Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3508 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3508 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISARENCO VIORICA N. IL 09/10/1965
avverso la sentenza n. 511/2008 CORTE APPELLO di ANCONA, del
24/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
A itt

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/10/2013

• FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Pisarenco Viorica, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona in
data 24 aprile 2012 con la quale, per quanto qui d’interesse, è stata confermata la condanna, inflitta in
primo grado, in ordine al reato di furto di due costumi da bagno e a quello di false generalità di cui
all’articolo 495 c.p., fatti risalenti al 5 maggio 2005.
Deduce la difesa
1)

anche ai sensi dell’articolo 606 lett. a) cpp, la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice
in dibattimento per rendere la propria testimonianza: un comportamento interpretabile come
incompatibile con la volontà di richiedere o di insistere nel perseguimento penale dell’imputata e,
dunque, come remissione tacita della querela.
Il giudice dell’appello si era sottratto al giudizio richiestogli poiché aveva omesso di valutare le
modalità di presentazione della querela, nei pressi della bancarella ove erano esposti i beni poi
sottratti, e soprattutto aveva sostenuto che il comportamento della persona offesa avrebbe potuto
essere interpretato nel senso proposto dalla difesa soltanto se il giudice le avesse indirizzato una
apposita ed esplicita moratoria: iniziativa non prevista dal codice perché non rientrante nei poteri
del giudice;

2)

il vizio della motivazione sul motivo d’appello con cui era stata posta la questione di cui al capo che
precede e richiesta l’attenuante del fatto lieve;

3)

il vizio della motivazione con riferimento al reato di cui all’articolo 495 c.p.
Era stata del tutto trascurata l’argomentazione difensiva secondo cui mancava il dolo del reato
contestato poiché l’imputata, che conosceva poco la lingua italiana, non si era resa conto che la sua
dichiarazione era destinata a essere recepita in un atto pubblico.
Altresì era stata pretermessa qualsiasi argomentazione sulla tesi della difesa relativa alla
resipiscenza ai sensi dell’articolo 56 commi 3 e 4 c.p.: l’imputata aveva infatti dichiarato le corrette
generalità non appena era stata trasferita in caserma e dunque prima della redazione del verbale,
con la conseguenza che il fatto avrebbe dovuto, quantomeno, essere qualificato ai sensi
dell’articolo 496 c.p.;

4)

il vizio della motivazione in relazione all’entità della pena, irrogata con riferimento alla condotta
esaurita in pochissimo tempo.

Il ricorso è da accogliere nei termini che si indicheranno.
La prima doglianza, invero manifestamente infondata, è volta segnalare la decisione del giudice del merito,
illegittima a parere della difesa, con la quale non è stato attribuito, al comportamento processuale tenuto
dalla persona offesa dal reato di furto, valenza di remissione tacita di querela.
Si trascura, tuttavia, di considerare che le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza numero 46088 del
2008, hanno preso in considerazione il tema qui sollevato dalla difesa e ne hanno escluso il fondamento
osservando, con motivazione articolata che si condivide e alla quale ci si richiama, che la mancata
comparizione del querelante – pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta
concludente nel senso della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la
volontà di persistere nella stessa, sì da integrare la remissione tacita, ai sensi dell’art. 152, comma secondo,
cod. pen..( rv 241357).
Proprio a tale principio la Corte d’appello si è richiamata, aderendo alla tesi secondo cui la mancata
comparizione, al processo, del querelante, non può essere interpretata univocamente come volontà di
1

dell’appello, al quale era stato segnalato il comportamento della persona offesa, non presentatasi

remissione: ciò, sia nel caso in cui la citazione del teste sia avvenuta con avvertimenti-peraltro non previsti
dalla legge come correttamente osservato dalla difesa-sia nel caso in cui agli avvertimenti siano mancati del
tutto.
È dunque del tutto destituita di fondamento la doglianza del difensore in base alla quale il giudice
dell’appello avrebbe fatto applicazione di principi non codificati in tema di remissione tacita della querela.
Ne consegue che è anche evidentemente inesistente il correlato vizio di motivazione denunciato nel
secondo motivo di ricorso, così come inesistente è il vizio di motivazione in ordine alla attenuante del fatto
di lieve entità, concessa all’imputato, come si desume dal rigo sei del foglio due della sentenza.

sono dunque inammissibili. La Corte territoriale ha ritenuto tale elemento sussistente in ragione del fatto
che la dichiarazione contenente le false generalità è stata resa dall’imputata, ai vigili, subito dopo essere
stata bloccata nel corso della fuga susseguente al furto e quindi nella piena coscienza del loro valore e della
destinazione a rifluire in un verbale.
Si tratta di un reato consistente nel rilascio, al pubblico ufficiale, delle false dichiarazioni sulla propria
identità e, sebbene il testo della norma , modificato nel 2008, non rechi più la menzione dell’essere, la
dichiarazione, verbalizzata in un atto pubblico, la giurisprudenza di questa Corte ha osservato che il reato
ex art. 495 cp, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 125 del 2008, si distingue da quello di
false dichiarazioni sulla propria identità poiché il disvalore è incentrato sulla condotta di “attestazione
falsa”, sicché, nonostante l’eliminazione del riferimento all’atto pubblico, esso incrimina tuttora il soggetto
che renda false dichiarazioni “attestanti”, ovvero tese a garantire, il proprio stato od altre qualità della
propria od altrui persona, destinate ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle
(Sez. 4, Sentenza n. 19963 del 15/04/2009 Cc. (dep. 11/05/2009 ) Rv. 244004).
Deve, dunque, convenirsi con la costante giurisprudenza di questa Corte che osserva come il delitto di cui
all’articolo 495 c.p. si consumi nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico ufficiale,
indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico, essendo sufficiente la “destinazione” a tale
riproduzione che costituisce un elemento qualificativo della condotta, di per sé idoneo a determinare una
più intensa lesione dell’interesse protetto e giustifica la più grave sanzione rispetto a quella prevista
nell’ipotesi di cui all’articolo 496 c.p. (v. Rv. 247353; conf. N. 2307 del 1984 Rv. 163126).
Dai rilievi appena formulati discende anche che non si pone, nell’ipotesi in esame, il tema della desistenza
volontaria o del recesso attivo, sicchè, sotto tale profilo, la motivazione resa dal giudice — che ha escluso
taluni requisiti delle dette figure- è errata e deve essere corretta.
La prima, costruita dalla giurisprudenza come causa di giustificazione, presuppone un’azione pervenuta nella

fase del tentativo punibile ( v. sent. rv 211656 e successive conformi) e non già interamente consumata,
come invece è avvenuto nel caso di specie.
li secondo, allo stesso modo, ha come presupposto l’assenza della consumazione, cui va aggiunto il
volontario impedimento dell’evento lesivo, quando è previsto dal reato ovvero, un’attività dell’agente
svolta per non pervenire alla consumazione, quando con la sola azione si integra il reato: requisiti entrambi
non rinvenibile nell’ipotesi in esame nella quale l’azione tipica del reato si è interamente consumata.
I rilievi appena formulati comportano che il ricorso è infondato ma non manifestamente infondato, con la
conseguenza che il termine della prescrizione ha continuato a decorrere anche dopo la pronuncia della
sentenza di appello, per la valida instaurazione del rapporto processuale di impugnazione dinanzi a questa
Corte di cassazione.
Esso è maturato il 5 novembre 2012 e la corrispondente causa di estinzione del reato va dichiarata ai sensi
dell’articolo 129 c.p. p., essendo da escludere evidenti cause di proscioglimento in merito e dovendosi
2

Le censure contenute nel terzo motivo di ricorso si sostanziano in una critica alla ricostruzione delle prove
operata dal giudice del merito in tema di elemento psicologico del reato di cui al capo B e, per tale aspetto,

anche evidenziare che l’ulteriore vizio di motivazione denunciato non può essere esaminato per la
necessaria immediatezza della rilevazione della causa di estinzione.
PQM
annulla la sentenza impugnata senza di rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
Così deciso il 4 ottobre 2013
il Presidente

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