Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34975 del 11/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 34975 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BIONDI GIOVANNI N. IL 16/08/1968
avverso la sentenza n. 698/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
17/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 11/06/2014

R.G. 49843/ 2013

Con il ministero del difensore l’imputato Giovanni Biondi impugna per cassazione la
sentenza della Corte di Appello di L’Aquila che ha confermato la decisione del Tribunale di
Teramo, con cui è stato condannato (tenuto conto della recidiva) alla pena di otto mesi di
reclusione per il reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari (avendo fatto
rientro nella sua abitazione oltre il termine del periodo mattutino in cui era autorizzato ad
assentarsi per lavoro, fissato alle ore 12:00).
Il ricorso deduce violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo: 1) alla
mancata assunzione di prova decisiva ex art. 603 co. 3 c.p.p. afferente alla determinazione
degli esatti orari (previa acquisizione dei relativi tabulati telefonici) delle conversazioni
telefoniche intervenute tra l’imputato e il suo legale dalla caserma dei carabinieri, intervenuti
per controllo presso l’abitazione del prevenuto; elementi che avrebbero permesso di rilevare o
il rientro in casa del Biondi nel rispetto dell’orario di assenza ovvero un minimo scarto
temporale penalmente irrilevante; 2) all’inoffensività della condotta dell’imputato, che a tutto
concedere ha agito senza alcuna volontà di evasione ovvero di sottrarsi ai controlli di p.g.
Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e palese infondatezza delle censure.
Posto che il primo motivo di ricorso prospetta una rivalutazione di segno meramente
fattuale, estranea al giudizio di legittimità, delle fonti di prova ampiamente vagliate dalle due
conformi decisioni di merito, deve constatarsi che la Corte di Appello ha fatto corretta
(idoneamente motivandola) applicazione del potere di integrazione probatoria riconosciutole
dall’art. 603 co. 3 c.p.p., richiedendo (sebbene vanamente per decorso del tempo) i tabulati
telefonici relativi alle utenze dell’imputato, del difensore e dei carabinieri, evidenziando come
il Biondi non sia stato comunque reperito all’interno della sua abitazione entro le ore 12:00
(“è rimasto provato che il Biondi non era presente in casa quando oramai era trascorso un
significativo periodi di tempo dalla scadenza del permesso orario concesso”). In secondo
luogo il ritardo del prevenuto nel rientrare nella sua abitazione, quale che ne sia stata la
durata, è di per sé idoneo a realizzare la fattispecie di evasione a prescindere dall’intento del
soggetto agente (reato a dolo generico), poiché vanifica la continuità del regime custodiale e
dei controlli all’uopo esperibili sull’osservanza delle disposizioni connesse alla misura
domiciliare (Sez. 6, 9.12.2002 n. 1752/03, Meloni, rv. 223342; Sez. 6, 12.5.2006 n. 21975,
PM in proc. Sculli, rv. 234510). La misura cautelare domiciliare è, del resto, misura coercitiva
inframurale equiparata a tutti gli effetti alla custodia in carcere. Sicché i limiti, di natura
spaziale, motoria e relazionale, imposti con la custodia in carcere allo status libertatis del
soggetto sono per intero riprodotti nella cautela domestica. La fattispecie è integrata da un
reato proprio a forma libera, nel senso che il bene giuridico protetto, cioè l’esigenza di
assicurare il costante rispetto delle decisioni giudiziarie limitative della libertà personale, può
essere offeso con qualsiasi modalità esecutiva e quali che siano i motivi che inducono il
soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale. La struttura normativa della condotta è
realizzata da qualsiasi forma di sottrazione o elusione rispetto alla misura domestica e al suo
stretto ambito spaziale di rigorosa interpretazione (Cass. Sez. 6, 22.2.1999 n. 3948, Fiore, rv.
213887), essendo sufficiente che la condotta dell’imputato sia sorretta dalla consapevolezza
di fruire di una libertà di movimento spazio-temporale che gli è preclusa (ove versasse in
regime carcerario) dalla corretta esecuzione della misura domiciliare.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle
spese processuali ed al versamento dell’equa somma di euro 1.000 alla cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 11 giugno t14

Motivi della decisione

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