Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 34965 del 23/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 34965 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATO GIUSEPPE N. IL 21/09/1925
avverso l’ordinanza n. 9/2013 TRIB. LIBERTA’ di SALERNO, del
22/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI; ,
IdAte/sentite le conclusioni del PG Do tt . P64.4-Aift- 5 Pi 0′.14—&j ait-Arx”-tilk-.\1

11)-

4.d

L.

Data Udienza: 23/05/2013

IN FATTO E DIRITTO
Nei confronti di AMATO Giuseppe (cl. 1925) e nell’ambito del procedimento a suo carico per
concorso in più fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione e dissipazione in relazione al dissesto, ascritto a lui e ad altri soggetti, ed al fallimento della società “Antonio Amato & C. Molini e
Pastifici in Salerno S.p.a.”, dichiarato in data 20 luglio 2011, è stato emesso dal Giudice per le
Indagini preliminari del Tribunale di Salerno in data 29 giugno 2012 decreto di sequestro preventivo di somme esistenti in depositi bancari riferibili al prevenuto.
Su richiesta di revoca del citato sequestro il G.I.P. ha emesso, in data 29 dicembre 2012, ordinanza di rigetto avverso la quale il prevenuto ha proposto appello al Tribunale di Salerno.
Il Tribunale ha rigettato l’appello con ordinanza in data 22 febbraio 2013, avverso la quale
l’AMATO propone ricorso per cassazione, le cui argomentazioni sono state ribadite con successiva memoria.
Deduce il ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione per aver il Tribunale ritenuto il
vincolo di pertinenzialità fra le somme oggetto del provvedimento e il reato lui ascritto.
Il giudice d’appello non avrebbe considerato che erano stati prodotti documenti attestanti la provenienza del tutto lecita dei titoli dalla cui vendita erano state ricavate le somme poi sequestrate
nei depositi bancari a lui riferiti.
Non essendo consentita nella materia fallimentare la confisca per equivalente, non sarebbe legittimo il mantenimento il sequestro su quelle disponibilità che sarebbero state dimostrate come di
lecita provenienza.
Il ricorso è fondato.
Il Tribunale ha sostenuto che nel caso in cui il profitto di un reato sia costituito da somme di denaro la confisca delle somme rinvenute nella disponibilità del soggetto che ha percepito il denaro, alla luce della sua fungibilità, avviene sempre in forma specifica sul profitto diretto e mai per
equivalente (non consentito per i reati fallimentari), anche quando le somme rivenute e poi confiscate non abbiano alcun vincolo di pertinenzialità con il reato e anche quando siano di provenienza lecita. Di conseguenza ha ritenuto irrilevante la proposta dimostrazione della lecita provenienza, in epoca anteriore al periodo in cui si sarebbero sviluppati i fatti di causa, dei fondi
confluiti nelle disponibilità bancarie dell’AMATO, oggetto di sequestro.
La giurisprudenza, a proposito del sequestro preventivo finalizzato, come nel caso, alla confisca,
ed in una situazione in cui non è prevista la confisca per equivalente, ha chiarito (SS.UU. n.
29951 del 2004; Sez. VI, n. 35381 del 27/6/2006; Sez. I, n. 9905 del 1/2/2007; Sez. II, n. 23421
del 23/5/2007; Sez. VI, n. 13098 del 18/2/2009) che il sequestro preventivo di somme di denaro
costituenti “profitto del reato” si deve ritenere sicuramente ammissibile, sia allorquando la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia ogni
qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in
banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato (Sez. VI, n.
23773, 25 marzo 2003), non imponendo la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di
pagamento che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata
rinvenuta (Sez. VI, n. 4289, 1 febbraio 1995).
È peraltro stato sempre ribadito che in ogni caso dovesse restare ferma la necessaria sussistenza
del rapporto pertinenziale tra il danaro sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilità acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa), così che una
volta dimostrato il collegamento “sostanziale” fra i conti sequestrati e l’attività illecita, inconferenti sarebbero, in ipotesi, argomentazioni circa la necessità di identificazione del danaro che costituisca il risultato empirico della condotta criminosa, quale immediata conseguenza materiale
di essa.
In definitiva le caratteristiche intrinseche del denaro non impongono il sequestro delle medesime
specie monetarie illegalmente conseguite, ma di una somma corrispondente al valore nominale
delle stesse purché attribuibile all’indagato, quando esiste il concreto fumus della sussistenza di
un reato e fondati indizi di pertinenza al reato della predetta somma, anche se depositata su li-

bretto bancario o confluita su conto corrente, senza che ciò trasformi il predetto sequestro in sequestro per equivalente.
Come rilevato sopra, il Tribunale ha ritenuto di poter prescindere, non tanto dall’individuazione
delle specie monetarie costituenti il profitto del reato, quanto dalla valutazione della necessaria
relazione di pertinenzialità fra i fondi sottoposti a sequestro, sotto specie monetarie, ed i reati per
i quali è in corso il procedimento a carico dell’AMATO, ed in particolare ha ritenuto di non dover approfondire, ed eventualmente confutare, i rilievi della difesa in merito ai tempi di acquisizione dei diversi pacchetti azionari indicati (con riferimento ai tempi in cui si sarebbero sviluppate le azioni di spoliazione del patrimonio della fallita società), pacchetti poi asseritamente ceduti con trasferimento dei fondi derivanti dalla vendita sui rapporti bancari oggetto di sequestro.
Alla mancanza di motivazione sul punto ed al necessario confronto con le argomentazioni difensive dovrà quindi ovviare il giudice del rinvio, cui spetterà valutare il ricorrere o meno del rapporto di pertinenzialità fra l’oggetto del sequestro e i delitti in contestazione.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

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