Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34972 del 16/07/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 34972 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Felline Alfonso Rocco, nato il 20.1,1972 avverso
la sentenza della Corte di appello di Lecce del 27.2.2012. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Sante Spinaci, il quale ha
concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale della

Data Udienza: 16/07/2013

medesima città in data 28 ottobre 2009 di condanna di Felline Alfonso Rocco
per i reati di estorsione aggravata e usura.
2. Ricorre, assistito da difensore, l’imputato denunciando violazione di legge
e vizio di motivazione per i motivi che seguono.
Si contesta, in primo luogo, che i giudici del merito abbiano ritenuto la
penale responsabilità dell’imputato sulla scorta, esclusivamente, della
deposizione della persona offesa, pur in mancanza di elementi di riscontro e
senza considerare le sussistenti fonti di prova che avrebbero potuto

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determinare una decisione in senso opposto. Si sottolinea come, nel caso di
specie, la deposizione della parte offesa sia integrata da una mera querela:
della quale si è data lettura in dibattimento essendo nel frattempo
intervenuto il decesso della persona.
Si lamenta travisamento della prova con conseguente illogicità della
motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza dell’imputato oltre ogni
ragionevole dubbio, e tanto in considerazione del fatto che le accuse
contenute nella querela non avrebbero trovato conferma ed anzi sarebbero
state smentite dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla convivente della
parte offesa.
Si segnala, inoltre, violazione di legge in relazione all’articolo 644 c.p.
affermando come sia emerso dagli atti esclusivamente che tra parte offesa
e odierno imputato fosse intercorso un prestito di denaro, in corso di
restituzione all’epoca dei fatti. I giudici di merito insistono nel sostenere, si
lamenta ulteriormente, che il Feline avesse cercato di portare all’incasso un
assegno per euro 5000 emesso dalla parte offesa. Si sostiene tuttavia la
falsità di tale circostanza, invece posta a base delle decisioni di merito.
Si segnala, infine, violazione di legge in ordine all’articolo 629 c.p., in
quanto in nessun luogo dell’istruttoria emergerebbe la prova del reato se
non nella narrazione, come anticipato non riscontrata, contenuta in querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Tutte le censure si svolgono intorno alla contestazione circa la
ricostruzione dei fatti lamentando come la stessa sia stata dedotta
esclusivamente dalla narrazione della parte offesa, deceduta nel corso del
processo. Deve al riguardo osservarsi che la Corte di appello ha
certamente adottato la propria decisione circa la penale responsabilità
dell’odierno imputato per tutti i delitti contestatigli sulla narrazione della
parte offesa, Arcangelo Passiante. Questa fu resa in sede di denuncia, e
poi acquisita al processo in seguito al decesso del Passiante, ai sensi
dell’art. 512 c.p.p. Tuttavia deve sottolinearsi come la Corte d’appello ha
anche ampiamente argomentato sulla intrinseca credibilità di detta
deposizione nonché sulla sussistenza di numerosi elementi di riscontro
esterno alla stessa. Si veda a tale ultimo riguardo in particolare la pagina 2
della sentenza impugnata in cui si ricorda come a riscontro di dette

0

dichiarazioni valgano gli esiti di un servizio di osservazione posto in essere
dalle forze dell’ordine, il possesso in capo all’odierno imputato di numerosi
assegni firmati in bianco dalla parte offesa, oltre che di una delega ad
operare in bianco sul conto corrente intestato alla convivente del
Passiante, e rilasciato dalla stessa sempre all’odierno imputato.
3. Nemmeno appaiono fondate le ulteriori censure circa l’accertamento dei
fatti di usura ed estorsione, svolte argomentando vizi di motivazione ma

appello, bensì cercando di avvalore anche in questa sede di legittimità
una alternativa ricostruzione del fatto. Quest’ultima tuttavia, come tale,
non è sindacabile atteso che la ricostruzione svolta dalla Corte di appello si
emancipa abbondantemente dal limite del ragionevole dubbio che
potrebbe indurre a considerare sotto il profilo della coerenza motivazionale
ulteriori e diverse ricostruzioni fattuali siccome maggiormente plausibili
rispetto a quella fatta propria dai giudici del merito.
4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta
il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso è condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deliberato il 16.7.2013

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio
Il Presidente

Depositato in C ncollo

Roma, Il J

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iro Petti

senza evidenziare illogicità alcuna nel ragionamento svolto dalla Corte di

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