Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34985 del 11/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 34985 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LUISI GIOVANNI N. IL 23/04/1983
avverso la sentenza n. 420/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
16/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 11/06/2014

R.G. 50038 / 2013

Con la sentenza suindicata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la
sentenza resa dal locale Tribunale, che ha dichiarato Giovanni Luisi colpevole del reato
di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, non essendo stato reperito nella
sua abitazione in occasione di un ordinario controllo di p.g., essendosene allontanato,
come da dichiarazioni della sorella convivente. Condotta illecita per cui il prevenuto è
stato condannato, con la contestata recidiva, alla pena di otto mesi di reclusione.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato,
deducendo erronea applicazione dell’art. 385 co. 3 c.p. e difetto di motivazione, poiché i
giudici di appello, a prescindere -ove ritenuta sussistente- dall’assoluta lievità della
infrazione, si sarebbero limitati a condividere le conclusioni espresse dalla decisione di
primo grado, non valutando la mancanza di prova del reato, i controlli di p.g. non
offrendo certezza del reale allontanamento del prevenuto dalla sua dimora, fondato sulle
sole dichiarazioni della sorella dell’imputato.
Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi di
censura, riproduttivi dei motivi di appello pur idoneamente vagliati e disattesi dalla Corte
territoriale, la cui motivazione integra un più che adeguato vaglio, giuridicamente
corretto, delle risultanze processuali, attesa l’univoca conclamata sussistenza (e
volontarietà) del reato ascritto al ricorrente per la palese implausibilità della sua tesi,
secondo cui avrebbe fatto dire alla sorella di non essere in casa per celare la grave crisi di
astinenza da stupefacenti in cui versava. Il reato di cui all’art. 385 co. 3 c.p. è perfezionato,
in vero, dal semplice volontario e consapevole allontanamento dalla sede domiciliare, pur
se le motivazioni dell’agire non si traducano nella decisione di sottrarsi in via definitiva
alla misura domestica. Per il perfezionamento del reato, scandito da dolo generico, è
sufficiente che la condotta di uscita (id est evasione) dell’imputato dallo stretto ambito
della sua dimora sia sorretta dalla consapevolezza di fruire in modo indebito di una
libertà di movimento spazio-temporale preclusa dalla corretta esecuzione della misura
domiciliare.
A prescindere dai vari periodi di sospensione del termine richiamati nella sentenza
di appello, la genetica inammissibilità del ricorso, impedendo l’instaurarsi di un valido
rapporto impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare di ufficio l’eventuale estinzione
del reato per prescrizione sopravvenuta alla decisione di appello (S.U., 22.11.2000 n. 32,
De Luca, TV. 217266; SAL, 22.3.2005 TI. 23428, Bracale, rv. 231164). All’inammissibilità
del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese
processuali e al versamento dell’equa somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 11 giugno 2014

Fatto e diritto

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