Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34984 del 19/06/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 34984 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dagli Avvocati Anselmo Torchia e Antonio Porcelli, quali
difensori di Mondella Francescoantonio (n. il 09/12/1960) avverso l’ordinanza
del Tribunale di Milano, in data 10/10/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Aurelio
Galasso, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’Avvocato Giuseppe Marazzita — in sostituzione degli Avvocati Nino
Marazzita e Antonio Porcelli, difensori dell’indagato — il quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 19/06/2013

Osserva:

Con ordinanza del 04/09/2012, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Milano dispose la misura cautelare della custodia in carcere di
Mondella Francescoantonio indagato per due episodi di estorsione aggravata
perché commessi con armi, da più persone appartenenti a sodalizio di tipo

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il
Tribunale di Milano, con ordinanza del 10/10/2012, la respinse.
Ricorrono per cassazione i difensori dell’indagato riproducendo la
memoria difensiva prodotta avanti al Tribunale del riesame. Deducono, poi,
la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per quanto
concerne la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, utilizzate come
fonte indiziaria esclusiva a carico del ricorrente. In particolare evidenziano
che la dichiarazione del collaboratore Belnome Antonino è “de relato” e che
le stesse dichiarazioni del Cappello in più parti sono costituite da informazioni
apprese da Stagno. Anche il Panajia ammette di riferire circostanze apprese
dal Belnome. Inoltre evidenziano contrasti nelle dichiarazioni dei pentiti che
non consentono che le stesse si riscontrino vicendevolmente. Ad esempio: 1)
il Belnome fa dipendere l’inizio “della faida tra i Cristello e gli Stagno” dal fatto
che Stagno aveva effettuato un’estorsione senza avvertire Cristello. Cappello
afferma, invece, che in sua presenza Stagno era andato da Cristello per
informarlo dell’estorsione; 2) Belnome non parla di tal Galati, mentre il
Cappello evidenzia il ruolo del Galati; 3) il Belnome parla di un’estorsione da
€ 400.000,00, Cappello Saverio parla, invece, di un’estorsione di €
500.000,00; 4) Belnome riferisce che si fece capire alla vittima dell’estorsione
che doveva rivolgersi agli “zozzi”, Cappello afferma che la vittima si rivolse
spontaneamente agli “zozzi”; 5) le problematiche sorte per la corretta
individuazione del ricorrente (che si confonde con quella del fratello “piccolo”
del ricorrente). Inoltre, la difesa del ricorrente sottolinea che nell’impugnato
provvedimento non viene evidenziato alcun riscontro oggettivo che possa
confermare quanto genericamente riferito dai collaboratori di giustizia. Infine,
i difensori dell’indagato rilevano la carenza della motivazione in ordine alla
sussistenza delle esigenze cautelari che è stata ritenuta sulla base di una

9

mafioso e avvalendosi della forza intimidatoria propria dell’organizzazione.

valutazione complessiva e generale senza tener conto della persona e la
posizione peculiare del ricorrente (se provate, le contestazioni sono datate e
circoscritte; così come i precedenti sono di poco conto e risalenti nel tempo).
Inoltre, si sottolinea che il Tribunale non ha considerato quanto contenuto
nella memoria e in particolare che il ricorrente è intervenuto su espressa
richiesta della P.O. e quindi si doveva procedere ad un attento e rigoroso

consapevole e volontaria alla vicenda estorsiva”; la verifica di quanto sopra

doveva essere ancor più puntuale per la seconda estorsione per la quale il
ricorrente sarebbe stato costretto a fungere da intermediario. Si sottolinea,
infine, che nessuna motivazione è stata data sulla possibilità di ravvisare
l’aggravante dell’effettivo utilizzo del metodo mafioso.
I difensori del Mondella Francescoantonio concludono, pertanto, per
l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
In data 14.01.2013 gli Avvocati Nino Marazzita e Antonio Porcelli
depositano motivi nuovi con i quali sottolineano la mancanza o l’apparenza
della motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto l’attendibilità intrinseca
ed estrinseca dei chiamanti in correità. Rilevano anche l’illogicità della
motivazione sull’idoneità delle chiamate in reità de relato del Belnome (la cui
chiamata in correità inizialmente non era stata ritenuta sufficientemente
riscontrata; riscontri che invece si acquisiscono con le dichiarazioni rese da
Cappello Saverio; si veda pagina 10 dei motivi nuovi), del Cappello e del
Panajia. In particolare i difensori del ricorrente evidenziano che da quanto
scritto nella stessa ordinanza le dichiarazioni del Belnome da sole non erano
state idonee a determinare il ruolo del Mondella Francescantonio e che solo
grazie alle dichiarazioni del Cappello si completa il quadro; se così è,
ovviamente, le dichiarazioni dei due chiamanti in correità non si riscontrano
vicendevolmente e le dichiarazioni del Cappello a questo punto diventano
l’unica fonte dichiarativa sul punto. Per quanto riguarda il Panajia il Tribunale
non avrebbe spiegato come quanto da questi appreso dal Belnome possa
costituire riscontro alle stesse dichiarazioni di quest’ultimo. I difensori del
ricorrente rilevano che erroneamente è stata ritenuta l’aggravante di cui
all’art. 7 L. 203/1991 in riferimento ai capi 2 e 3 dell’imputazione; in
particolare evidenziano che non è stato indicato alcun elemento a supporto

esame sulla piena consapevolezza per il Mondella di “prestare la sua opera

della sussistenza di tale aggravante. Si lamentano, anche della ritenuta
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, III comma n. 3, del c.p. — dato
che l’indagato non appartiene ad alcuna associazione mafiosa – e del ritenuto
concorso della predetta aggravante con quella di cui all’art. 7 L. 203/1991. I
difensori del ricorrente deducono la mancanza di motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e alla ritenuta adeguatezza della

incostituzionalità dell’art. 275, III comma, del c.p.p. da parte di questa Corte a
Sezioni Unite con ordinanza n. 34473 e 34474 del 2012).
I difensori del Mondella Francescoantonio insistono, pertanto, per
l’annullamento dell’impugnata ordinanza

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Infatti il Tribunale richiamando anche l’ordinanza del G.I.P. – ha con esaustiva, logica e non
contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i
gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato per i reati di cui sopra. Ha,
infatti, ben valutato gli elementi acquisiti e in particolare le dichiarazioni
convergenti dei collaboratori di giustizia correttamente ritenute spontanee,
credibili e utilizzabili facendo propria la condivisa motivazione sul punto del
G.I.P. (si vedano le pagine da 3 a 10 impugnata ordinanza). Il Tribunale ha
così — richiamando, anche, la condivisa motivazione del G.I.P. e in linea con i
principi giurisprudenziali affermati, sul punto, da questo Supremo Collegio
(ad esempio: Sez. U, Sentenza n. 1653 del 21/10/1992 Ud. – dep.
22/02/1993 – Rv. 192470; Sez. U, Sentenza n. 36267 del 30/05/2006 Cc. dep. 31/10/2006 – Rv. 234598) — ben evidenziato come i collaboratori di cui
sopra siano assolutamente attendibili sotto il profilo intrinseco e nessuno di
essi pare animato da intenti calunniosi. Il Tribunale ha, poi, rilevato — in linea
con la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte citata (Sez. 6,
Sentenza n. 7627 del 31/01/1996 Ud. – dep. 30/07/1996 – Rv. 206588) —
l’importante valenza dimostrativa delle chiamate di correo convergenti. Il
Tribunale da tutto quanto sopra esposto ricava, correttamente, anche
l’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni.

misura adottata (anche in relazione alla sollevata eccezione di

Si deve rilevare in proposito che le dichiarazioni accusatorie rese da
imputati dello stesso reato ovvero di reato connesso o interprobatoriamente
collegato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, a
condizione che siano dotate ciascuna di intrinseca attendibilità, soggettiva ed
oggettiva, e (in assenza di specifici elementi atti a far ragionevolmente
sospettare accordi fraudolenti o reciproche suggestioni), risultino concordanti

divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto
(si veda, tra le tante, ad es.: Sez. 1, Sentenza n. 1263 del 20/10/2006 Ud. dep. 18/01/2007 – Rv. 235800).
Infine, si deve rilevare che sia il Tribunale, sia il G.I.P., hanno —
correttamente – valutato le dichiarazioni dei chiamanti in correità secondo il
canone previsto dall’articolo 192, III e IV comma, del c.p.p. – richiamato
dall’art. 273, comma 1 bis, c.p.p. – e hanno specificamente indicato le
emergenze investigative che corroborano, ulteriormente, le dichiarazioni di
cui sopra (accertamenti P.G.; intercettazioni; si vedano comunque le pagine
11, 12 e da 13 a 17 dell’impugnata ordinanza). L’accurata analisi del
materiale probatorio effettuata dal Tribunale non viene scalfita dalle
generiche doglianze del ricorrente, che non tiene conto di quanto affermato
dal Tribunale. Infatti, il Giudice di merito, per ciò che riguarda Belnome e
Capello in relazione all’estorsione di cui al capo 2, con motivazione
esaustiva, logica e non contraddittoria evidenzia: che le loro dichiarazioni
sono autonome; che entrambi avevano conoscenza diretta dei fatti e delle
persone; la coerenza e la quasi sovrapponibilità dei racconti dei collaboratori
in ordine agli elementi essenziali del fatto e, spesso, anche ai particolari; che
entrambi descrivono in modo preciso il ricorrente (si vedano in proposito le
pagine da 13 a 16 dell’impugnata ordinanza). Il Tribunale, in relazione a
quanto sopra, riporta stralci delle dichiarazioni dei due collaboranti (nelle
pagine da 13 a 15); evidenzia i riscontri (pagine 14 e 15, con richiamo — a
pag. 15 – per il narrato del Belnome anche del contenuto delle ambientali);
spiega logicamente il fraintendimento in cui è caduto il P.M. nell’associare il
termine “piccolo”; richiama, infine, quanto dichiarato da Sessa Pasquale (una
delle P.O. dell’estorsione di cui al capo 2) che non solo afferma di conoscere
l’imputato, ma di averlo incontrato proprio a Giussano con ciò confermando e

u

sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali

fornendo ulteriore riscontro a quanto dichiarato dai collaboratori (si veda ciò
che ha correttamente rilevato sul punto il Tribunale a pagina 16). Lo stesso
discorso viene effettuato dal Tribunale in relazione al secondo episodio
estorsivo, per il quale si evidenzia che oltre alle dichiarazioni di Belnome e
Cappello, vi sono anche le dichiarazione del collaboratore Panajia (si veda
pagina 16). Il Tribunale con motivazione corretta e incensurabile in questa

dei predetti collaboratori denunciate dai difensori del ricorrente (si vedano le
pagine 16 e 17).
Per quanto riguarda la censura con la quale si afferma che le
dichiarazioni dei collaboratori, di cui sopra, sarebbero déVrelato si è già
sottolineato quanto, invece, evidenziato e ritenuto dal Tribunale. Si deve, in
ogni caso, rilevare che sono, comunque, direttamente utilizzabili le
dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in
relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e
derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di
informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non
assimilabili né a dichiarazioni “de relato”, utilizzabili solo attraverso la
particolare procedura di cui all’art. 195 cod. proc. pen., né alle cosiddette
“voci correnti nel pubblico” delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità (Sez.
5, Sentenza n. 4977 del 08/10/2009 Ud. – dep. 08/02/2010 – Rv. 245579).
Inoltre, si deve ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno
affermato che la chiamata in correità o in reità “de relato”, anche se non
asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come
unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato,
altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano rispettate — come nel
caso di specie – le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la
valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della
specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano
accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne
dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda
confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono
riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a

P

sede evidenzia, poi, la marginalità e irrilevanza delle discrepanze nel narrato

circostanze rilevanti del “thema probandum”; d) vi sia l’indipendenza delle
chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese
fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la
loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, Sentenza n. 20804
del 29/11/2012 Ud. – dep. 14/05/2013- Rv. 255143).
Quanto alla sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 7 D.L. n. 152

motivazione del Tribunale (si veda pagina 17) è esaustiva. Si osserva, in
proposito, che questa Corte Suprema ha affermato che la circostanza
aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, qualifica l’uso del metodo
mafioso, fondato sull’esistenza in una data zona di associazioni mafiose,
anche in riguardo alla condotta di un soggetto non appartenente a dette
associazioni. (Sez. 1, Sentenza n. 4898 del 26/11/2008 Cc. – dep.
04/02/2009 – Rv. 243346). In particolare, si deve rilevare che nell’ordinanza il
Tribunale ben rileva come le P.O. fossero perfettamente in grado di percepire
e capire i contenuti e la provenienza delle modalità estorsive, poste in essere
da soggetti da loro ben conosciuti. Il Tribunale, poi, nel confermare che
l’aggravante di cui sopra può essere ritenuta sussistente anche per un
soggetto non appartenente a dette associazioni, rileva ciò che riferisce il
Belnome del Mondella e cioè che questi aveva, comunque, un ruolo di “buon
ordine” e cioè di referente dell’associazione nel Comune di Francica e vicino
al gruppo Mancuso (si veda pagina 17). Per quanto riguarda la doglianza
sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 628, III comma, n. 3 c.p. e di
questa unitamente all’aggravante di cui all’art. 7 (la contestazione,
ovviamente, deve leggersi in relazione anche a quanto osservato dal
Tribunale sul ruolo di “buon ordine” del Mondella) si deve rilevare che tale
doglianza non è stata oggetto della richiesta di riesame — si veda pag 3
ordinanza ove si riassumono i motivi — e certamente non è stata presentata
con il ricorso e compare solo nei motivi nuovi; quindi non deve essere
affrontata da questa Corte che, tra l’altro, ne è stata investita per la prima
volta solo con i motivi nuovi.
Infine, il Tribunale espone in modo chiaro ed esaustivo — dopo aver
richiamato e fatte proprie le motivazioni del G.I.P. – perché ritenga sussistenti
le esigenze cautelari (tutte e tre le ipotesi di cui all’art. 274 del c.p.p.; si veda

del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, si deve rilevare che la

l’ampia e incensurabile motivazione alle pagine 17 e 18). Inoltre, il Tribunale
evidenzia correttamente tutti i criteri dai quali ricava la convinzione che
l’unica misura adeguata — prescindendo dalla sussistenza dell’aggravante di
cui all’art. 7 L. 203/1991 – sia quella della custodia in carcere (si vedano le
pagine 18 e 19). E’, quindi, superfluo l’esame della correttezza della predetta
motivazione in relazione a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con

appare non superata la presunzione relativa di cui all’art. 275, III comma,
c.p.p. riconosciuta esistente dalla predetta sentenza della Corte
Costituzionale. Infatti non sono stati acquisiti elementi specifici, in relazione
al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere
soddisfatte con altre misure.
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni in fatto.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata
al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poiché dalla presente
decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a
quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di
attuazione del codice di procedura penale.

Così deliberato in cameydi òònìo, il 19/06/2013.
.i

e>

sentenza n. 57 del 25.03.2013; in ogni caso da quanto esposto dal Tribunale

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA