal consulente della difesa, per cui del tutto correttamente la Corte di appello ha
ritenuto, alla luce del compendio probatorio acquisito, del tutto ultronea e non necessaria ai fini
della decisione la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, avanzata dalla difesa del
Lorini, volta all’espletamento di perizia grafica.
Infondato è anche il secondo motivo di gravame, avendo i giudici di merito ancorato il giudizio di
responsabilità per la partecipazione del Lorini al reato associativo sub A) non a congetture, come
tali sganciate dalle risultanze istruttorie, secondo quanto censurato dalla difesa del ricorrente, ma a
precise considerazioni giuridico-fattuali evidenzianti da un lato gli indubbi rapporti di colleganza
esistenti non solo tra Lorini e Cesarano, promotore dell’organizzazione, ma anche tra quest’ultimo e
i coimputati Liguori e Cuomo; dall’altro la consapevolezza in ognuno degli imputati dell’esistenza
di un sodalizio di persone dedite (come ciascuno di essi) alla commissione di reati in danno della
compagnie assicuratrici, con la necessità pertanto — come ben evidenziato dai giudici partenopei -,

del p.m., che hanno escluso che la firma apposta sul verbale di udienza sia riconducibile al

per il raggiungimento di tale fine illecito, che vi fosse un soggetto deputato alla denuncia di un falso
sinistro stradale ed un avvocato disposto a patrocinare cause relative a sinistri inesistenti.
E’ proprio la continuità e la sistematicità di tali condotte criminose a rendere evidente in ciascun
partecipante all’associazione promossa dal Cesarano la consapevolezza — hanno non certo
illogicamente ritenuto i giudici territoriali – di far parte di un articolato sodalizio criminoso,
operante per la realizzazione di una serie indeterminata di truffe, alla quale anche il Lorini ha
prestato il suo volontario contributo per la realizzazione del pactum sceleris.
-(

0

Poiché però per il Lorini l’imputazione ha riguardo all’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art.416 c.p.
e non essendo manifestamente infondato il relativo atto di gravame, la sentenza impugnata deve
essere annullata senza rinvio essendo maturato, pur computati i periodi di sospensione, il termine
massimo prescrizionale di anni sette e mesi sei alla data del 23.8.13, dovendo trovare applicazione,
ratione temporis, la più favorevole previsione del novellato art.157 c.p.

reato sub A), di mesi due di reclusione.
Infondato è anche il terzo motivo, ancora relativo ai reati di falso (capi GGG e HHH), relativamente
al quale non possono che richiamarsi le considerazioni svolte in ordine al primo motivo, mentre
manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, non essendo maturato il termine massimo di
prescrizione che, in ragione della contestata e ritenuta aggravante di cui al comma 2 dell’art.476
c.p., è di anni 12 e mesi 6.
Infondato è il quinto motivo di gravame, relativo alla ricettazione ( capo JJJ ) del timbro
contraffatto, recante la dicitura < Tribunale di Torre Annunziata pervenuto il...>.
Tale timbro, rinvenuto nella disponibilità dell’imputato, è risultato commissionato presso una
tipografia di Castellammare di Stabia da un soggetto rimasto sconosciuto e poiché di esso l’odierno
ricorrente è venuto in possesso, consapevole della illecita provenienza che —come perspicuamente
sottolineato dai giudici di appello — non poteva sfuggire al Lorini anche in ragione dell’attività
professionale svolta, correttamente è stato ritenuto il reato di cui all’art.648 c.p., essendo non certo

Deve quindi essere detratta dalla pena complessiva, quella, stabilita a titolo di continuazione per il

irragionevole ritenere il collegamento del possesso del timbro alla vicenda dei falsi sinistri e a nulla
rilevando (se non per escludere la configurabilità del reato di cui all’art.468 c.p. e nel ritenere,
implicitamente, il fatto complessivamente considerato non suscettibile di essere sussunto sotto la
previsione di cui al cpv. dell’art.648 c.p.) l’eventuale mancato uso del predetto timbro, poiché il
delitto di ricettazione ha carattere istantaneo e si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il
possesso della cosa (v. Cass., sez.II, 8 aprile 2008, n. 19644).

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Del tutto generico è, infine, il settimo motivo con il quale si lamenta la mancata concessione delle
attenuanti generiche, nessun elemento concretamente positivo essendo stato portato dal ricorrente
alla valutazione del giudice di appello prima e di questa Corte poi, se non una aspecifica doglianza
per non essere stato il trattamento sanzionatorio perequato a quello determinato per i coimputati
che, ammessi a riti alternativi, avevano ottenuto il riconoscimento delle attenuanti ex art.62-bis c.p.
Il motivo di ricorso articolato dal Di Martino nei punti I e 2, relativo a violazione di legge con
riferimento al reato di concorso in falso continuato di cui al capo EEE) (artt.110, 81 cpv., 479 c.p.),
è fondato nei limiti che seguono.
Ribadito come non possa parlarsi di reformatio in peius dal momento che sia in primo grado che in
secondo grado è stata ritenuta la violazione dell’art.479 c.p. — e non quella di cui all’art.481 c.p.,
neanche con riferimento al reato sub EEE), pur avendo per tale capo d’imputazione il primo giudice
fatto incongruo riferimento ad una riqualificazione ex art.481 c.p., peraltro non concretizzatasi nel
dispositivo della sentenza proprio per le considerazioni svolte dal medesimo giudice alle pagg.53 e
54 della sentenza di primo grado – , tuttavia è state opera«) dalla Corte partenopea, a titolo di
continuazione per il reato sub EEE), un aumento di mesi nove di reclusione sulla pena base, laddove
invece il giudice di primo grado aveva determinato detto aumento in mesi quattro di reclusione.
In tali limiti il motivo di ricorso deve essere accolto con riduzione a mesi quattro di reclusione per il
Di Martino dell’aumento determinato a titolo di continuazione per il reato sub EEE).
Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
Correttamente è stato ritenuto, con riferimento alle prescrizioni mediche ideologicamente false
(capo DDD), rilasciate, su istigazione di Cesarano, da Di Martino, medico convenzionato con il
Servizio sanitario nazionale , nelle quali si attestava falsamente di aver sottoposto a visita le persone
indicate nel capo d’imputazione e di averle riscontrate affette da patologie varie da curare con cicli
di fisioterapia, il reato di cui all’art.479 c.p.
E’ indubbio, infatti, che il predetto sanitario fosse consapevole che tali certificazioni dovevano
essere utilizzate per ottenere indebiti risarcimenti dalle compagnie assicuratrici e poiché il Di

Martino, in qualità di medico convenzionato con il S.S.N., rivestiva la qualifica di pubblico
ufficiale, egli, rilasciando tali certificazioni su carta intestata di medico convenzionato, ha creato un
documento comunque proveniente da un medico convenzionato, nell’esercizio delle sue funzioni, il
cui falso contenuto integra gli estremi del delitto di falso ideologico commesso dal pubblico
ufficiale in atto pubblico fidefacente, in quanto il medico convenzionato con il S.S.N. non rilascia

fatti produttivi di effetti giuridici.
Manifestamente infondato è il quarto motivo, non essendo ravvisabile il lamentato vizio di
motivazione o di travisamento della prova per avere i giudici partenopei interpretato
contraddittoriamente le dichiarazioni del Di Martino, arbitrariamente reputandole confessorie.
Nell’atto di appello, infatti, non viene in specifica contestazione il contenuto confessorio delle
dichiarazioni del Di Martino e pertanto legittimamente i giudici di secondo grado, nel reputare non
necessaria la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per accertare la falsità
ideologica dei certificati, hanno fatto esplicito riferimento alle affermazioni dell’imputato di non
aver visitato neanche un paziente, derivandone per conseguenza logica la falsità ideologica dei
relativi certificati dal predetto sanitario rilasciati.
La versione offerta alla lettura di questa Corte dalla difesa del Di Martino — sostenendo che
l’imputato si era semplicemente limitato a prendere atto di una preesistente certificazione medica,
esercitando una valutazione prognostica in ordine al recupero funzionale dell’arto interessato dalla

una semplice certificazione o una ricetta, ma attesta come da lui compiuti, nella sua sfera di attività,

lesione – è invero riduttiva ed in alcun modo può essere ritenuta fondante il lamentato vizio di
travisamento della prova, anche considerato che il giudice di appello, oltre a fare rinvio per
relationem alla sentenza di primo grado, in cui sono indicate le altre fonti di prova su cui riposa il
giudizio di responsabilità del Di Martino (tra cui le ammissioni di alcuni ‘pazienti’ di non essere
mai stati visitati dal Di Martino), ha rimarcato come l’imputato abbia ‘affermato chiaramente’ di
aver collaborato per circa tre anni con il Cesarano, quale consulente medico nelle pratiche di
risarcimento, stilando diversi certificati medici dei pazienti propostigli dal Cesarano, attestanti la

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loro inabilità, senza sottoporli a visita medica, correttamente reputando poi i giudici di merito
irrilevante, ai fini della sussistenza dei reati contestati ai capi DDD) ed EEE), che il Di Martino si
sia limitato a certificare il prolungamento della malattia già rilevata da altri.
Legittimamente, infine, sono state negate al prevenuto le invocate attenuanti generiche, avendo il
giudice di secondo grado fatto riferimento alla gravità dei fatti e alla pluralità delle condotte

Al rigetto del ricorso di Cesarano segue la condanna del medesimo al pagamento delle spese
processuali.
Lorini e Cesarano vanno condannati, in solido, a rifondere alla parte civile Associazione
Federconsumatori della Campania le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi
€3.200,00, oltre accessori come per legge.
P . Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo A) contestato a
Lorini Patrizio, perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso, anche agli effetti civili.
Annulla, per Di Martino Alfonso, la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio
determinato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo EEE), continuazione che riduce a
mesi quattro di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Rigetta il ricorso di Cesarano Alfonso che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna i ricorrenti Lorini e Cesarano, in solido, alla rifusione, in favore della parte civile
Associazione Federconsumatori della Campania, delle spese sostenute nel presente giudizio,
liquidate in complessivi € 3.200,00, oltre accessori come per legge.
Roma, 17 luglio 2014

criminose, rivelatrici di particolare inclinazione a delinquere.

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