Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35094 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35094 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCOTTI TIZIANO LORENZO N. IL 12/03/1957
SCOTTI ROBERTO N. IL 19/05/1960
avverso la sentenza n. 6140/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ite tikr, ckfz_t

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/06/2014

•1

Propongono ricorso per cassazione Scotti Tiziano Lorenzo e Scotti Roberto, avverso la sentenza
della Corte d’appello di Milano, in data 10 aprile 2013, con la quale, per quanto qui di
interesse, è stata confermata quella di primo grado, emessa nel 2008, di condanna in ordine al
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
Tale reato è stato ad essi addebitato, in relazione a condotte distrattive e alla irregolarità nella
tenuta delle scritture contabili, concernenti la società Esse DA, dichiarata fallita il 12 dicembre
2001, società della quale Tiziano Scotti era Presidente e Consigliere delegato mentre Roberto
Scotti era Consigliere delegato con poteri di ordinaria amministrazione.
Nella sentenza impugnata si attesta anche che la società fallita, oltre ad operare in una
situazione di confusione tra la vecchia e la nuova denominazione, aveva anche la sede legale,
a partire da giugno 2001, nello stesso capannone in cui operavano altre società riconducibili
alla stessa famiglia Scotti, e tra queste la Tisco Italian style S.r.l., amministrata da Armando
Scotti il quale ne era socio assieme alla moglie di Roberto Scotti. Tale società aveva stipulato
con la fallita, pochi mesi prima della declaratoria di fallimento, un contratto di affitto della
intera azienda della Esse DA, contratto che però era stato risolto unilateralmente da Tisco
pochi mesi dopo, senza avere versato alcun canone.
L’attività di rilievo penale era consistita- secondo l’ipotesi accusatoria accreditata- quanto ai
due ricorrenti in concorso, nella distrazione dell’intero magazzino per un valore contabile di 2
miliardi di lire, pari a poco più di 1 milione di euro e, altresì, nella distrazione, in favore di
Scotti Armando, della somma di 600 milioni di lire prelevati con assegni circolari; infine nella
distrazione del pagamento ricevuto da un cliente e nella irregolare tenuta delle scritture
contabili ( punti a, b, g, h ); quanto a Scotti Tiziano ( in concorso col deceduto Russo), nella
distrazione di somme ricevute in pagamento da clienti e di somme prelevate senza
giustificazione dal conto della fallita (punti c,d,e); quanto al solo Scotti Roberto,
nell’ingiustificato prelevamento di somme dal conto della società (punto f).
Gli imputati sono stati condannati, ciascuno, alla pena di quattro anni e mesi sei di reclusione,
essendo stata loro negata la concessione delle attenuanti generiche per il comportamento
particolarmente sleale tenuto nei confronti del curatore, al quale sono stati occultati crediti e
disponibilità liquide non senza previamente anche sottrarre dalla contabilità delle fatture al fine
di incamerare il corrispettivo all’insaputa della procedura.
Deducono con distinti ricorsi sostanzialmente sovrapponibili, a parte alcune differenze delle
quali si dirà
1) il vizio totale della motivazione in riferimento alle questioni poste nei motivi d’appello.
La Corte territoriale aveva ripreso per intero la motivazione del primo giudice,
richiamata per relationem, senza considerare le doglianze degli impugnanti a proposito
del fatto che il valore contabile del magazzino non corrispondeva alla realtà, assai
inferiore;
del fatto che la distrazione di 600 mila euro a favore di Scotti Armando, padre dei
ricorrenti, tale non era, essendosi trattato della restituzione di un finanziamento
precedentemente effettuato da costui alla fallita;
del fatto che non erano state considerate le giustificazioni date dalla difesa in
relazione all’incasso di somme;
del fatto che mancava completamente il dolo specifico del reato di bancarotta
fraudolenta documentale;
del fatto che erano state negate le attenuanti generiche a causa dell’elevato valore
del magazzino, in realtà non provato;
1

FATTO E DIRITTO

- del fatto che Roberto Scotti avesse svolto solo un ruolo inerente la fase produttiva e
non amministrativa.

2) la violazione degli articoli 192 e 193 cpp, nonché il vizio della motivazione anche nella
forma del travisamento della prova (relativamente al punto a) .
Sostiene il difensore che, con riferimento alla contestata distrazione del magazzino, il
valore di questo era stato calcolato sulla base del dato emergente dalle scritture
contabili, al quale era stato attribuito un valore privilegiato: e ciò, nonostante che il
codice di rito penale non preveda prove legali e nonostante che quel dato fosse stato
smentito da prove testimoniali convergenti, quali le dichiarazioni del curatore
fallimentare e del teste Panzera, che avevano affermato che quel valore era assai più
contenuto.
Svalutando del tutto tali testimonianze, la Corte territoriale aveva sostanzialmente
negato l’esistenza di una prova invece acquisita ed aveva violato l’articolo 546 comma 1
lettera e) in quanto non aveva motivato sulla asserita inattendibilità di quelle
deposizioni.
Lo stesso vizio riguardava la motivazione sulla condotta che, nella medesima
prospettiva della distrazione dei beni aziendali, era stata ritenuta di rilievo penale e cioè
quella consistita nell’affitto del ramo di azienda senza corrispettivo per la fallenda. In
realtà tale corrispettivo era stato indicato, dalla difesa, nell’accollo del trattamento di
fine rapporto, da parte della cessionaria dell’azienda – Tisco Italian Style S.r.l.Eppure, tale accollo, non ritenuto provato dalla Corte territoriale, era invece dimostrato
per tabulas dal fatto che soltanto uno dei dipendenti della società si era insinuato nel
passivo fallimentare per il pagamento del TFR, con ciò rimanendo dimostrato che tutti
gli altri dipendenti erano stati tacitati. In tal senso avevano deposto i testi Monterosso
e Perego.
La difesa critica la motivazione data, al riguardo, dalla Corte territoriale, affermando
che non è riuscita a dimostrare- se non con considerazioni sparse ed empiriche- la
falsità dell’assunto difensivo il quale non pretendeva di provare che tutti,
indistintamente, i lavoratori della società fallita fossero stati soddisfatti e comunque che
lo fossero stati direttamente dalla Tisco;
3)

la mancata assunzione di prova decisiva con riferimento alla distrazione di cui al punto
b).
La documentazione della difesa aveva tentato di produrre era volta a dimostrare il
credito vantato da Armando Scotti nei confronti della società, per un totale di
1.300.000.000 di lire, corrispondente al valore dell’aiuto prestato tramite il rilascio di
una fideiussione che poi era stata escussa per l’ammontare di 600 milioni di lire.
La difesa contesta la motivazione con la quale la Corte aveva negato ingresso a quei
documenti, giudicati erroneamente inerenti la posizione del solo Armando.
Inoltre per tutto apodittica l’affermazione del concorso di Scotti Tiziano alla iniziativa
distrattiva che era stata attribuita materialmente a Scotti Roberto, quale titolare di una
procura ad operare sul conto;

4)

la inosservanza dell’articolo 216 fallimentare relazione alla bancarotta documentale,
illustrata senza la menzione del dolo specifico (punto h).

2

Tal genere di motivazione era in violazione delle norme del codice di rito che impongono
di replicare agli argomenti a favore dell’imputato;

Anche la pena risultava, conseguentemente, spropositata in relazione alla ritenuta
entità del magazzino distratto e allo stato di incensuratezza di entrambi ricorrenti.
I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

hanno formato oggetto di specifica critica, anche corredata dalla deduzione di circostanze di
fatto non considerate o considerate erroneamente dall’organo giurisdizionale di prime cure, è
anche vero, per converso, che non ricorre tale situazione quando, alla completa disamina
operata dal primo giudice, l’appellante opponga deduzioni o circostanze di fatto che sono state
già esaminate dal giudicante e superate sia dagli argomenti che dalle considerazioni da questi
formulate.
In altri termini, il mezzo di impugnazione non può servire soltanto a richiedere al secondo
giudice di esprimersi nuovamente su vicende, rapporti, situazioni storiche capillarmente
analizzati dal primo giudice se, a tale analisi, l’appellante non riesca ad affiancare un reale
punto di vista diverso o uno o più elementi sfuggiti al primo giudice.
Proprio questa ultima è la situazione verificatasi nel caso di specie, nel quale il giudice
dell’appello non solo ha richiamato dettagliatamente i consistenti argomenti del primo giudice
ma, a questi, ha affiancato le proprie motivate considerazioni in replica ai motivi d’appello.
E dunque da escludere la violazione dell’articolo 125 cpp come quella dell’articolo 566 del
codice di rito, emergendo dalla motivazione della sentenza impugnata la assoluta inidoneità
degli argomenti addotti in sede di appello e reiterati nel ricorso per cassazione, a superare la
tenuta logica della motivazione conforme dei due giudici di merito.
Passando al dettaglio e dunque rispondendo al secondo motivo di ricorso, deve darsi atto che
la principale condotta distrattiva addebitata ai ricorrenti, e cioè il fatto di avere sottratto alla
massa dei creditori risorse patrimoniali costituite essenzialmente dal magazzino della fallita, è
stata motivata in maniera plausibile ed esaustiva dalla Corte territoriale.
Questa, come il primo giudice, ha ritenuto probante il dato del valore dei beni, come attestato
nel bilancio al 31 dicembre 2000, non già attribuendo, a questo, valore di prova legale, bensì
utilizzando il dato in una prospettiva dinamica correlata a quella di altri dati.
In primo luogo, la Corte ha evidenziato la mancanza di prove documentali di segno oppostonon essendo stato rinvenuto il libro dei cespiti- ed inoltre ha segnalato che si trattava di un
dato del tutto affidabile poiché era risultata anche la movimentazione, nei primi cinque mesi
del 2001, di beni di magazzino per un valore ugualmente assai elevato, cioè quello di 1
miliardo e trecento milioni di lire, confermato da un teste (Falconeri).
Sulla scorta di tali valori e di tali considerazioni, il ragionamento della Corte territoriale è non
solo plausibile ma anche completo laddove contrappone la concretezza della propria
conclusione alla evanescenza delle prove dichiarative che la difesa sostiene essere state
pretermesse: quelle cioè del curatore e di altro teste che, avendo parlato di un valore inferiore
dei beni di magazzino, sono stati ritenuti autori di affermazioni generiche e, in quanto tali,
incapace di contrastare efficacemente il dato attestato nelle scritture contabili ufficiali.
In altri termini, oltre a doversi affermare che tali prove testimoniali non sono state affatto
travisate -diversamente da quanto sostenuto dalla difesa -ma valutate dal giudice del merito
nell’esercizio del potere discrezionale che gli compete, va anche notato che si tratta di
affermazioni certamente incapaci di far cadere l’accusa di bancarotta fraudolenta per
distrazione- dal momento che, invece, ne sostengono il presupposto- e, comunque, sono
inidonee anche allo scopo di ridimensionare l’entità della distrazione stessa perché non capaci
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Il difensore dei ricorrenti deduce principi giuridici formulati dalla giurisprudenza di legittimità,
del tutto corretti ma non calzanti in relazione al caso di specie.
Se è vero infatti che il giudice dell’appello non può motivare per relationem e cioè limitandosi a
richiamare gli argomenti addotti dal giudice di primo grado, quando proprio tali argomenti

di guidare il giudice verso un risultato probatorio concreto ed apprezzabile o anche soltanto
verso un principio di prova dal quale possa trarsi un risultato processuale effettivo.
Ugualmente presente e rilevante è la motivazione riservata dalla Corte territoriale alla tesi
difensiva dell’essere stato, il valore del magazzino, compensato dalla cessionaria con l’accolto
di parte degli stipendi arretrati e del trattamento di fine rapporto dei dipendenti.
I giudici di secondo grado, sul punto, hanno ricordato, in primo luogo, come, sul tema, siano
state del tutto difformi le dichiarazioni non solo della teste Panzera, ma anche di quelle di
Scotti Tiziano di Scotti Armando. Inoltre, quanto a quest’ultimo, la prospettazione dell’accolto
dei trattamenti di fine rapporto era stata prospettata ai giudici senza l’esibizione di alcuna
documentazione a sostegno, essendo stata per giunta rinvenuta una missiva al curatore nella
quale gli ex dipendenti affermavano che il pagamento del trattamento di fine rapporto da parte
del Tisco era una mera dichiarazione di intenti.
La Corte non ha nemmeno evitato di confrontarsi con le dichiarazioni di alcuni dipendenti, per
affermare che, nella loro vaghezza o comunque del loro contenuto, quelle erano tali da non
supportare in maniera univoca la tesi difensiva.
Ancora una volta, cioè, si è in presenza di una valutazione in fatto che non si espone
all’ulteriore sindacato della Corte di legittimità, perché esaustiva e razionale.
Anche in riferimento alla distrazione di cui al punto b), la motivazione della Corte, sulla non
ammissibilità della documentazione che la difesa intendeva produrre, è presente e congrua:
essa fà riferimento alla frammentarietà e parzialità della documentazione stessa, consistita in
documenti bancari relativi a movimenti in entrata del conto corrente, risalenti al 1997, privi di
indicazioni circa la causale e dunque non qualificabili come finanziamenti, peraltro non iscritti
nei bilanci e nelle scritture contabili.
Impossibile, pertanto, accreditare la versione difensiva secondo cui il giudice dell’appello
avrebbe assunto una decisione illegittima e immotivata, rimanendo lo stato degli atti, anche
alla luce della documentazione che la difesa avrebbe voluto produrre, quello di un prelievo
ingiustificato, in favore di Scotti Armando, di una somma che non può essere qualificata come
restituzione di precedente finanziamento alla società.
La responsabilità di Scotti Tiziano, d’altra parte, risulta fatta implicitamente- ma non per
questo meno evidentemente dipendere dalla qualità formale di amministratore della società e
dal fatto che, al pari di Roberto, era autorizzato ad operare sul conto corrente sul quale erano
stati tratti gli assegni in favore di Armando,per un valore assai rilevante, non essendosi
minimamente adombrato, da parte della difesa, che l’operazione fosse stata effettuata
all’oscuro del responsabile della gestione della società.
Il motivo sub 4), infine, risulta formulato in termini non solo generici ma anche
manifestamente infondati, posto che in base alla costante giurisprudenza , il reato di
bancarotta fraudolenta documentale, nella forma esplicitata al punto h) della imputazione, non
prevede il dolo specifico ma il dolo generico, che è quello della tenuta delle scritture in guisa
tale che lo stesso amministratore sa e vuole siano inidonee a consentire la ricostruzione del
movimento degli affari.
Anche la critica alla entità della pena è da respingere sia perché fondata sulla doglianza
contenuta nel primo motivo di ricorso, già qualificata come non apprezzabile, sia perché
contrastata dall’obbiettivo rilievo che il giudice dell’appello ha ampiamente motivato la
subvalenza del dato dell’ incensuratezza dei prevenuti rispetto a quello della estrema gravità
della condotta dagli stessi tenuta nei confronti del curatore, occultando questi cespiti e
documenti rilevanti.
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r


PQM

rigetta i ricorsi a condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma iI4 giugno 2014
ente
il Consigliere estensore

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