Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3487 del 19/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3487 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAPIENZA GIOACCHINO N. IL 22/03/1959
avverso l’ordinanza n. 26/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
29/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette4sentitg le conclusioni del PG Dott.

Enrico Delehaye, che nella requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del
ricorso;

Data Udienza: 19/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Palermo, con ordinanza del 29/01/2014, ha
rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Sapienza
Gioacchino in relazione alla privazione della libertà personale subita nella forma
della custodia in carcere, dal 25 gennaio 2007 al 7 agosto 2008, nell’ambito di
un procedimento penale in cui era accusato dei reati di concorso esterno in

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa al
riconoscimento del diritto sulla base delle seguenti specifiche circostanze fattuali:
a) Gioacchino Sapienza, imprenditore a capo di un gruppo di imprese societarie
ed individuali operanti soprattutto nel campo del trasporto di merci su strada, nel
settore logistico (magazzinaggio e distribuzione) ed in quello immobiliare, si era
recato in compagnia di Giovan Battista Pipitone, ex capo della famiglia mafiosa di
Carini poi sottoposto a custodia in carcere, presso l’abitazione sita in Palermo di
Giuseppe Guttadauro, uomo d’onore condannato con sentenza definitiva per il
delitto di associazione mafiosa e nuovamente sottoposto ad indagini come
presunto nuovo reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio; b) nel 2003 un
carico di elettrodomestici diretto ad un magazzino del gruppo Sapienza era stato
sequestrato da sconosciuti e poi oggetto di un intervento volto al recupero in
favore del Sapienza da parte di Pipitone Vincenzo; c) Gioacchino Sapienza aveva
consegnato a Pipitone Vincenzo la somma di 5 milioni di lire per provvedere alle
esigenze di Pipitone Giovan Battista e , come risultava
dalla captazione di un dialogo tra il Sapienza e Pipitone Vincenzo.

3.

Gioacchino Sapienza ricorre per cassazione censurando l’ordinanza

impugnata per violazione di legge e per assoluta mancanza di motivazione.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato è carente sotto l’aspetto
motivazionale in quanto, dopo aver accennato ad alcuni asseriti comportamenti
tenuti dal Sapienza, i giudici si sono limitati ad affermare che il ricorrente si
sarebbe potuto rendere conto del grave rischio di coinvolgimento nella legittima
azione repressiva dell’autorità, senza spiegare perché egli avrebbe dovuto tenere
conto delle conseguenze sulla sua libertà personale solo per avere accompagnato
un proprio conoscente presso l’abitazione di un soggetto di cui non conosceva
l’appartenenza alla mafia per sentir parlare di vicende attinenti alla vendita di
terreni, senza indicare perché qualificasse come colposa la corresponsione di una
contenuta somma di denaro in favore di un conoscente in quel momento
detenuto o la condotta di avere allertato altri trasportatori affinché gli
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associazione mafiosa e di trasferimento fraudolento di valori aggravato.

segnalassero l’eventuale presenza di mezzi abbandonati. Il ricorrente si duole
che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del fatto che egli aveva fornito
ogni chiarimento agli inquirenti già nell’interrogatorio di garanzia, come attestato
nella sentenza della Corte di Appello di Palermo. Il giudice della cognizione
penale, si assume, ha escluso che l’accompagnamento del Pipitone presso il boss
Guttadauro avesse una qualche connotazione anche di semplice imprudenza, non
essendo dimostrato che il Sapienza fosse al corrente delle qualità mafiose di
quest’ultimo; ad analoghe conclusioni giunge con riguardo all’intervento del

quest’ultimo. Il ricorrente sottolinea, poi, l’irrilevanza penale della dazione della
somma di denaro avvenuta quattro anni prima dell’adozione della misura
cautelare e ampiamente giustificata sin dall’interrogatorio di garanzia, ritenendo
in ogni caso qualificabile la sua condotta nell’ambito della colpa lievissima. Ha
formulato alla Corte di Cassazione domanda di revoca dell’ordinanza e di
riconoscimento di un indennizzo di euro 333.597,19 per danno patrimoniale e di
euro 1.000.000,00 per danno non patrimoniale, illustrando dettagliatamente le
voci di danno.

4. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Enrico Delehaye, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del ricorso.

5. Con memoria depositata il 4 dicembre 2014 il Ministero dell’Economia e
Finanze ha svolto puntuali osservazioni chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Secondo principi ripetutamente affermati dalla Corte di Cassazione e
consolidati in una recente pronuncia delle Sezioni Unite Penali (Sez. U, n. 32383
del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664), il giudice della riparazione deve, in
modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua
disposizione, con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti sia
anteriori che successivi alla perdita della libertà personale connotati da eclatante,
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi e regolamenti,
fondando la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi che consentano di
stabilire con valutazione ex ante se la condotta tenuta dal richiedente abbia
ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa

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Pipitone in occasione della rapina dell’automezzo del Sapienza, non sollecitato da

apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto.
2.1. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al

o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in
ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione
della misura, traendo in inganno il giudice.
2.2. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale probatorio, va osservato
che la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e, quindi,
nel suo ambito non possono operare automaticamente i divieti previsti dal codice
di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, e tra di
essi, il divieto di utilizzo degli atti delle indagini, che possono invece trovare
ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova
inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 cod.civ. (Sez. 4, n. 11428 del
21/02/2012 , Nocerino, Rv. 252735 ; Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno,
Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del 03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
2.3. Tale possibilità incontra, però, due limiti:
– il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);
– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle
indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo
dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra
le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase
inquisitoria.

3. La Corte territoriale, dopo avere analiticamente illustrato i presupposti
investigativi che avevano dato luogo al provvedimento restrittivo della libertà
personale, ha poi altrettanto scrupolosamente indicato le ragioni per le quali i
medesimi elementi, pur ritenendosi provati, fossero stati riconosciuti dal giudice,
della cognizione inidonei a fondare una pronuncia di colpevolezza in ordine ai
reati contestati, desumendo che il comportamento del ricorrente fosse connotato
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giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti, non nella loro valenza indiziaria

da grave colpa sulla base dei contatti diretti di Gioacchino Sapienza con i
componenti della famiglia Pipitone, dei rapporti economici intrattenuti con Giovan
Battista Pipitone, del fatto che Gioacchino Sapienza avesse accompagnato
quest’ultimo presso l’abitazione del boss Guttadauro ed avesse consegnato una
somma di denaro in favore del medesimo nonché di , attribuendo a
tal fine rilievo anche alla circostanza che l’istante si fosse rivolto, per sua stessa
ammissione, per il ritrovamento del furgone oggetto della rapina a personaggi
certamente vicini alla famiglia dei Pipitone. Il giudice della riparazione ha

rischio di coinvolgimento nella legittima azione repressiva dell’autorità
riconducibile alla sua condotta. La Corte ha, in definitiva, valorizzato il complesso
rapporto di contiguità del ricorrente con esponenti dell’associazione mafiosa, non
escluso dalla pronuncia assolutoria, ed una serie di comportamenti, privi di
adeguata giustificazione, considerando che tali elementi, pur non ritenuti idonei
dal giudice penale a fondare un giudizio di condanna per il reato associativo,
fossero tuttavia valutabili in termini di colpa grave.

4. Nel ricorso vengono svolte censure non pertinenti, nella parte in cui si
sostiene che l’ordinanza impugnata sarebbe priva della motivazione in relazione
alla condotta gravemente colposa ascrivibile a Gioacchino Sapienza, ovvero
tendenti a ricostruire le emergenze istruttorie del giudizio penale in chiave
favorevole al ricorrente, secondo un procedimento logico-giuridico estraneo al
giudizio di legittimità, in cui è preclusa la rivisitazione dei fatti.
4.1. Il provvedimento qui impugnato si basa, infatti, su un argomentare che
non presenta profili di manifesta illogicità, né viola il divieto per il giudice della
riparazione di basare il proprio convincimento su fatti esclusi nel giudizio penale,
posto che assume a fondamento del giudizio in merito alla sussistenza della
colpa grave del ricorrente eventi concreti, quali i ripetuti contatti del Sapienza
con esponenti della famiglia Pipitone, desumendone con ampia e congrua
motivazione la relazione di contiguità tra il ricorrente e questi ultimi nei termini
in cui appariva ex ante al giudice della cautela.
4.2. L’ordinanza ha esaminato anche il profilo concernente la condotta
endoprocessuale dell’istante, sottolineando come il Tribunale del riesame non
avesse ritenuto di escludere la gravità indiziaria in relazione al reato di cui
all’art.12 quinquies decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, conv. con modificazioni
dalla legge 7 agosto 1992, n.356, e che la stessa sentenza assolutoria della
Corte di Appello di Palermo avesse ritenuto insufficiente e contraddittorio I
compendio istruttorio acquisito, non ritenendo comunque credibile la versione

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ritenuto, in particolare, che il ricorrente potesse ben rendersi conto del grave

fornita dall’imputato in merito alle ragioni giustificative della dazione di una
somma di denaro in favore del capo mafia.

5. Trattasi, in definitiva, ad avviso del Collegio, di provvedimento esente da
vizi di legittimità e ampiamente rispettoso dei principi sopra esposti, con
conseguente rigetto del ricorso; segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione
delle spese sostenute dall’Amministrazione resistente, liquidate come in

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché a rimborsare al Ministero resistente le spese sostenute per
questo giudizio che liquida in complessivi euro 1.000,00.

Così deciso il 19/12/2014

dispositivo.

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