Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35085 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 35085 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bellotti Roberto, nato a Pescara il 26/10/1973

avverso la sentenza del 21/06/2012 della Corte d’Appello dell’Aquila

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di
Pescara del 02/11/2009, con la quale Roberto Bellotti era ritenuto responsabile
del reato continuato di cui agli artt. 336, 635 e 614 cod. pen., commesso il
04/04/2007 sfondando la porta d’ingresso del Servizio tossicodipendenze di
Pescara, danneggiandone la serratura, entrando nella struttura in orario di

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Data Udienza: 21/05/2014

chiusura della stessa e costringendone gli addetti, con la minaccia di ulteriori
danneggiamenti, a somministrargli la terapia metadonica; e condannato alla
pena di anni uno di reclusione.
L’imputato ricorre sull’affermazione di responsabilità e deduce mancanza di
motivazione nell’acritico richiamo alle dichiarazioni testimoniali e nell’omessa
valutazione della loro attendibilità; illogicità del ritenuto danneggiamento di una
porta blindata, con un semplice calcio, ad opera di un soggetto debilitato dalla
tossicodipendenza; e violazione di legge nella qualificazione come violenza a

rivolta dall’imputato, in crisi di astinenza, alla struttura in quanto tale, motivata
dalla lamentata rigidità dell’orario della stessa e comunque diretta ad ottenere il
compimento di atti propri dell’ufficio, e nella ritenuta sussistenza del reato di
violazione di domicilio con riguardo all’accesso ad una struttura presso la quale
l’imputato aveva in corso un programma terapeutico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
La censura di carenza motivazionale nell’asseritamente omessa valutazione
delle richiamate dichiarazioni testimoniali è generica, laddove nella sentenza
imputata si evidenziava come il racconto dell’infermiera Verdecchia trovasse
riscontro nelle dichiarazioni della guardia giurata Talia e del verbalizzante De
Luca; facendosi riferimento in tal senso alle riportate osservazioni della sentenza
di primo grado sull’aver il primo visto l’imputato sferrare un calcio contro la porta
di ingresso del servizio, ed il secondo constatato il danneggiamento della
serratura di quella porta. Ed a fronte di queste ultime risultanze si manifesta
altresì generica la doglianza di illogicità dell’affermazione per la quale l’imputato
sarebbe stato in grado di danneggiare la porta con un calcio, che discute
l’astratta plausibilità di un’ipotesi laddove la conclusione è il risultato di dati
rappresentativi diretti.
Neppure attinente all’effettivo contenuto della motivazione è la censura sulla
ritenuta rilevanza penale, ai fini della previsione incriminatrice di cui all’art. 336
cod. pen., di quella che il ricorrente assume essere stata una richiesta di
somministrazione della terapia genericamente rivolta dall’imputato alla struttura,
ove nella sentenza impugnata si rilevava a questo proposito, in base alle
dichiarazioni della Verdecchia, come il Bellotti, una volta entrato nei locali del
servizio forzandone la porta, avesse minacciato di danneggiare altri oggetti se
non avesse ottenuto la somministrazione; mentre manifestamente infondato è il
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pubblici ufficiali di una richiesta di somministrazione della terapia genericamente

rilievo per il quale la richiesta dell’imputato sarebbe stata diretta ad ottenere il
compimento di atti dovuti, nel momento in cui il fatto avveniva in orario di
chiusura del servizio. Così come manifestamente infondata è la doglianza sulla
riconducibilità alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 614 cod. pen.
dell’accesso ad una struttura presso la quale l’imputato aveva in corso un
programma terapeutico, particolare quest’ultimo irrilevante laddove per «privata
dimora», ai fini della ricorrenza del reato in esame, deve intendersi qualsiasi
luogo nel quale la persona compia anche in modo transitorio e contingente atti

247765), e quindi anche una struttura quale quella di cui all’imputazione,
soprattutto in quanto occupata da personale dell’ufficio in orario di chiusura al
pubblico.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare
equo determinare in €.1.000.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €.1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 21/05/2014

Il Consigliere estensore

della propria vita privata (Sez. 5, n. 30957 del 02/07/2010, Cirlincione, Rv.

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