Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3485 del 19/12/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 3485 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLEGRINO MARIO N. IL 13/06/1977
nei confronti di:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 23/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
10/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lett0s’entite le conclusioni del PG Dott. euhA’co”

9td, 1,1=4

Q3L

or

• y y

d”2–

ra.e
l
Ad_

Data Udienza: 19/12/2014

La Corte di Appello di Catania, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 10.03.2014, rigettava
l’istanza di riparazione presentata nell’interesse
di Pellegrino Mario per ingiusta detenzione in regime
di custodia in carcere dall’aprile 2011 al 4/07/12,
perché sospettato del reato di associazione per
delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze
stupefacenti, reato da cui era stato assolto per non
avere commesso il fatto con sentenza del 4 luglio
2012 del G.U.P. del Tribunale di Catania, divenuta
irrevocabile 1’8.12.2012.
Pellegrino Mario,
a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Catania e
concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione di legge in relazione agli articoli 314 e
315 c.p.p. e difetto di motivazione ex art. 606
comma l lett. B) ed e) c.p.p., laddove la Corte di
appello aveva escluso il diritto alla riparazione
facendo leva sul fatto che il comportamento tenuto
dal Pellegrino era stato da solo sufficiente ad
indurre in errore l’Autorità giudiziaria circa la
sussistenza del requisito della gravità indiziaria.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da
Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo,
in materia, l’assetto delle regole generalissime che
disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697
c.c. posto che il procedimento relativo alla

Ritenuto in fatto

riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si
riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto
pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei
poteri officiosi del giudice, e’ tuttavia ispirato
ai principi del processo civile, con la conseguenza
che l’istante ha l’onere di provare i fatti
costitutivi
della
domanda,
la
custodia
cautelare
subita e la successiva assoluzione (
Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630
02/04/2004 20/05/2004). Peraltro il sorgere del diritto è
condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia
dato causa o concorso a dare causa a quella ingiusta
detenzione. L’operazione intesa a cogliere tali
condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato che
possano aver indotto, anche nel concorso dell’altrui
errore, secondo una valutazione ragionevole e non
congetturale il giudice a stabilire la misura della
detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV
10/3/2000 n. 1705).
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Catania, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
di
elementi
accertati
congrua verifica degli
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione.
In particolare i giudici della riparazione hanno
osservato come il richiedente sia stato tratto in
arresto a seguito di elementi probatori specifici,
corrispondenza
della
contenuto
dal
costituiti
epistolare con lo zio detenuto per gli stessi fatti e
dalle intercettazioni ambientali, oltre che dai
verbali di perquisizione e sequestro della droga.
L’assoluzione era intervenuta solo in un momento
di
dichiarazione
della
causa
a
successivo
inutilizzabilità della prova costituita dalle lettere
con il congiunto.

Parimenti conforme ai principi di diritto e
correttamente argomentato deve riconoscersi
l’addebito, da parte della Corte territoriale, al
Pellegrino, in termini ostativi al riconoscimento del
diritto all’indennizzo, della condotta da lui tenuta
in sede di interrogatorio di garanzia, per avere egli
optato, a fronte delle sopra indicate emergenze e
delle intercettazioni ambientali di cui veniva
richiesto di chiarire i contenuti indizianti, per la
facoltà di non rispondere, in tal modo scegliendo di
non contribuire al chiarimento del quadro indiziario,
di non offrire quegli elementi a sua disposizione che
potessero consentirne una lettura in chiave diversa
rispetto a quella accusatoria: opzione indubbiamente
consentita nell’esercizio delle facoltà difensive, ma
addebitabile ai fini della riparazione.
La condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr,
tra le altre, Cass., sez.3, sent. n.44090 del
9.11.2011) ha infatti ritenuto che la facoltà da
parte dell’indagato di non rispondere in sede di
interrogatorio, la reticenza e persino la menzogna,
pur costituendo esercizio del diritto di difesa,
possono rilevare sotto il profilo del dolo o della
colpa grave solo ove l’indagato sia in grado di
fornire specifiche circostanze, non note all’organo
inquirente, idonee a prospettare una logica
spiegazione al fine di escludere o caducare il valore
indiziante degli elementi acquisiti in sede
investigativa che determinarono l’emissione del
provvedimento cautelare, e invece non ne faccia
parola.
In tale ipotesi il giudice della riparazione deve
accertare innanzitutto quali siano gli elementi
taciuti o falsamente rappresentati in ordine ai quali
per l’indagato vi è un onere di rappresentazione e
allegazione e poi valutare il sinergico nesso di
relazione causale tra tali circostanze e l’addebito
formulato, dando motivata contezza di come esse
abbiano influito, concausalmente, sul mantenimento
dello stato detentivo.
Ciò premesso si osserva che nella fattispecie che ci
occupa la Corte territoriale, nella motivazione, si è
posta in linea con tali principi.
Pellegrino Mario pertanto aveva tenuto un contegno
che avvalorava le accuse mosse nei suoi confronti ed
aveva contribuito a determinare le condizioni per
l’adozione ed il mantenimento del provvedimento
restrittivo per il quale si chiede il riconoscimento
del diritto alla riparazione.
il
che definisce
impugnato,
Il provvedimento
dell’ingiusta
riparazione
la
per
procedimento
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19.12.2014

che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
logicamente
il
suo
motivare
adeguatamente
e
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
non
ha
infatti
riconosciuto
Il
legislatore
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
come appunto nella
comportamento dell’indagato,
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il
giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA