Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35076 del 18/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 35076 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Gallimberti Ersilio, nato ad Adria il 13/03/1970
avverso la sentenza emessa il 02/10/2012 dalla Corte di appello di Trieste
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Enrico Delehaye, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per intervenuta prescrizione dei reati contestati
all’imputato

RITENUTO IN FATTO
1. Il 22/07/2008, il Tribunale di Pordenone condannava Ersilio Gallimberti
alla pena di mesi 4 di reclusione, ritenendo l’imputato responsabile del reato di
cui all’art. 393 cod. pen., così riqualificando due distinte contestazioni di tentata
estorsione e sequestro di persona. I fatti si riferivano ad un episodio occorso il
22/12/2004, quando l’imputato si era recato presso lo studio dell’Avv. Edoardo
Longo (il quale aveva curato delle precedenti prestazioni professionali in favore

Data Udienza: 18/04/2014

del Gallimberti), reclamando la restituzione della somma di 300,00 euro che egli
aveva versato al legale a titolo di fondo spese per le richiamate attività: secondo
l’ipotesi accusatoria, il prevenuto aveva strattonato il Longo, afferrandolo al
petto e tenendolo bloccato contro il muro per circa 10 minuti, ed in quel
frangente aveva pronunciato minacce di vario tipo.
Il Tribunale riteneva che dovesse escludersi l’addebito di cui agli artt. 56 e
629 cod. pen., avendo il Gallimberti agito non già per procurarsi un ingiusto
profitto, bensì al fine di avere indietro il denaro anticipato al professionista, dal

corrispondente alle notule pervenutegli: nella contestazione di ragion fattasi, così
riqualificato il reato sub A), era poi da intendere assorbito il presunto sequestro
di persona, essendo stata quella condotta – giammai pervenuta a determinare
una effettiva limitazione della libertà personale del soggetto passivo – soltanto
una delle complessive modalità violente poste in essere dall’imputato in vista
dell’unico scopo perseguito. In particolare, il Longo era stato considerato non
completamente credibile circa la durata dell’azione con cui era stato bloccato
contro la parete, indicata differentemente all’atto delle varie deposizioni rese:
secondo i giudici di prime cure, inoltre, il fatto che i due fossero poi usciti
insieme dallo studio per recarsi in un bar (stando al racconto del legale, perché
era riuscito a convincere il Gallimberti di non avere soldi con sé, e che presso
quell’esercizio gli sarebbe stato possibile farsene prestare) confermava che la
persona offesa non era stata mai in concreto privata della libertà di movimento.
In tal caso, infatti, l’avvocato non avrebbe atteso di raggiungere il locale per
trovare il modo di chiamare le forze dell’ordine, come poi accaduto, ma avrebbe
piuttosto cercato di fuggire lungo il tragitto, richiamando l’attenzione dei passanti
per ottenere un intervento immediato di Polizia o Carabinieri.

2. A seguito di impugnazione del P.g. territoriale, del Procuratore della
Repubblica di Pordenone e della parte civile, la Corte di appello di Trieste
riformava la pronuncia di primo grado, con sentenza emessa il 02/10/2012.
La Corte giuliana non accoglieva i gravami in punto di qualificazione giuridica
della condotta sub A), ritenendo – al pari del Tribunale – che nel caso concreto
dovesse ravvisarsi una ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con
violenza alla persona; considerava tuttavia integrato anche il reato ex art. 605
cod. pen., di cui al capo B) dell’imputazione, richiamando giurisprudenza di
legittimità secondo la quale «il reato di sequestro di persona può concorrere con
quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando l’agente sia mosso dal
fine di esercitare un preteso diritto e commetta il primo per eseguire il secondo»
(Cass., Sez. V, n. 9731 del 03/02/2009, Rovere, Rv 243020).

2

quale egli reputava di non avere ricevuto assistenza tecnica di valore

Esaminata dunque la contestazione, che veniva precisato riguardare soltanto
la condotta realizzata dal Gallimberti all’interno dello studio legale, i giudici di
appello segnalavano:
l’irrilevanza delle diverse indicazioni espresse dal Longo circa la durata
dell’aggressione subita, sempre formulate in termini approssimativi;
che l’azione di costrizione fisica contro il muro era stata sostanzialmente
sempre descritta come protrattasi per dieci minuti o giù di lì, da
aumentare a causa del successivo conciliabolo grazie al quale l’avvocato

che, come confermato dalla titolare del locale, anche in quella seconda
fase il Gallimberti aveva comunque “tenuto stretto” il Longo, al quale come da questi dichiarato – aveva continuato a dire che non l’avrebbe
lasciato andare;
l’impossibilità di ritenere che, in un contesto siffatto, l’aggressione si fosse
ormai conclusa, con il professionista limitatosi a invitare il Gallimberti a
prendere un caffè, a discussione terminata (come sostenuto dallo stesso
imputato);
che, in definitiva, il prevenuto aveva certamente leso la libertà di
movimento della persona offesa per un apprezzabile periodo di tempo,
non essendo comunque necessaria una privazione assoluta di detta
libertà per ritenere consumato il delitto di cui all’art. 605 cod. pen.
Ne derivava la declaratoria di penale responsabilità del Gallimberti anche per
il reato sub B), esecutivo del medesimo disegno criminoso sotteso al delitto ex
art. 393 cod. pen. (come da confermata riqualificazione del primo addebito) e da
considerare più grave, con conseguente rideterminazione del trattamento
sanzionatorio in mesi 7 di reclusione.

3. Avverso la pronuncia della Corte di appello di Trieste propone ricorso per
cassazione – che affida a tre motivi – il difensore dell’imputato.
3.1 Con il primo motivo, il ricorrente deduce erronea applicazione dell’art.
605 cod. pen., laddove risulta essere stata riformata la decisione del primo
giudice in punto di assorbimento della condotta contestata al capo B) nel reato di
cui all’art. 393 dello stesso codice; nell’interesse del Gallimberti si fa notare che
la giurisprudenza di legittimità in tanto consente di ravvisare un concorso
formale tra i reati de quibus in quanto la ritenuta limitazione della libertà abbia
avuto una propria rilevanza ed autonomia, e ciò può accadere soltanto qualora la
presunta condotta di sequestro di persona risulti estranea e comunque non
indispensabile alla soddisfazione del preteso diritto che si intenda, pur
arbitrariamente, esercitare. In caso contrario, come la difesa ritiene accadut

3

aveva convinto l’imputato a raggiungere insieme il vicino bar;

nella fattispecie concreta, si perverrebbe a compiere di fatto una “duplicazione
condannatoria”, conferendo rilievo ai fini del sequestro alle medesime forme di
coazione (lo strattonannento per gli abiti e l’ipotizzata immobilizzazione, non
emergendo dagli atti ulteriori condotte di violenza) già valutate come elemento
costitutivo della ragion fattasi: peraltro, la Corte territoriale risulta avere dato
atto della non particolare offensività del fatto, ai fini sanzionatori, il che
sconfessa

a fortiori

la possibilità di riconoscere un autonomo spazio di

applicazione alla più grave figura criminosa ex art. 605.

impugnata in punto di ritenuta ravvisabilità in capo all’imputato del dolo
necessario alla integrazione del delitto di sequestro di persona. Osserva il
ricorrente che nel caso in esame non sarebbe stato realizzato alcun quid pluris
«rispetto a quanto occorrerebbe per concretare il reato di che all’art. 393 cod.
pen.; anzi, la ragione per cui vi è stato strattonamento e “immobilizzazione” al
muro del professionista era proprio la ragione (oltre che l’essenza) della violenza
per riottenere i danari».
3.3 Il terzo motivo di ricorso afferisce ad un ulteriore profilo di erronea
applicazione dell’art. 605 cod. pen., atteso che nella fattispecie non sarebbe
possibile individuare «un “apprezzabile” lasso di tempo di impedimento del
soggetto passivo»: stando ai dati esposti nella sentenza impugnata, infatti, il
Gallimberti si presentò presso lo studio del Longo intorno alle 15:05, ma già alle
15:28 il personale di polizia allertato a seguito della chiamata della persona
offesa aveva avuto modo di raggiungere il bar.

Ergo, la presunta limitazione

della libertà dell’avvocato si era protratta per assai poco, considerando che
l’aggressione dell’imputato non era stata immediata e si era subito placata,
mentre gli agenti avevano necessariamente impiegato alcuni minuti per portarsi
sul posto segnalato: un effettivo impedimento del Longo alla autodeterminazione
ed alla possibilità di muoversi sarebbe stato da contenere in un tempo pressoché
non valutabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

2. Conformemente a quanto ritenuto dalla Corte di appello di Trieste, non
può dirsi sussistente un rapporto di specialità fra le norme di cui agli artt. 393 e
605 cod. pen., perché la privazione della libertà personale, segnatamente come
impedimento alla libertà di locomozione, deve intendersi estranea alla fattispecie

4

3.2 Con il secondo motivo, la difesa del Gallimberti censura la decisione

astratta di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per realizzare la quale si
richiedono genericamente condotte violente, od anche semplicemente di
minaccia), mentre è elemento costitutivo del delitto di sequestro di persona.
Inoltre, e soprattutto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 605
cod. pen. lo scopo avuto di mira dal soggetto attivo non ha alcun rilievo: il che
comporta che l’avere agito al fine di esercitare un preteso diritto (contrariamente
alle tesi del ricorrente) non vale ad escludere il dolo del sequestro di persona,
ove la condotta posta in essere sia stata strumentale a precludere la libertà di

da parte del reo. In definitiva, ricorrendo i presupposti di entrambi i reati, un
sequestro di persona ben può concorrere con un addebito di ragion fattasi: i
principi esposti nella sentenza Rovere, già richiamata nel corpo della motivazione
della pronuncia oggetto dell’odierno ricorso, meritano di essere qui
espressamente ribaditi e condivisi.
Sul piano delle caratteristiche della privazione della libertà, la giurisprudenza
di questa Corte ha parimenti da tempo affermato che questa non
necessariamente deve avere carattere di assolutezza, «essendo sufficiente anche
una relativa impossibilità di recuperare la propria libertà di scelta e di
movimento: né alcun rilievo assume, da una parte, la maggior o minore durata
della limitazione, purché questa si protragga per un tempo giuridicamente
apprezzabile, e, dall’altra parte, la circostanza che il sequestrato non faccia alcun
tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento, non recuperabile con
immediatezza, agevolmente e senza rischi. Il reato, infatti, è configurabile anche
quando il soggetto passivo riesca a riappropriarsi della propria libertà, dopo una
privazione giuridicamente apprezzabile che segna il momento consumativo del
sequestro» (Cass., Sez. V, n. 5443 del 15/11/1999, Pinco, Rv 215253). Ciò è
appunto quel che si è verificato nella fattispecie concreta, con il Longo
certamente costretto e bloccato contro il muro per alcuni minuti, quindi
accompagnato dabbasso dall’imputato che si teneva sempre stretto a lui, come
chiaramente percepito dalla titolare del bar dove i due soggetti si recarono:
perciò, il particolare che l’avvocato non intese rivolgersi a qualche passante, o
sollecitare in modo più plateale l’arrivo delle forze dell’ordine, ben può spiegarsi
con la perdurante coercizione cui egli si trovava ancora sottoposto.
Del resto, già in alcune pronunce menzionate nell’interesse del ricorrente si è
sostenuto che un tempo di venti minuti sia più che sufficiente per intendere
perfezionato un sequestro di persona sul piano dell’elemento materiale (v. Cass.,
Sez. I, n. 18186 dell’08/04/2009, Lombardo); ma, come avvertito, l’importante
non è pervenire ad una quantificazione minima, bensì trovarsi dinanzi a un dato
temporale comunque apprezzabile: «per la sussistenza dell’elemento materiale

/111

40
_
11

5

;

movimento della vittima, quale evento oggetto di rappresentazione e volizione

del delitto di sequestro di persona previsto dall’art. 605 cod. pen. è sufficiente
che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, tale
da privarlo della capacità di spostarsi da un luogo all’altro, a nulla rilevando la
durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato ad un tempo
anche breve (Cass., Sez. V, n. 43713 del 22/11/2002, Malatesta, Rv 223503,
vicenda nella quale la vittima del reato era stata legata, per poi liberarsi da sola
nel giro di pochi minuti).

questa Corte, che ha instato per la declaratoria di prescrizione dei reati in
rubrica. Va innanzi tutto chiarito che l’impugnazione risulta proposta
nell’interesse del Gallimberti soltanto con riguardo al delitto di sequestro di
persona, mentre nessuna doglianza è stata sollevata circa l’affermazione della
penale responsabilità dell’imputato in ordine al capo A): né, peraltro, la difesa
risultava avere appellato la condanna pronunciata in primo grado per il delitto di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni, come riqualificata la tentata estorsione
inizialmente ipotizzata. Con riguardo a detto capo d’imputazione, dunque, la
sentenza del Tribunale di Pordenone, confermata

in parte qua all’esito del

giudizio di secondo grado, deve intendersi già passata in giudicato.
Quanto al reato sub B), i fatti risalgono al 22/12/2004, e pure applicando al
caso in esame le più favorevoli previsioni di cui all’art. 157 cod. pen. nell’attuale
formulazione (la sentenza di primo grado intervenne in data successiva
all’entrata in vigore della legge n. 251/2005), i termini massimi risultano pari a
10 anni: dovrebbe altresì tenersi conto di cause di sospensione verificatesi nel
corso del giudizio di merito, complessivamente per 1 anno, 3 mesi e 10 giorni.
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/04/2014.

3. Neppure è possibile aderire alle conclusioni rassegnate dal P.g. presso

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA